Rudolf

“…di vertigine in vertigine
dove è più leggero esistere”
L’equilibrio è un miracolo

Patrizia Laquidara

 

Un dettaglio può cambiare la tua vita.

Soprattutto se la vita in questione è quella di un criceto, che non vanta grande longevità.

Che destino miserabile, pensavo, quando avvicinavo il viso alla gabbia, gli occhi mi si facevano fessura e io mi calavo nei panni di Amelia Kinkade.

Allungavo il dito mignolo e lo infilavo tra le sottili grate che separavano me da Rudolf, affinché riconoscesse il mio odore. L’avevo battezzato così per la sua origine e la sua spiccata somiglianza con il bobbista svizzero Rudolf Marti. 

Rodrigo, il mio ex, me lo aveva regalato per porre fine alla nostra relazione e scuotendo il capo in quel suo modo tipico indiano, mi ripeteva per l’ennesima volta che avevo una fissazione, ormai, con la storia delle somiglianze.

Era lungo circa dieci centimetri, Rudolf. Piuttosto tozzo, con una piccola coda ricoperta di pelo, aveva occhi tondi e neri, molto sporgenti. Tutto il corpo era ricoperto da una folta pelliccia, che lo faceva apparire più grosso di quanto non fosse. Spesso mi sorprendevo a immaginarlo rasato, ma distoglievo subito il pensiero per l’imbarazzo.

Aveva un mantello color cachi chiaro e una sottile striscia scura gli partiva dal naso e scorreva lungo il dorso. La metà inferiore del corpo era crema e la parte inferiore delle zampette era ricoperta da una pelliccia argentea.

Rudolf era una perfetta palette in miniatura.

Hai un’ossessione con questa cosa delle palette, ripeteva Rodrigo sgranando gli occhi.

Come se fosse una novità, poi.

Ma d’altro canto Rodrigo non era mai riuscito a dire niente che potesse sorprendermi.

Ecco perché pensai che, per quanto quel criceto fosse l’ultima cosa che volevo, era sempre meglio che tenermi lui.

Dopo qualche settimana di convivenza, io e Rudolf finimmo per stabilire un contatto. Lui aveva capito che avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni baloccandosi e io, sempre di più, pensavo che Rodrigo mi avesse fatto il miglior regalo di addio possibile.

L’unica variazione sul tema delle giornate di Rudolf, era il passaggio al piano superiore della gabbia attraverso una scaletta, spostamento che lo conduceva a una casa in miniatura fornita addirittura di tetto.

La privacy è una cosa importante anche per i criceti, questo lo capivo.

D’altra parte era consolante sapere che anche Rudolf, come me, aveva bisogno di rintanarsi.

Di non essere visto.

Di potersi pure fingere morto, se ne avesse avuto voglia.

In quel mutuo scambio di non detti e di discreta comunione di intenti, io e Rudolf avevamo trovato il nostro equilibrio. Non provavo sentimenti per lui. Pena, simpatia, vicinanza, aspettative o, almeno, repulsione. No, nessun tipo di emozione.Era davvero liberatorio.

Tuttavia, spinta dalla curiosità, decisi di aggiungere un arredo alla sua abitazione.Sentivo di doverlo ringraziare, in qualche modo.

Una notte avevo fatto un sogno in cui io e Rudolf, spinti da una tormenta di neve, seduti vicini sopra uno slittino vintage, scendevamo in picchiata verso un ripido dosso di ghiaccio che ci catapultava nel nostro Paradiso.

Atterrati in una sala enorme, illuminata solo da piccole candele già in fin di vita, i nostri occhi si riempivano di meraviglia. Lui mi guardava, io arrossivo.

Le pareti erano fatte di semi di soia, di farro, miglio e di girasole, di carote, mele, sedano, zucchine, lattuga e pere. Tutti cibi che amavamo entrambi e condividevamo quotidianamente. Tutti i cibi che Rodrigo detestava, carnivoro spietato qual era.

I pavimenti della stanza avevano libri al posto delle piastrelle e, al centro, svettava un grande metallofono multicolore arcuato che pareva un ponte. Rudolf sgranocchiava un pezzo di muro, io sgranocchiavo la copertina di Lolita di Nabokow.

Si chiama picacismo, questa cosa che fai. Non è fame di parole buone, ma un disturbo, mi tormentava Rodrigo quando mi appartavo per dare sfogo alla mia passione.

