Notre Dame

«Hai visto che è successo in Francia?» dice il commesso con la benda da pirata sull’occhio. Sta estraendo i pacchi di caffè da un carrello piazzato di traverso nella corsia del reparto e li passa a un collega addetto alla sistemazione sullo scaffale. Il commesso con la benda sull’occhio ha l’aria sempre ingrugnata che lo fa somigliare a un gargoyle e infatti, se è di turno in cassa, io evito la sua fila. Ricostruisco un passato di sofferenze possibili: un incidente, le prese in giro alle elementari, la compagna delle medie che gli preferisce l’amico, il sogno dell’Aeronautica che sfuma a causa del problema alla vista. 

Quello che non capisco è il collega, quello che i pacchi di caffè li prende dalle sue mani e li sistema di schianto uno accanto all’altro dicendo: «C’è della storia dietro ‘sta chiesa, roba di secoli. Ma se devo dire la verità non me ne frega un cazzo se va a fuoco o no». 

Ecco, lui per me è un mistero: prestante, barba brizzolata sulla carnagione abbronzata, i lineamenti da attore e l’incazzatura a fior di pelle. Forse si sente solo. Ma no, è impossibile, perché un giorno l’ho sentito dire: “Tutti che comandano qua dentro, è peggio che stare a casa mia”. Forse vorrebbe essere il direttore del supermercato invece che un commesso. Eppure il modo in cui maneggia tocchi di parmigiano, gnocchi e yogurt, come se fossero mattoni, non esprime amore alcuno per il mestiere, a qualsiasi livello lo si voglia intendere. 

Spero che si accorga che io e il mio carrello non passeremo mai se lui non sposta il suo. Aspetto pazientemente, lui o l’altro mi noteranno prima o poi. Alla fine mi stufo e il carrello lo scosto da sola: «Scusate, permesso». I due mi lasciano fare, senza aiutarmi, fissandomi infastiditi e risistemando il carrello dov’era prima, di traverso.

Raggiungo il bancone della gastronomia, dove il salumiere mi saluta sorridente: «Buongiorno signorina!».

Mi avrà visto decine di volte fare la spesa con uno dei miei figli o con tutti e due insieme, e nonostante questo continua a chiamarmi signorina. Ne ho dedotto di piacergli in qualche modo, se il suo cervello rifiuta l’idea che io mi sia riprodotta e possa magari essere impegnata con un altro uomo. «Ha visto, signorina, che roba è successa a Parigi?» mi dice con partecipazione. «Un disastro» gli rispondo.

«La vuole un po’ di mortadella in offerta?» propone come se mi offrisse un caffè per tirarmi su. Accetto, anche se a me la mortadella non piace, perché capisco che ci tiene molto. 

«Io a Parigi ci sono andato in gita con la scuola» ricorda facendo sibilare con sapienza l’affettatrice. «Notre Dame me la ricordo poco. Sa, eravamo ragazzini, ci interessava di più la tomba di Jim Morrison». Mi passa una fetta di mortadella da sopra il bancone, un dono sentito, che declino con una scusa: «Ho appena fatto colazione»

«E lei ci è mai andata a Notre Dame?» mi chiede.

«Parecchi anni fa» gli dico, «avevo appena conosciuto mio marito».

Non so perché ho scelto questo momento per chiarire che sono sposata, probabilmente perché lui è stato sincero su Notre Dame e Jim Morrison, anche se avrebbe potuto dirmi che il gotico gli aveva cambiato la vita, così, tanto per fare bella figura. Il commesso dei salumi si ferma all’improvviso e mi guarda un po’ spiazzato, forse deluso, con una fetta di mortadella che gli pende molle dalla mano: «È un etto e due, che faccio? Tolgo?»

«No no» dico io, «lasci pure» lo osservo mentre arrotola la carta e appiccica l’etichetta adesiva. «Grazie» aggiungo, confidando che il nostro rapporto di cliente e venditore riparta su basi più solide e limpide. 

«E di che! Arrivederci signorina» mi dice invece lui, radioso.

Ma è alla cassa che si decide se oggi sarà una giornata fortunata o meno. Dipende se c’è lei, l’Angelo del supermercato, che è il motivo per cui faccio la spesa qui. Incontrarla mi fa pensare che ho sbagliato tutto nella vita, perché se battere sui tasti di una cassa poteva rendermi una persona come lei, avrei dovuto fare quello: battere sui tasti di una cassa. 

“Ciao tesoro” mi dice di solito, “come stanno i bambini?”. Sentirmi dire tesoro da un estraneo per me è una sofferenza, sia chiaro, ma l’Angelo del supermercato lo rende un atto d’amore così spontaneo che ormai non posso farne a meno. Una volta l’ho vista pagare di tasca sua la spesa di un’anziana signora che altrimenti avrebbe dovuto rinunciare alla carne macinata. Un’altra volta ha consolato un bambino che piangeva facendolo sedere sul rullo scorrevole della cassa, per più e più giri, finché lui non si è messo a battere le mani per il gran divertimento. E non ho visto solo io, c’erano pareti intere di biscotti, contrafforti di lattine, rosoni di marmellate biologiche. E piccole preghiere venivano sussurrate dai clienti in fila, con rispetto, senza fretta, in attesa che lei finisse di servire il fortunato di turno e lo accompagnasse fino all’uscita augurando: “Buona giornata, tesoro, a presto”.

Se ti aspetti tutto questo e avvicinandoti alla cassa ti accorgi che l’Angelo del supermercato non c’è, la delusione è cocente, quasi insopportabile, perché le alternative sono: o il commesso con la benda da pirata o il commesso belloccio e incazzoso, oppure una commessa algida e muta, non scortese ma di una reticenza quasi programmatica; in alternativa, una seconda commessa che ciarla dei fatti propri, oltrepassando la tua persona per raggiungere la collega alle tue spalle, alla quale è rivolta la confidenza che tu sei costretto a processare tuo malgrado.

Ecco perché ora è con un po’ di apprensione che spingo il carrello. C’è da dire che io la spesa la faccio tutti i giorni per trarne il benefico saluto, a volte comprando latte e pane, solo per incontrarla. Ma oggi va male, ci sono solo le sue colleghe, che presidiano cassa 1 e cassa 2. 

Scelgo la reticente, perché non ho voglia di sentire i lamenti casalinghi dell’altra: la rata del condominio che è aumentata di quarantacinque euro, l’ernia di sua madre, l’umidità.

Mentre scarico la spesa sul ripiano, alle mie spalle, la sento chiedere all’altra: «Insomma, ma si sa perché non è venuta oggi?» E la reticente, a bassa voce, borbotta: «Dice che s’è sentita male per la chiesa». Alzo gli occhi e capisco che parlano di lei, dell’Angelo del supermercato. «Non è venuta al lavoro per la chiesa?! Quella che è bruciata?» chiede la ciarliera, sgomenta. «Eh» fa l’altra, «così ha detto».

La ciarliera scuote la testa, disapprovante, mentre io estraggo il portafoglio coi lucciconi agli occhi. Oh, Angelo del supermercato, quanto sei superiore a me, che in un giorno del genere compro mortadella e uova come se niente fosse! Sono sicura che tu hai chiesto un giorno di ferie e mai e poi mai uno di malattia, e io per questo, per somigliarti almeno un poco, lascio sul bancone cinquanta euro di mancia, così la tua collega può saldare il condominio.

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae la cattedrale di Notre dame de Paris che va a fuoco e un carrello della spesa davanti”