Tutti montessoriani coi figli degli altri

Ogni mattina Carola si sveglia e sa che dovrà correre più forte dei pregiudizi. È un’attività per cui si allena da tempo. Da ventinove anni, per la precisione.
Carola è una tata, o una nanny – come si usa dire “su” da lei.
Non l’ha scelto di proposito, ma aveva iniziato come au pair e il curriculum si è allargato in quella direzione. Dopotutto, deve pur mantenersi, se vuole sopravvivere a Edimburgo. E poi le piacciono i bambini. Quelli degli altri. Perché alla sera, quando termina il suo turno, li può riconsegnare al mittente.
Carola di figli non ne ha e non ne vuole. Al contrario di sua madre.
Sua madre desidera un nipotino da portare al cospetto delle comari nella parrocchia di Santa Maria di Mala, in provincia di Venezia. A sua madre non dispiacerebbe essere chiamata nonna, anche se ha solo cinquantadue anni e sta vivendo la sua seconda gioventù, omaggio di una vedovanza precoce. A Carola l’idea di esporre il prodotto del proprio utero, sollevandolo sopra le teste delle comari come un piccolo Simba, invece, dispiacerebbe parecchio. Ma ancora di più le dispiacerebbe dover interrompere l’idillio della sua prima gioventù, anche se ha quasi trent’anni, e dicono che a quell’età sia ora di cambiare musica ai rintocchi dell’orologio biologico.

Carola ogni mattina si sveglia già stanca per andare a lavorare, non perché non le piacciano le due creature dei Campbell, a cui bada per otto ore ben salariate, ma perché sa che dovrà correre più forte delle supermamme con cui è obbligata a interagire. Bazzicando per parchi giochi, ludoteche, asili e scuole per l’infanzia, sembra esserci sempre qualcuno che ne sa più di Carola e che brama dalla voglia di dirglielo. Qualcuno che sa perfettamente come si cresce un figlio, come lo si educa secondo canoni montessoriani e che ne fa vanto e bandiera.

Quando Carola le incontra non hanno quasi mai il bambino appresso e in cuor suo sa che questo è il primo indizio della fregatura. Dopo quattro anni dai Campbell, non ha mai visto una di quelle rispettabili signore che, con un pargolo aggrappato alle gonne, sapesse come tenere a bada capricci e moine, con più successo di lei, che è solo una nanny. Eppure affermano grandi abilità in puericultura. In che sede siano in grado di fare miracoli non è dato sapere, sta di fatto che sono pronte a sciorinare pregi e difetti del parenting, per attribuirsi i pregi e caricare i difetti sulle spalle degli altri. Specie sulle spalle di Carola, che non può difendere grandi opinioni, per il semplice motivo che le opinioni della gente senza-figli non contano. Carola ha imparato a stare al gioco, a seminare sorrisi sopra colture di meschinità, e a nascondersi dietro lo scudo della lingua per evitare di portare avanti discussioni spinose. Carola, quando si trova ad argomentare sul suo status di non-madre, omette qualche dettaglio. Per esempio, non parla del senso di soffocamento innescato dalle supermamme, abilissime nel fare addizioni e sottrazioni tra i suoi anni di fertilità e le chance di rimanere incinta. Se solo volesse, rimanere incinta. Ma lei non vuole, e le secca ammetterlo, preferisce dare a credere di non poterne avere. Allora arrivano gli sguardi di pietà, nella migliore delle ipotesi, e le mani appoggiate sul braccio in segno di comprensione, nella peggiore.
È doveroso sottolineare che a molte delle supermamme che manifestano sostegno per la sua condizione di non-madre, non importa sapere veramente come sta o cosa pensa, a loro importa dire la propria. Perché il non-figlio è un’assenza e come tale deve essere colmata con una moltitudine di raccomandazioni, aneddotica supermammista avvalorata da sguardi ittici e mani compassionevoli; come se l’assenza annullasse la pienezza della vita child-free che ha scelto di condurre.

Per essere sinceri, Carola ha scelto anche una vita man-free, ma è un altro paio di maniche, un territorio ancora più insidioso. Non che non ne abbia avute, di storie, si è pure divertita in qualche occasione. Ma il divertimento finiva quando iniziavano le aspettative, perché Carola non voleva saperne delle aspettative degli uomini. Uno le aveva addirittura chiesto di sposarlo.

