Consoling girl - un lungo piano sequenza

La porta si apre e parte il mio ciak! Da adesso buona la prima.

«Ciao» fa quello che dovrebbe essere il padre. «Entra pure, Mirko è nella sua camera».

Skinno dentro a occhi bassi, ché un po’ d’ingenua timidezza ci sta, ma appena gli passo accanto li alzo fino ai suoi, giusto il tempo di sbattere le palpebre un paio di volte come so fare io. Anche un po’ di civetteria ci sta. È un bell’uomo.

La porta blindata dell’appartamento si chiude alle mie spalle con rumore metallico e sento tutti gli occhi su di me.

«La camera è quella» mi dice indicando la seconda porta a sinistra.

Tocca a me. Vado. Pochi passi, giro la maniglia e mi fermo. La stanza è al buio.

Si sarà notata la mia espressione da pecorella smarrita?

«Mirko, accendi la luce, c’è la tua amica».

Nessuna risposta, nessuna luce accesa.

Il papi varca la soglia e stende il braccio sulla destra a cercare l’interruttore.

«Spegni quella cazzo di luce…» si lagna subito Mirko dopo il click. «Che accendo la lampada».

L’illuminazione passa dai toni freddi di una lampadina a risparmio energetico a quelli caldi della lampada di sale sistemata sul comodino. Mirko è a letto, con le coperte fino al collo e una scontatissima faccia afflitta. Attorno a lui sembra che sia esplosa una bomba; indumenti in giro, su sedie divano e per terra, insieme a calzini puzzolenti, bottiglie e lattine vuote; c’è anche qualche cicca sul pavimento – qui si esagera.

«Chiudi la porta Pa’».

E con la porta che si chiude il papi esce di scena.

Mi tolgo il piumino.

«Dove lo metto?»

«Buttalo sul divano e vieni qua»

«È grande questa stanza» dico io. «Vuoi che tiri su le serrande per far entrare un po’ d’aria e di sole? È una bella giornata»

«No, ho detto vieni qua» risponde lui, con una voce così greve che sembra rintanato sotto il piumone. Sta seduto a letto in una patetica posa da afflizione, con il collo dritto e lo zigomo contro la parete, ma l’ho sgamato che mi guardava il culo.

«Per me no» fa quando gli siedo accanto, subito dopo aver poggiato la testa sulla sua spalla.

«No cosa?» faccio io, che l’ho capito non sono mica stupida, ma piace così tanto a tutti quando faccio l’ingenua, e poi mi riesce molto bene.

«Per me non è una bella giornata»

«Nemmeno adesso che ci sono io?» ma anche la smorfiosa mi riesce bene.

Faccio scorrere la mia mano sul suo petto. Le cicatrici dei tagli che si fa da quando i suoi hanno divorziato si avvertono anche sopra la t-shirt.

«Grazie che sei venuta»

«Solo perché sei tu. E fai bene a ringraziarmi, con gli altri non mi muovo a comando».
Percorrere con le dita le sue cicatrici mi procura un effetto impensato: mi sto bagnando, cazzo! Non so quanto sia professionale e se posso permettere che accada. Nel dubbio, meglio pensare ad altro.

«Lei chi era? La conosco, è del giro?»

«No, non è del giro»

«Peccato, preferisco quando sono del giro. Mi diverto di più, diventa quasi una sfida»

«Secondo me ti divertirai lo stesso» fa scostando le coperte a poco a poco, con la giusta suspense che richiede la scopertura della cappella.

«Non dico di no» replico io facendo scendere la mano sul suo cazzo bello duro. «E come si chiamava?»

«…Monica…» sospira lui.

«Che nome da vecchia», dice l’ingenua.

«…ha diciott’anni…»

«Appunto. E che ti piaceva di lei?» chiede la smorfiosa.

«…che usava la bocca per succhiarmelo e non per parlare…»

Sorrido maliziosa e chino la testa scostando una ciocca dietro l’orecchio. La sua mano lascia il cazzo alle mie cure e passa ad accarezzarmi i capelli. Avverto una scontata tenerezza nel gesto, e mi va bene così; anche se lo so che queste carezze non sono per me ma per Monica, accetto ben volentieri di essere lei. Sono l’attrice che ha bisogno di essere lei, sentire cosa provava e cosa Mirko provava per lei, sapere come lo faceva e come faceva sentire lui.

Prendo fiato.

«Ti piace?»

«E a te?»

«Ma dimmi un po’, Monica come ti spompinava così…» e scendo due o tre volte a bocca aperta, meccanicamente, «o così?», chiedo riprendendoglielo in bocca, succhiandoglielo con lo schiocco, come per un bacio.