Quando alla fine del sogno ci eravamo ritrovati faccia a faccia, io e Rudolf, al centro della passerella ricurva; una luce opalescente aveva ricoperto tutto impedendomi di capire cosa stesse per succedere. Quindi mi ero svegliata, zuppa di sudore.

Nei giorni successivi al mio sogno, Rudolf sembrava dimesso. Quasi triste. Mi convinsi che avesse bisogno di un incentivo e che quel sogno fosse per me una specie di mònito.Chiamai Rodrigo di buon’ora, la mattina successiva. Avevo bisogno di sapere dove aveva acquistato Rudolf. Non rispose affatto, né alle chiamate né ai messaggi.

La cosa mi fece innervosire non poco, ma cercai di controllarmi per il bene di Rudolf che, evidentemente, percepiva il mio stato d’animo somatizzandolo. Avevo letto da qualche parte di questa innata capacità di bambini, bestie e addirittura piante di entrare in empatia col “sentire” dell’altro. Una cosa mostruosa.

Guardavo il display del telefono con insistenza per vedere se Rodrigo mi avesse almeno letta e, intanto, tagliavo un pezzo di mela sottile sottile per Rudolf, che era inappetente ormai da alcune ore.

Gli passai una fetta che prese rapidamente tra le dita minuscole, io accostai le labbra alle sbarre, le arricciai e gli soffiai sul muso. Ormai eravamo in confidenza. Rudolf appoggiò le zampe sul mio naso facendomi il solletico con le sue vibrisse tese, io scoppiai a ridere e, per tutta risposta, lui mi affondò gli incisivi nella carne. Mi buttai a terra, di schiena, coprendomi il viso con la mano. Stavo sanguinando.

Mi venne in mente quella volta in cui Rodrigo mi pizzicò le dita nella porta gridandomi quanto fossi inopportuna, che lui in bagno voleva starci da solo.

Ma io dovevo entrare per parlargli, era urgente.

La privacy è una cosa importante, certo che lo sapevo.

Era Rodrigo, piuttosto, a non capire che alcune cose vanno fatte quando è il momento.

Rudolf intanto si era nascosto nella casetta, dopo il gesto impudente. Vedevo il cotone che gli avevo messo dentro alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro concitato. Ero delusa da lui, lo ammetto.Ma potevo comprendere che fosse nervoso, adesso addirittura pentito. E che non si rendesse conto di quello che aveva fatto.

Tutta colpa di Rodrigo, del suo pressapochismo. Non si regala una bestia così, senza dare informazioni.

Mi disinfettai la ferita e ci misi un cerotto, poi uscii a cercare un negozio di animali qualunque. Il navigatore sul telefono mi portò in un posto dal nome bizzarro. Quando aprii la porta di Mango Jungle, non ero sicura che avrei trovato quello che faceva al caso nostro, decisi di rischiare. Forse il nuovo suppellettile che avevo intenzione di comprare, avrebbe consentito a Rudolf uno svago maggiore e, a quel punto, avrebbe accelerato la pace tra noi.

Il mio ingresso fu accompagnato dal tintinnìo stridente di un campanello. Una donna sui quarantacinque spuntò fuori da una tenda a perline con addosso un grembiule e un sorriso anonimo. Dichiarai che da poco avevo un criceto in casa, che cercavo un ninnolo per farlo divertire e che non mi intendevo di bestie.

O quasi, se pensiamo a Rodrigo.

La commessa, una cofana bionda e due seni enormi strizzati sotto un dolcevita di lana infeltrito, si premurò di farmi un elenco completo delle caratteristiche e delle esigenze dei roditori domestici.Era identica a Dolly Parton.

Vede, mi diceva sventolando gli arti superiori come Picasso alle prese col Guernica, il criceto russo caratterialmente è molto attivo, soprattutto la notte. Per giocare e correre ha bisogno di spazio e quindi la sua gabbietta deve essere accogliente, fornita di quello che gli serve per svolgere qualsiasi attività.

Scegliere il criceto come animaletto domestico può essere un’idea per chi vuole l’affetto di un pet. Nonostante ciò, accudire un criceto non è cosa da tutti. Non ingombra, ma è molto sensibile. Non tutti i roditori sono uguali e, come si dice, a ogni pet il suo toy!

Lei cosa cercava, esattamente?

Piuttosto confusa da tutte le sue parole e i suoi stucchevoli inglesismi, avevo biascicato qualcosa e lei, non riuscendo a capire, aveva proseguito il suo sproloquio.

Veramente me l’hanno regalato, dissi, cerco di adeguarmi. 

