Lo scuorno di Alessandro

Pater Familia 

«Non ne vado fiero, a te posso dirlo» gracchiò Alessandro con la voce impastata dalla raucedine. 

«No no, non metterlo via. Fammi un secondo giro» disse alla ragazza minuta che gli stava davanti.

Lei lo guardò granitica, masticando la Big Babol facendola schioccare in bolle rosa contro il piercing che aveva sulle labbra. 

«Eva è così bella. So che non avrei dovuto accettare quell’invito a cena ma…Dio, tu non sai che effetto mi fa» proseguì ingurgitando il secondo bicchiere di bourbon. 

Contorse la bocca per l’acidità dell’alcol che gli bruciava in gola e piantò i gomiti sul bancone appiccicoso del bar.

Quello non era un venerdì come un altro. Aveva accettato l’invito a cena di una donna che non era sua moglie. Ed Eva non era un’ex fiamma qualsiasi, quella donna era stata l’oggetto dei suoi incubi bagnati e agitati per mesi. Un inseguimento estenuante, ricompensato da un pugno di attenzioni scadenti.

Gran sesso, poca sostanza. 

Lei era sfuggente, una felina dalle movenze eleganti e affilate, abituata a ottenere ciò che voleva semplicemente sbattendo le lunghe ciglia nere che le incorniciavano gli occhi smeraldini.
«Non voglio solo il suo corpo, non parlo di desiderio. È che mi fa impazzire sapere che ha bisogno di me, capisci Fra?» 

La ragazza lo squadrò dalla testa ai piedi, intenta a pulire un boccale di birra. Puntò gli occhi truccati su di lui, grigi e inespressivi. 

«Finché si limitava a qualche battuta maliziosa o azzardava una strusciata nei bagni dell’ufficio era un conto. Sapevo di poterla gestire, anzi, ti dirò che quasi mi sembrava patetica».

Alessandro si grattò la barba brizzolata e fissò il vuoto dietro le spalle della barista.

Le bottiglie stroboscopiche scintillavano ordinate sul ripiano dei liquori e Francesca ne era la padrona. Una sovrana austera e vigile. 

«Ma poi, quando ha iniziato a guardarmi come una bambina indifesa…ha sollevato i suoi occhioni verdi su di me, quasi sembrasse una supplica. Aveva bisogno di me, della mia presenza capisci?»

L’uomo le fece cenno di riempirgli il bicchiere e Francesca agguantò la bottiglia del Monkey Shoulder facendo tintinnare gli anelli gotici contro il vetro. 

«Non potevo dirle di no, non potevo» mugugnò strofinandosi la faccia contro i palmi delle mani callose. «E Lucrezia? Mia moglie mi aspetta a casa con il tacchino in forno e io ho appena accettato di guidare cento chilometri per raggiungere la casa di un’altra donna».

Alessandro buttò giù il terzo bicchiere.

In fondo al vetro sporco trovò la sua consapevolezza: aveva soffocato il suo spirito paterno. Avere una donna era l’unico modo per dargli un senso.

«Non guardarmi così, Fra. Lo sai che amo mia moglie» tuonò con una punta di disperazione alla ragazza. «Posso fumare?»

Francesca masticò lentamente il chewing-gum e indicò con gli occhi il cartello Vietato fumare sopra la sua testa mentre pestava il basilico per un mojito.

«Andiamo, mi conosci da anni, sono nervoso. Faresti un’eccezione?»

La ragazza staccò gli occhi dalla poltiglia odorosa che aveva per le mani e gli incatenò addosso uno sguardo immobile. 

La sufficienza regnava sul viso pallido. Il metallo che bucava naso e bocca tradiva i lineamenti puliti e giovani.
«E va bene non fumo!» esclamò Alessandro ricacciando la sigaretta in tasca «Però fammene un altro. Stavolta con ghiaccio».

Francesca gli scoccò un accenno di disapprovazione addensando la fronte liscia. Poi gli riempì il bicchiere.

«Mi gratifica sapere che una donna abbia bisogno di me. È sbagliato vero?»

L’orologio ovale del bar scoccò le undici con un orrido suono e Francesca cominciò a ripulire il bancone, facendo piccoli cenni con la testa ai clienti che se ne andavano.

«Che poi scusami perché dovrei sentirmi in colpa? Mica vado da lei per sbattermela sul divano. Nessuno qui parla di sesso e tradimento. Dopo tutto quello che ho passato per lei penso di potermi concedere un confronto» obiettò Alessandro battendo un pugno sul legno incrostato.

«No no ferma, so cosa stai per dire» disse alzando una mano, bloccando un intervento che non avrebbe mai preso vita, «È difficile per Lucrezia capire che le mie intenzioni sono pure se le azioni sembrano sporche, lo so».

Finì l’ultimo sorso del Monkey Shoulder  e sbatté il bicchiere. Si lisciò la cravatta scarlatta che spiccava sulla camicia bianca.

«Per questo non so se dirglielo. Dici che dovrei?»

La ragazza fece per prendere il bicchiere vuoto ma Alessandro fu più svelto e se lo mise al petto.

«No, hai ragione, sarebbe folle. “Amore domani vado a cena a casa di Eva, la mia ex problematica per cui ho sofferto come un cane che da due settimane a questa parte mi guarda come se volesse spolparmi vivo, ma stai tranquilla io voglio solo parlare”. Devo chiudere il cerchio, voglio solo guardarla in faccia e avere un confronto» cinguettò alzando il tono della voce di qualche decibel, mentre l’effetto del bourbon lo assopiva.

«Quale moglie ci crederebbe?» continuò alzando le braccia. 

La ragazza lo fissò, lo sguardo impassibile. Poggiò le mani sui fianchi, in attesa che l’ultimo cliente sbaraccasse, così da permetterle di infilarsi le cuffie e ascoltare Bruce Dickinson fino alla metro. 

«Tu ti esprimi come donna che merita onestà dal suo compagno» asserì guardando la snella figura della ragazza vestita di jeans strappati e una maglia a rete.

«Dirò la verità a Lucrezia. Mi metterò a nudo e cercherò di mostrarle il caos che ho dentro. Se mi ama capirà non credi?»

Alessandro si alzò e poggiò le banconote sul bancone legnoso.

«Grazie Francesca. È stato illuminante parlare con te»

Poco prima che l’uomo si ributtasse nelle umide strade di Torino una voce cremosa gli accarezzò la pelle.

«Alessandro».

Lui si girò, la porta del locale aperta trattenuta dal braccio teso e l’aria ghiacciata che gli mordeva la pelle. Francesca era dritta dietro il bancone, aveva indossato la pesante giacca di pelle lucida e lo guardava, i piercing che le luccicavano sotto le luci soffuse. 

«Perdonati e amati di più».

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“Dipinto ad olio di un uomo brillo di spalle che esce da un bar tenendo la porta aperta”