ROSSELLA CEGLIE

Quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, dicevo che volevo costruire capitelli delle chiese, quelli in stile corinzio, con le foglie d’acanto che non seccano mai e che hanno la forza di reggere un tempio. Passavo le ore a disegnarli e a inventarne sempre di nuovi, più rigogliosi e ricamati con fiori.

Mio padre però non volle perché sarei dovuta andare a studiare a Napoli; mi disse di scegliere invece un corso di studi a Bari, senza fronzoli né architravi. Scelsi Informatica. Mi sembrava fosse una materia da scoprire, con la quale poter comunque disegnare e inventare nuove realtà. Erano gli anni ’80 e poi riuscivo bene nella matematica.

Oggi disegno query,  domande in sostanza, chiedo ai dati qualcosa ogni giorno. Poi prendo le risposte e disegno ancora, stavolta APP o pagine WEB. Mi accontento. 

In informatica una parola è un insieme di bit. Il bit in sé non ha tanto da dire, solo 1 o 0, ma, insieme ad altri, i bit possono raccontare l’infinito. Anche io non ho molto da dire di me, ragiono pure io in termini di SI/NO: a volte sono felice a volte triste, sono sposata e poi separata, mangio tanto e faccio sempre la dieta, amo la gente ma preferisco la solitudine, scrivo sempre e spesso parlo poco. Però ho un romanzo nel cassetto, i cui fogli accartocciati e disordinati convivono, in quel posto stretto e buio, con i fogli di poesie, diari, pensieri raccolti nel corso della mia lunga malinconia, ma non ricordo dove ho messo la chiave di quel cassetto. Prima o poi la troverò, metterò insieme i miei due bit che fanno il tifo per me, li unirò in tutte le combinazioni binarie impossibili e illuminerò le parole con le mie ombre.

Nel frattempo, alleno la mia malinconia all’allegria, abbraccio i miei due ragazzi ogni giorno e almeno quattro volte al giorno: è la mia medicina contro l’ansia, il mio tetrafarmaco contro le paure. Sono un po’ epicurea, per me la felicità è il piacere catastematico, l’assenza di dolore, e inseguo l’equilibrio fra l’1 e lo 0 schivando le passioni.

Sono tranquilla e quindi sono felice, pur nella mia tristezza. Sono ancora giovane, anche se già anziana. Di solito vivo ma lascio vivere. Se vedete qualcuna che non si vede, quella sono io. Non mi manco quasi mai, e se succede so come ritrovarmi scavando nel profondo della mia superficialità.

A volte scappo via e appena me ne accorgo mi vado a cercare, so dove potrei essere, almeno così spero, e di solito ci azzecco: sono nel grembo di mia madre, mi faccio spazio con la testa fra i braccioli della sua sedia a rotelle, annuso la sua luce spenta dall’Alzheimer, e parlo ai suoi occhi muti con il linguaggio dei sogni. Mi ricarico di lei e torno al mio dovere.

Non rifuggo le responsabilità, sono forte nelle mie fragilità, vivo con coraggio ogni giorno la perdita progressiva della pazienza, del tempo, dell’amore, di mia madre. Anche la memoria sempre più spesso mi inganna, cerco di resistere e di trattenerla, mi aiuto con la corsa, non sono una runner esperta, ma mi illudo di essere una sportiva e di vincere la battaglia contro il tempo che passa contando km e velocità media, con un moderno orologio digitale, un giorno si e uno no, in perfetto stile binario.

Sto cercando un cucciolo da adottare, nessuna razza particolare, purché non sia umana, di quelli che ti vogliono bene sempre e comunque, che non ti tradiscano mai. 

Mi dicono che sono svampita.

I RACCONTI DI ROSSELLA