
BOTTANA INDUSTRIALE
«Io non ho intenzione di litigare di domenica al mattino presto, scusi eh, sono qui da giugno e sono stata benissimo. Questi due ombrelloni li ho affittati stamattina alle sei, li voglio proprio davanti alla battigia, mi sono spiegata?»
Nera come una melanzana tunisina, la pelle raggrinzita e cascante, come la scorza di un’arancia dimenticata fuori dal frigo. Biondissima, frangetta platino tendeggiante sugli occhiali-mosca enormi, costume a due pezzi bianco, il reggiseno a triangolo allacciato due volte dietro la schiena passando dalle ascelle per scongiurare i segni del costume alle clavicole. Una Mariangela Melato invecchiata male. La crema solare un teorema da confutare. Ma il sole ha dalla sua la matematica della fusione dell’idrogeno che al 38° parallelo nord produce sul suolo siciliano temperature estive sui 40°C, per cui di tanto in tanto esce dalla borsa di paglia hawaiana un burrocacao stick che sfrega su e giù sullo sterno abbrustolito.
«Yousef, scusami, manca il gancio a quell’ombrellone lì, non so dove appendere le borse, potresti portarmene almeno uno?»
Il marocchino, un colosso di due metri col passo di antilope, l’organismo in modalità risparmio energetico per affrontare una nuova giornata di sole e fatica uguale alle altre, nemmeno le risponde, fa prima a rimpiazzarle tutto l’ombrellone con un altro dotato di ben due ganci, per farla contenta.
Dopo aver spostato le sdraio dei malcapitati a suo tiro a più di un metro di distanza da lei perché il tratto di bagnasciuga ai suoi piedi possa essere di sua esclusiva pertinenza, estrae meticolosa due teli mare – uno in microfibra per evitare il contatto diretto con la plastica della sdraio, l’altro spugnoso per detergersi dall’acqua salmastra – e li stende sui due lettini a sua completa disposizione. Il marito, un calvo notabile, bancario milanese, rimasto fino a quel momento sullo sfondo delle gesta della moglie su cui l’attenzione della spiaggia si è ormai concentrata, ha per sé modestamente un ombrellone e un lettino. Entrambi leggono. Ognuno il proprio libro sul proprio lettino, beninteso. Così il distacco borghese è ristabilito dopo la scenata con il signore panciuto, colpevole di aver cercato refrigerio ammollo sulla stessa linea di sole dello sterno annerito, e la rispettabilità è confermata dalla lettura di un giallo in cui delitto e crimine si mescolano a storie di lasciti, eredità e ville sul lago.
Davanti a lei il mare è un nastro sull’orizzonte di un azzurro irreale, una macchia blu profonda che via via dirada in tonalità cristalline verso la riva dalla sabbia bianchissima. Yacht incollati al fondale celeste del cielo, super santos rossi sospesi ad arco, materassini di gomma giallo-verdi alla deriva, al largo cigni-pedalò arancioni, racchette e palline da ping pong impazzite senza sosta dalla sponda alle secche di bassa marea. L’artificiosità sgargiante di una cartolina turistica perfettamente riprodotta su scala reale.
Lei avanza circospetta, si immerge piano, ma solo dalla cintola in giù, attenta ai mocciosi coi loro gridolini di piacere, ci mancherebbe solo che le rovinino la piega, pensa lanciando occhiatacce di riprovazione agli schizzi e spruzzi che minacciano il suo blowout. Un borbottio rotola a catena giù sul ventre, cassa di risonanza pendula, oddio qualcuno avrà sentito? Due bimbetti lì vicino si lanciano lunghi fili di alghe nere, a rischiar di colpire la gente, con quelle erbacce incollate alla pelle sembrano due selvaggi, alle spalle qualcuno grida, nein Albert komm her, che vergogna, questi turisti,lasciano i propri figli a far ciò che vogliono. Un tuonare sempre meno sommesso risale stavolta su verso l’ombelico. Lo sapevo che il cous cous di ieri sera era cucinato male, troppo aglio, troppo olio, fanno sempre soffritti e frittura, una cucina fondata sul fritto, e certo che qui son tutti obesi, hanno tempo da perdere a friggere. Il cameriere vedendola uscire dalla porta a vetri l’aveva calorosamente mandata a quel paese. E prima la bruschetta con tartare di gambero: scusi eh ma il pane è asciutto, con quello che costa questo antipasto almeno un po’ di onestà nei confronti del cliente; poi il risotto del marito: “è salato non lo senti? ma a me sembra buono, no no che ti sale la pressione, conosco i miei polli e non voglio rischiare, cameriere dica gentilmente al cuoco se può rifarlo con meno sale. Il vino, invece, doveva rispettare un suo gusto personale ignoto a qualsiasi cantina sulla faccia della Terra: prima ha tastato un Syrah poi un Grillo bianco, parendole entrambi annacquati ha decretato che ne avrebbero fatto a meno, annichilito il marito.
