ALESSIA COLICCHIO
Vivo a intermittenza in un mucchio di confusionarie strade cittadine, ma sono nata in un sentiero paesano tremolante, dal quale ho preso in prestito gli occhi delle volpi, ricordi in dialetto, raccomandazioni già dimenticate, olio d’oliva, il passato remoto, qualche soppressata, solitudine e soprattutto un forte senso di umanità.
Ho ventiquattro anni, ma faccio fatica a contarli.
Ho ricordi spezzettati della mia infanzia: un manifesto contro le persone cattive scritto a cinque anni, le mie sorelle che cercano di convincermi di essere stata adottata, una foto di me sospesa sugli alberi dell’orto, e le parole di mamma aggrappate alle caviglie: «la gioventù va via presto sulla terra, figuratevi sugli alberi, dove tutto è destinato a cadere: foglie, frutti»; alcuni resti di un vecchio video, seduta sulle gambe di mio padre.
Ricordo me, sola nel letto a bisbigliare la buonanotte a tutta la mia famiglia, a Lucky, a Flipper, ai cagnolini abbandonati, a Lea, a Giotto, ai miei amici e a quelli che verranno, alla neve che non mi fa andare a scuola, a chi, un po’, mi farà conoscere le lingue del silenzio e il peso dell’amore, a chi viaggia in direzione ostinata e contraria.