Ci fu un silenzio gelido. Poi la commessa riprese a parlare senza margini.

Il beverino? Mi raccomando al beverino, che sia sempre pieno e pulito e che i recipienti per mangiare siano ri go ro sa men te in metallo, che se si ingoiano la plastica muoiono!

Ero sfinita, quando mi cadde l’occhio su una scatola impilata e incastrata tra le altre, sul ripiano in basso di uno scaffale, e chiesi se potevo tirarla fuori. Si, prego, mi fece Dolly alzando il sopracciglio come faceva Rodrigo quando, al termine di un suo infinito soliloquio, veniva interrotto da un mio gesto o da una mia parola fuori contesto.

Hai la capacità attentiva di un criceto, bofonchiava.

Stupefatta, mi ritrovai tra le mani un gadget identico a quello che avevo visto in sogno.

Ah, si, quello è bellissimo! È un ponte! È solido, utile come nascondiglio e consente al criceto di arrampicarsi assicurando un buon esercizio fisico…Insomma, come si dice, un accessorio ideale per gabbie da roditori. Non mi dica che il pelosetto ha solo la ruota, riprese la commessa con un sorriso lezioso, ora che mi spiava da dietro le spalle.

Avrei voluto non scompormi, ma come mi succedeva con Rodrigo, ogni tanto urgeva rimettere le persone inopportune al loro posto. Così mi voltai, sorrisi e mi diressi alla cassa per pagare, senza risponderle. Sentii il telefono vibrare dentro la tasca del jeans, lo tirai fuori, “Ehilà, ma non dirmi! il criceto è ancora vivo?” un messaggio di Rodrigo. Forse era ancora arrabbiato, potevo capirlo. Essere mollati così non piacerebbe a nessuno. Tecnicamente era lui ad avermi lasciata, ma a chi importano certi dettagli. Io di certo non l’ho spinto a farlo, poi, chiaro, essendo noioso anche per se stesso, ha dovuto inventarsi la grottesca storia del tentato sequestro nella mia cantina.

Perché mai avrei dovuto trattenere uno tanto tedioso in casa mia?

Non sono mica masochista. 

Sadica, dice lui. Questo mi ha scritto su quel biglietto monco, quando mi ha fatto trovare Rudolf fuori dalla porta: “Vediamo il ratto, quanto resiste”.

Piantai gli occhi in quelli della commessa che, mentre batteva lo scontrino, si premurò ancora di informarmi che, certo, erano i criceti siriani a detenere il record di longevità ma che, ovvio, se io mi fossi spesa per rendere al meglio l’ambiente e la vita al mio pet, probabilmente avremmo vissuto un idillio per almeno tre anni.

In ogni caso tre anni non saranno mai un idillio, ma una prigione. Dunque ci auguro che duri il meno possibile, le dissi, laconica, allungandole venti euro sul banco e prendendo il mio sacchetto, per poi salutarla e uscire. Percorsi la strada a piedi, in preda a uno stato di febbrile eccitazione, pensavo alla faccia che avrebbe fatto Rudolf davanti al suo nuovo giocattolo ed ero sicura che mi sarebbe stato grato. Sapevo che avrei dovuto aspettare il crepuscolo per vederlo entrare in azione.

Negli ultimi giorni, infatti, mi ero messa a studiare proprio tutto sulle abitudini notturne dei criceti e ora mi spiegavo il perché durante il giorno Rudolf preferisse dormire. Lo osservavo muoversi arzillo, nel buio e, ultimamente, mi piaceva annusare la sua gabbietta. Non lo volevo stressare, è che dovevo essere sicura di pulire tutto per bene quando serviva e, soprattutto, impedirgli di fare quella cosa oscena.

Si, avevo letto che è nella natura dell’animale, ma per Dio, se vivi con me io ho il dovere di educarti a rispettare le regole e, a casa mia, la coprofagia è bandita.

Può darsi che io sia diventata troppo presente da dopo l’incidente del morso, ma se non monitoro le deiezioni che fa Rudolf e quello fa veloce a mangiarsele, io poi come posso pensare di prenderlo tra le mie mani e …

Si, lo ammetto. Il nostro livello di intimità si era, diciamo, via via approfondito. Ultimamente aprivo spesso la porta della gabbia per accarezzarlo. Era stato Rudolf a richiederlo, però, sia chiaro. A me com’era prima andava benissimo, senza coinvolgimento, senza emozioni. Il fatto è che, dopo quel sogno, lui aveva preso a tirarsi su, sulle zampette e ad attaccarsi alle sbarre, come a supplicarmi di uscire. Poi, appena io mi avvicinavo, gonfiava le guance.

