Un cane

È la stagione in cui nevicano foglie, pensi. In realtà non sai cosa fartene, tu, delle foglie. Stanno lì senza una ragione precisa, frusciano nel parco.

Forse anche tu dovresti rimediarti un cane, pensi. Guardati intorno: se non hai un cane non sei nessuno, ce l’hanno tutti il cane. Solo tu cammini senza guinzaglio, con le mani in tasca, nel vezzo autunnale della sciarpa.

Queste bestie hanno l’aria afflitta perché sono geneticamente selezionate, pensi. Se ne vedono pochi in giro, di bastardi. Che poi, passino i cani abbacchiati, ma i padroni? Come si spiega?

Ci sono pure guinzagli da tre e cinque metri, telescopici, estendibili, riflettenti… Forse anche tu dovresti procurarti un cane, surrogato del calore umano, pensi. Un affetto programmato, senza problemi ha detto Francesco. E quel Francesco sa il fatto suo, anche se non sempre condividi le sue analisi. Certo, lui in San Pietro il cane non ce l’ha. O forse sì? Farai meglio a indagare.

E allora, senza cane che fai? Ti porti a spasso la malinconia senza guinzaglio. Ti trotterella accanto e torna anche se la scacci a pedate… Va be’, non buttarla in tragedia, pensi. Certe metafore vanno strozzate sul nascere, a mani nude.

Per vederci chiaro, meglio pulirsi gli occhiali, strofinarli con lenta e prolungata acribia. Come la lampada di Aladino, a volte funziona. A volte sfregando arriva l’intuizione, pensi. Non che tu sia un genio, però…

 

Ma in quest’ora dei corvi, nessun jinn si presenta, anzi la sfiga scende a grappoli. Come foglia sgraziata, piove dal cielo una notifica a illuminarti lo schermo: oggi per te si palesa così, la malasorte.

Un tempo si chiamavano messaggi, pensi, ma siccome il termine poteva sottendere qualcosa di positivo, si è optato per l’algida notifica. Preferiremmo infatti ricevere un messaggio, o una notifica d’amore? Appunto.

Ciao, sono incasinato, sorry. Sarà per un’altra volta. Mi faccio vivo io, ok?

Ma guarda sto…

Kevin. Si chiama Kevin, lo sai.

Scusa Kevin, anzi, sorry: sei proprio un coglione, pensi. E ci aggiunge anche la faccina, la faccina sorridente… ‘sta testa di Kevin. E diciamolo pure, che la parola emoji fa schifo, pensi.

 

Nel parco le foglie non nevicano più. Vedi dei bambini temerari arrampicarsi in alto sui giochi colorati. Sono attrezzature robuste, rispettose dell’ambiente, certificate, collaudate più di un aereo, pensi. A terra un materiale gommoso e soffice attutisce le cadute, a volte ci metti sopra i piedi e sposti il peso di qua e di là per il gusto di sentirli sprofondare leggermente. Anche oggi non resisti e lo fai. Ti si affaccia un sorriso.

D’agosto ti eri accorta che qualche genio del male ha costruito l’area giochi in pieno sole. Ora ti viene il dubbio che all’ombra abbiano messo il parchetto dei cani, prendi nota mentalmente di controllare al ritorno.

 

Era partito bene, Kevin: una vena di timidezza, un tantino spaesato nei corridoi in facoltà. Puoi quasi illuderti che sia stato lui a fermarti con una scusa. Sì, potrebbe anche essere andata così, pensi. Non sussistono dubbi, invece, sul fisico asciutto che hai intravisto quel giorno sotto la giacca. Poi, quando vi siete presentati e poco dopo scambiati i contatti, è spuntato quel nome a frenare un po’ l’entusiasmo, ma tant’è… nobody is perfect, ti sei detta.

 

Che fare dunque della giornata uggiosa, per evitare che vada completamente in vacca? Chiedere asilo in un bar, ecco. Purché non abbia il prefisso nel nome, tipo zanzi-bar, wunder-bar, milli-bar, ecc. Questi no, off limits. Magari ci va Kevin a fare colazione, pensi.

Questo qui appena fuori dal parco l’insegna manco ce l’ha, quindi per simpatia entri. Ti si appannano gli occhiali, fa un caldo tropicale, ma togliere la sciarpa in terra incognita… non se ne parla. A proposito: per quanto ti sforzi, non ricordi di averla pagata questa sciarpa. Mah, pensi.

Non vorrai fare la signora che consuma al tavolo, spero? Le braccia sul bancone, decidi per un caffè (né lungo né ristretto, ché non è un elastico, pensi) e una pasta scacciaguai alla crema.

Di fianco a te c’è un tizio, carino nonostante il completo da manager. Sta rivelando a voce bassa ma non troppo il segreto del secolo alla donna che gli sta di fronte inguainata in un tubino:

«Sul report erano sei milioni su base annua, ma in realtà erano ben di più se letti mensilmente, considerato che…»

Considerato che anche tu devi essere un bel coglione, pensi. Per caso hai un nome che inizia con la cappa? Non ti accorgi, cavaliere egotista, che la dama sta sopportando eroicamente il tuo monologo, e del report non le frega niente? Non cogli le sue aspirazioni impigliate tra le ciglia? Un tizio che la baci tenendole la testa fra le mani, mettiamo in una posa uguale, ma proprio uguale, al bacio di Hayez. Hai presente? Il pollice destro sfiora il mento, l’indice accarezza la guancia, il medio punta al lobo dell’orecchio, la sinistra regge delicatamente la nuca. Hai presente?

Eccola che cerca di inserirsi nel soliloquio, pensi.

«Be’, alcuni scostamenti sono previsti, almeno fino a un certo margine. L’importante è non ometterli completamente, ma elencarli…»

Okay, ti tocca ammetterlo, forse ci hai ricamato un po’ su.

Hai travisato un tantino ‘sta storia di Hayez, pensi. Sei tu quella che cerca una presenza amorevole e rassicurante, qualcuno di gioviale, un giocherellone che ti faccia le feste.

 

Dopo aver mescolato, fai tin tin col cucchiaino sull’orlo (sì, nel caffè ci va lo zucchero. Bianco!) e la tazzina è vuota in un sorso.

Non fa niente Kevin, sarà per un’altra volta, scrivi.

La sciarpa stringe come un boa. È deciso, pensi: vada per un labrador.

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae una donna che cammina con un guinzaglio vuoto in un parco pieno di foglie a terra”