Ma no, nessuno può aver sentito. Richiami e schiamazzi impazzano da un capo all’altro della spiaggia e su tutto, come una coperta pesante, ovatta e confonde il rombo del mare. Vicina al suo lettino, sul confine con la spiaggia libera, una donna settantenne, distinta e con un gran bella capigliatura nivea e forte, racconta a un’amica del nipotino tanto bravo a scuola, tanto curioso e intelligente, «pensa che sa raccontarmi per filo e per segno cosa fa a scuola e con tale proprietà di linguaggio!». «Mio nipote, invece, abita a Francoforte da poco meno di un anno, ma è nato in Belgio, sa il tedesco e il francese, oltre che l’italiano naturalmente, le sue sorelle fanno la scuola francese…» si intromette lasciando le altre due interdette.
Il brontolio ritorna insistente più di prima, allora è fame, ho un certo languorino, andiamo a prendere un gelato, l’annichilito stavolta zampetta allegramente inforcando gli infradito infuocati. Le vie del paese, deserte e tremendamente calde e assolate la mattina, si tingono al tramonto di tonalità perlacee e carnicine, ai cui lati scorrono due ali di edifici bassi e cubici, come si possono ammirare nelle isole greche o nelle città della Tunisia, come fossero di marzapane, d’inverno case dei paesani che d’estate le affittano a turisti e ristoratori. In alcune di esse si trovano negozi di souvenir e gelaterie-pasticcerie fornite di tutto quanto il turista può desiderare avendolo covato cogli occhi per mesi sui social, dai cannoli alle genovesi, dalle granite alle brioche col gelato.
Quattro mesi, da giugno a settembre, di gettito monetario pompato dal turismo, un sistema circolatorio cittadino alterno estate/inverno, la pressione del contante regolata dall’alta e dalla bassa stagione, un’economia costruita sulle aspettative e le attese del turista che durante l’anno lavorativo, tra un break e l’altro in ufficio, ha vagliato le possibili mete vacanziere lasciandosi suggerire da un reel di tiktok o dalle stories in evidenza dell’influencer-wanderlust.
«È troppo zuccherato» dopo aver assaggiato tre o quattro gusti diversi, «se proprio devo esagerare con tutti questi zuccheri opto per la cassata che non ho ancora avuto modo di assaggiare, quella lì piccolina, sì».
Chincaglieria dolciaria atta ad ammaliare gli occhi del turista più che a solleticarne il palato, come del resto suggerisce pure l’arredamento minimalista, tutto neon a luce fredda e acciaio anodizzato riflettente, il bancone su cui poggia le mani pesanti e abbronzate il cassiere in elegante marmo bianco e alle sue spalle una notte stellata vangoghiana piastrellata a mosaico. La piaggeria vanesia e adulatrice nei confronti del cliente rimbalza prepotente e comica dal sorriso del proprietario della gelateria-pasticceria che si è fatto ritrarre nella posa antica di un ritratto settecentesco con tanto di mano napoleonicamente infilata nel panciotto.
Il viso del self-made come marchio di qualità e garanzia sui menù, sulle pareti e sui grembiuli dei dipendenti senza ferie né tredicesima, solo due o tre di loro in regola, gli altri sanno che nel caso di una visita della finanza devono mescolarsi con la clientela, orario di lavoro: dodici ore, dalle dieci del mattino alle dodici p.m. con pausa pranzo in mezzo, sette giorni su sei, nessun ricambio. Per cui a mezzanotte e mezza c’è il coprifuoco: non un locale, un pub, una pizzeria resta aperta e il paese ripiomba, cenerentola della controra estiva, nel suo vero aspetto di scacchiera bassa spazzata dal vento marino.
«Senta, lo avvolga in quella carta colorata, quella siciliana». Pregusta cogli occhi il dolce verde bianco-rosso, seguendolo passare dal bancone frigo alla bilancia pensa ai commenti che fioriranno sotto al post su Facebook.
«Mamma mia che persona camurriusa, antipatica da morire». La cameriera, alla quale uscendo ha lanciato un’occhiataccia di disprezzo per le sue ciocche fucsia, non si trattiene. «‘A solita bottana industriale». Sentenzia efficacemente il collega.
Fuori, lei rimira prima del boccone la minuscola cassata siciliana, tanto piccola da tenersi comodamente sul palmo di una mano, ma con i suoi canditi colorati e la pasta verde attorno, avvolta da una carta sgargiante su cui è stampigliata l’isola a tre punte rosso-gialla drittamente spedita in volo dentro un cestino della spazzatura.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto ad olio che ritrae una piccola cassata siciliana sul palmo di una mano e sullo sfondo il mare”