 Era un ragazzo a modo, e faceva parte di quella stirpe di intelligenti che si applicano pure; uno col naso sempre sui libri e col glossario dell’educazione cattolica sempre in bocca. Peccato solo per quella mania di alzare le mani. Carola l’aveva vista come una fotografia in negativo del matrimonio dei suoi genitori e ha bruciato il metaforico rullino prima di svilupparlo.
Carola si pone spesso il problema di come dare voce a un’assenza, e puntualmente si trova a pensare al padre, la cui assenza si è fatta verbo nel momento in cui la sua immagine è diventata icona tombale. Quella morte, in verità, è stata più un sollievo che un lutto con tutti i crismi. Si è chiesta molte volte se la sua ostinazione a non volere né figli né partner abbia a che fare con i vent’anni di regime totalitario vissuti sotto l’autorità del patriarca, ma non è mai arrivata a una risposta soddisfacente né per sé, né per la sua terapeuta. Infine, ha smesso di andarci, dalla terapeuta. Faceva troppe domande e a Carola le domande stanno strette perché teme le risposte.
Di tanto in tanto si dice che potrebbe mollarlo, il mestiere di nanny, ma si sentirebbe male a lasciare le due creature. Martha e Teo le ricordano il rapporto che aveva con suo fratello Alfio, e ogni giorno le sembra di riavvolgere il nastro della sua infanzia, rivivendo gli anni che le sono scivolati dalle dita. Inoltre, l’infanzia con gli agi della famiglia Campbell è tutta un’altra storia. E a lei quella storia piace molto più della sua. Peccato che il caro Alfio sia ben lontano da quei giorni in cui assieme avrebbero spaccato il mondo con paletta e secchiello. L’ha lasciata indietro, non è più il suo paladino. Ha cambiato registro da quando si è messo a sfornare figli. Uno all’anno per cinque anni, con ritmi da neocatecumenale. Carola adora i figli del fratello e quando li vede in videochiamata le si stringe il cuore. È sempre il più grande ad accaparrarsi lo schermo. Carletto: pochi anni e tanto amore.
«Il papà sta struttorando la nostra stanza, ci ha messo i letti nuovi!»
Alfio, fuori campo: ri-strut-tu-ra-ndo.
«Bello, e come sono?»
«Eh un po’ bruttini, sono bassi ma dice che vanno bene per crescere bambini automi e pendendi. Non come i migrati che abbiamo a scuola».
Alfio, fuori campo: au-to-no-mi e in-dipen-denti! 
«Sai zia che in classe mia ci sono due migrati?»
«Ma dai! E come sono? Mordono veramente, come dicono i giornali?»
«Machhèèè! Sono solo un  po’ negri ma loro almeno possono saltare sui  letti».
Alfio, fuori campo: di-co-lo-re.
«Sono colorati insomma, zia, come noi quando andiamo al mare, o quando invece che lavarci col bagnoschiuma che fa le bolle ci laviamo con quello popollergenico che ci compra il papà».
Alfio, fuori campo: i-po-al-ler-ge-ni-co.
«E a voi non vi lasciano saltare sui letti?»
«Sì che ci lasciano, ma siamo noi che non rimbalziamo bene per aria»
«Ah, ok, capito…E perchè?»
«Perché i letti nuovi sono montariani!»
Alfio, fuori campo: mon-tes-so-ria-ni!
«E io che ho detto! Comunque noi andiamo a saltare in quello della mamma, che ha ancora il letto normale con le molle»
«La mamma ha un letto solo per lei?»
«Sì, anche una camera tutta sua! Perché dice che anche lei vuole essere automa e pendente».
Da qui in poi la storia è sempre la stessa: il telefono sfrigola, inquadra il doppio mento di Alfio, ritagliato dentro il perimetro di un’alopecia fuori controllo. Per un po’ i suoni arrivano come dal fondo di una piscina dei centri estivi. Si alternano bisbigli, gridolini, qualche scappellotto, ciabatte che corrono sul pavimento. E alla fine c’è sempre la stessa domanda, che parte da fuori campo e si propaga attraverso le bocche dei bambini:
Chiedete alla zia se…
«Zia, quando ce lo fai un cuginetto?»
Un interrogativo innocente che, per quante volte si possa riproporre alle orecchie di Carola, suona sempre come la falsa riga del costrutto sociale per cui una zia non è del tutto completa se non ha un cuginetto con cui i nipoti possono giocare. Gliel’ha insegnato Alfio, non con cattiveria – si capisce –, più con la benevola intenzione di scampare all’interrogatorio sulle sue condizioni coniugali. Oltre che – si capisce – per evitare che ai frutti del suo seme passi il messaggio che non fare figli sia normale.
Carola sa di essere perfettamente normale, sono gli altri che non lo sanno. È la ragione per cui non torna volentieri a casa, in Italia, o per cui eviterebbe, se possibile, di imbattersi nelle supermamme, per esempio trattenendosi al parco con Martha e Teo, o andando ai compleanni dei loro amichetti, o arrivando in anticipo all’uscita da scuola, intitolata – guarda caso – a Maria Montessori.
Raramente ha a che fare con i superpapà, ma dopo una veloce radiografia li ha apostrofati tutti come dei cloni di Alfio, e di conseguenza innocui, specie se tenuti impegnati con la manutenzione di attrezzature vagamente pedagogiche.

Il mondo è pieno di questa gentaglia, e Carola vorrebbe poter far qualcosa per tenere Martha e Teo al riparo da questa umanità che li circonda e che non smette di riprodursi. Genitori dalla spocchia perversa, che apprendono rudimenti di parenting dalle pagine di www.montessoriailov.iu; che forgiano la propria cultura attraverso il feed dei socials, e che vivono epifanie digitali ascoltando podcast di connessione con la Madre Terra, con una mano sul petto e l’altra sul volante di un gigantesco paradosso ambientale a quattro ruote.

Gente che segue le mode con religiosa devozione e che usa costose ciabatte di fabbricazione tedesca come metodo anticoncezionale.
Se potesse, Carola costruirebbe una casa di marzapane per contenere tutti i figli della sua generazione e delle precedenti. Una casa morbida e profumata, dove sarebbero liberi di mangiare dolci a tutte le ore direttamente dalle pareti, dove potrebbero prendere il tè coi pupazzi, e disegnare coi pennarelli sui mobili. Un luogo sicuro, dove i grandi sono banditi e dove Carola potrebbe vivere in santa pace l’infanzia che le è mancata. Inviterebbe anche i suoi cinque nipoti e finirebbe con l’invitare anche Alfio, non fosse altro che per riscattare quello che ha perso crescendo, costretto a diventare uomo ancora prima che nel viso gli spuntasse l’acne.
E allora ogni notte Carola si addormenta cullata dalle piccole utopie, consapevole che al mattino, anche se lei non si dovesse svegliare mai più, i giudizi degli altri continuerebbero la loro corsa.

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae una donna che alza al cielo un bambino mentre una folla di altre donne la applaude”