
Paradossi
La sera in cui hai compiuto sedici anni avevi l’imene lacerato, i capelli a caschetto – più simili a una scodella consumata –, lo stomaco prima strapieno e poi vuoto, e avevi appena mandato a fanculo i tuoi genitori. Due ore prima eri una quindicenne dai capelli chilometrici, reduce da un digiuno di due giorni iniziato quando ti sei lasciata deflorare da Mario Parisi – o era Pasiri? – e non avevi mai detto una parolaccia ai tuoi.
Divertente, la vita, così divertente da far bruciare il diaframma e sbellicare dalle risate fino a perdere il respiro. Divertente coi suoi paradossi, del tipo che non ricordi il cognome del ragazzo con cui hai perso la verginità. Non che avere l’imene rotto sia importante, insomma, tutte le tue amiche fanno sesso da minimo due anni e quella stronza di Claudia ti ripete che non darla rende brutte agli occhi dei ragazzi; però sai che se dicessi alla piccola te che il fortunato è stato Mario Parisi/Pasiri, che per tutto l’amplesso – un minuto e trentasette secondi – hai tenuto gli occhi chiusi per non guardare la sua faccia da cane arrapato; che appena ti ha proposto un secondo round, gli hai detto che dovevi assolutamente tornare a casa per un impegno inderogabile; che quell’impegno inderogabile era strofinarti la pelle con la spugna di rame per cancellare le sue tracce, forse la piccola te smetterebbe di voler crescere. Riempi i polmoni d’aria prima di addentrarti tra le cosce, lì dove senti i muscoli strappati, dove Mario Parisi – o Pasiri – si è insinuato senza chiederti il permesso.
Tremi ripercorrendo la traiettoria delle sue dita affamate, e quando ti accorgi dei polpastrelli sporchi di sangue, smetti di trattenere il respiro e chiudi gli occhi. Una lacrima resta intrappolata nell’angolo dell’occhio mentre con le unghie ti scavi un solco sulla coscia.
Paradossi del tipo che la sera del tuo sedicesimo compleanno ti tagli trenta centimetri di capelli, mentre ridi istericamente e sussulti per i singhiozzi; oppure quando, subito dopo il cambio look, ti accorgi di avere fame dopo due giorni di privazione di cibo. Allora apri il frigorifero e mangi sedici fette di salame, rigorosamente su sedici fette di pane con sopra sedici strati di formaggio spalmabile. Poi abbandoni quel luogo che illumina i peccati, apri la credenza e trangugi sedici biscotti ripieni di cioccolato, poi sedici con gocce di cioccolato – più facili da ingurgitare senza la bocca impastata di gianduia –, alternandoli a sedici sorsi di Coca Cola, ovviamente zero zuccheri. Infine, chiudi anche la credenza, vai in bagno, ti ficchi due dita in gola (lesionandoti il palato pur di non perdere tempo e rischiare di assimilare calorie), e vomiti. Vomiti e ti senti così leggera mentre tocchi l’addome sgonfio, così pesante mentre ti guardi allo specchio: il trucco colato, il viso pallido, gli occhi smarriti.
Claudia invidia il tuo corpo. Come i jeans skinny ti definiscono le curve, come il tessuto dei crop top si lascia modellare dai tuoi seni. Claudia non è amica delle brutte e tu lo sai bene. Eppure, hai buttato tutti i capi che – a detta sua – ti rendevano sexy, perché tu non vuoi essere sexy, tu vuoi essere vista
E se per esserlo devi scomparire sotto le felpe oversize, sotto un mosaico di ossa, sei disposta a riempirti lo stomaco d’acqua o a usare la tavoletta del water come cuscino, quando il vomito ti prosciuga le forze.
Paradossi del tipo che quando i tuoi genitori, rientrati senza preavviso, vedono il gabinetto intasato e resti di cibo giacere come cadaveri, ti chiedono gentilmente di sturare il water e pulire la cucina per poi sparire alle tue spalle, come se non esistessi. Allora tu – non tanto gentilmente – li mandi a fanculo e corri in camera, senza sapere dove quel fanculo si trovi. Speri che quel luogo ignoto li faccia incazzare e li spinga a rincorrerti, a liberarti dalla prigione rosa della tua stanza. Però, in fondo, nemmeno si sono accorti della nuova chioma da spaventapasseri. Ti aspetti grida, passi rapidi e pesanti, l’eco della porta della tua camera che sbatte contro il muro, ma a farti trasalire è l’ennesimo silenzio che ti schiaccia e ti ancora al letto.
Paradossi del tipo che accarezzi le punte dispari dei capelli, due ore prima una linea retta che sfiorava i fianchi – larghi come piacciono ai ragazzi, secondo quella stronza di Claudia –, la gola dolorante per la bile acida, l’addome magro che si affossa al di sotto delle costole e che un’ora fa sentivi così colmo da poter scoppiare; infine, la pelle secca e arrossata per la spugna di rame, tre giorni prima liscia e candida come quella di una bambina.
Paradossi del tipo che hai solo sedici anni, ma senti i giorni aggrovigliarsi e formare una matassa di se non la dai sei brutta, di cibo senza sapore e di vomito che sanno di assenze.
Allora apri la finestra e speri che piombare sull’asfalto faccia meno male di quando il tempo è piombato su di te, la sera in cui hai compiuto sedici anni.
Esprimi qualche desiderio per la prossima vita: un ragazzo che arrossisca prima di sfiorarti, una torta che si lasci mangiare, amiche che ti regalino abbracci, e genitori che si commuovano mentre soffi le candeline. Allora buon compleanno, anche se l’unico a soffiare è il vento. Ma accetti di perdonarlo a patto che ti liberi dai paradossi della tua vita.
Paradossi che, quando davvero perdi il respiro, fanno sorridere, anzi sbellicare dalle risate.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto ad olio di un occhio con una lacrima intrappolata nell’angolo”