La sera prima, però, mi aveva lanciato il tipico segnale ambiguo, di quelli che ti lancia qualcuno a cui piaci, ma che poi ritratta per eccesso di pudicizia. Un grande classico.

Quindi io, che ormai Rudolf lo conoscevo, sapevo che anche se era lì a correre come un matto, su e giù dalle scale e dentro e fuori dalla ruota e dentro e fuori dalla casetta, spostando tutto il cotone che gli avevo spinto dentro per evitare che patisse il freddo, ecco io l’ho preso lo stesso perché sentivo un odore nauseabondo e ho capito che era giunto il momento di fargli il primo bagnetto. 

L’esperienza è stata particolare, non facile, questo no.

Ma io so bene che le relazioni non lo sono quasi mai. Ho dovuto stringere Rudolf perché non mi scappasse, ho dovuto mettermi i guanti spessi del giardinaggio che mi aveva lasciato qui Rodrigo per evitare che i suoi denti mi ferissero a fondo. 

Ma, in tutta onestà, alla fine dell’operazione era tranquillo come un neonato dopo la poppata. 

Bambini e bestie, in fondo sono uguali.

L’ho rimesso nella gabbia che era ancora bagnato, però, e non per mia incuria, ma perché si rifiutava di lasciarsi asciugare perfino col phon.

Da quella sera era distante, non si avvicinava più.

Quando sono arrivata dal negozio, comunque, ho lanciato lo zaino sul pavimento, mi è caduto il telefono dalla tasca e ho visto che lampeggiava, mi stava chiamando Rodrigo.  Lo sapevo, che mi avrebbe cercata ancora. Ma ora non potevo rispondergli.

Sono entrata in punta di piedi in cucina, mi sono avvicinata alla gabbia. Rudolf si leccava come un matto da tutte le parti, è ora di fare un altro bel bagno, gli ho detto mentre armeggiavo a terra per assemblare i pezzi del suo nuovo arredo.

Poi mi sono tirata su e tadadadaaaaaam, gli ho fatto, con la scatola del ponte tra le mani.

Lui ha proseguito nel suo distacco, gli occhi vitrei. Trovando inopportuna la sua indifferenza, ho acceso lo stereo a tutto volume su una stazione di musica metal. Mi dispiaceva, so che non è  il suo genere preferito, ma lui se l’era voluto, non ci si comporta così se qualcuno ti fa un regalo.

Mentre finivo di assemblare il ponte, non l’ho più guardato, ma vedevo con la coda dell’occhio  le sue orecchie piegarsi all’indietro, ero sicura volesse far pace e darmi a intendere che aveva gradito la sorpresa.

Ma quando ho fatto per toccargli la testa col dito, per dargli una seconda occasione, mi ha azzannato così forte che non riuscivo più a staccarlo e allora non ci ho più visto e ho dovuto, ho proprio dovuto scuoterlo da una parte all’altra della gabbia, finché non si è arreso.

Sono andata ad abbassare il volume dello stereo,  zuppa di sudore. Poi ho preso il telefono e ho visto le chiamate perse di Rodrigo e il suo messaggio “Ehi, stavo scherzando…Cerca di non farlo fuori, quel povero criceto”. Mi è salito un grumo di rabbia nello stomaco, sono tornata verso la gabbia di Rudolf e l’ho visto là, dove tutto era iniziato. 

Rudolf, appallottolato così bene che pareva il piumino per il borotalco che usavo da piccola, il mio piccolo batuffolo russo, si era addormentato. Ma io lo capivo, anche per me è importante la privacy e uno, se vuole, ha pure il diritto di fingersi morto. Figuriamoci dopo un litigio, poi.

Ho preso il telefono e ho risposto a Rodrigo “In ogni caso tre anni sarebbero stati troppi”.

Ho raccolto il toy dal pavimento, l’ho lucidato per bene, l’ho sistemato proprio sopra Rudolf, che stava ancora sulle sue. Ma prima o poi ti dovrai svegliare, ho pensato, dovremo chiarirci, stasera per cena c’è la zuppa di farro.

Intanto buon ponte, Rudolf. La privacy, prima di tutto.

Immagine generata con DALL-E
“a thirty-year-old woman and a hamster on a sled go down fast on a snowy mountain, expressive oil painting”