«…così, sì, continua così…»

La sua mano raccoglie i miei capelli in una coda che tiene stretta tra le dita. All’inizio accompagna il mio movimento, poi, e sempre più, è lui a dare il ritmo. Le mie dita giocano con le sue palle, ne soppesano la consistenza, le raccolgono nel palmo solleticandole con il mignolo. Finché non mi tira su per la coda all’improvviso, proprio quando c’ero quasi, mi sentivo davvero Monica, e resto con la bocca aperta e la saliva che cola mentre lui mi squadra con occhi che non so decifrare. Ha le narici aperte e dilatate e non so che pensare. Mi bacia. La sua lingua scava dentro fino a trovare Monica, e ora che lei è qui e lo sa anche lui, dà un tenero morso al mio labbro inferiore e mi spinge di nuovo giù. Ha sciolto la coda, e con entrambe le mani sulla mia testa a ogni mio affondo mi blocca per un po’, sempre di più.

Lo so cosa vuole. Sono qui per darglielo. E l’ottiene. Ingoio tutto, mentre lo sento ansimare la parola amore.

Le loro ex non le chiamano mai per nome quando li faccio venire. In quel momento tutte si chiamano Amore, me compresa.

Mirko si è acceso una sigaretta, io rimetto la testa sulla sua spalla. «Un giorno o l’altro ti chiederò perché fai ‘sta cosa» butta lì, senza convinzione. «E ti risponderò che voglio fare l’attrice»

«Porno» aggiunge lui credendosi originale e simpatico.

La mia risposta sta tutta in mezzo sorriso e in uno sguardo fermo, ma ho pur sempre davanti un maschio.

«Non sono già brava in questo?» dico accarezzandolo, per sentirlo diventare ancora duro.

«…Bravissima…» fa lui socchiudendo gli occhi.

Incasso il complimento e mi chino un’ultima volta, per baciarglielo sulla punta con l’affettuosità della bimba, come penso avrebbe fatto anche Monica.

«Ciao, ora devo scappare»

«Già?»

«Te l’avevo detto che potevo fermarmi pochissimo, domani ho due verifiche scritte e non so nulla»

«Se ti chiamo dopo la scuola, nel pomeriggio?»

«Non lo so, prova… Stamattina Giulia mi diceva che ha rotto con Matteo… chissà, magari mi trovi libera oppure no»

«Matty e Giulia hanno rotto? Mhm. Ce l’hai il numero di Giulia?»

«E tu, ce l’hai quello che mi devi?»

«Ehm, a proposito, ti stavo per dire che oggi sono a corto perché mi deve ancora arrivare il materiale, ma non me ne hai dato il tempo. Va bene se facciamo la prossima volta?»

«Non c’hai nemmeno due zars da lasciarmi?» ecco che torna la smorfiosa.

Mirko scuote la testa.

«Ho solo queste» dice aprendo il cassetto del comodino.

Ci guardo dentro e scorgo tre scatole di Xanax.

«Va benissimo» faccio io agguantandone una.

«Oi oh, tutta no, dai qua!» e mi strappa di mano la scatola, la apre e ne stacca due dal blister. «Tieni».

Due paste atterrano sul mio palmo.

«Passa domani per il resto» aggiunge facendomi l’occhiolino.

«Facciamo che va bene così» rispondo dopo averci riflettuto un po’, «domani è un altro giorno».

E qui dovrebbe partire il tema principale della colonna sonora, come in quel film famoso a cui ho rubato la battuta, però non accade, così metto lo Xanax nella tasca dei jeans e mi alzo per recuperare il piumino dal divano. Saluto Mirko con un bacio sulla guancia, non come avrebbe fatto Monica ma come so fare soltanto io, e lui risponde prendendo un’ultima lunga boccata dalla sigaretta prima di spegnerla nel posacenere.

Mi chiudo la porta alle spalle e mi ritrovo all’ingresso di casa che s’è fatto più buio. Lancio un ciao verso quella che sembra la camera del padre, illuminata dalla flebile luce di una lampada azzurra, e faccio per uscire scorrendo il chiavistello ma la porta rimane chiusa.

Una porta blindata chiusa a chiave.

Poco dopo qualcuno mi raggiunge alle spalle e mi apre da dietro.

Fuoricampo la voce di Mirko che fa: «Oi Paolo, Pa’! Se te la devi trombare trascinala in camera tua e chiuditi la porta che voglio dormire!»

STOP!

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae una stanza buia con un letto dove sono seduti un uomo che fuma una sigaretta e una donna”