L'albero della vita

Oggi è il gran giorno, si dice, oggi è il gran giorno e intanto avanza lungo la strada, evitando il grande schermo dove sa che il suo nome non brilla ma solo per poco, per un’ultima notte ancora. Oggi è il gran giorno ma i fasci di cavi elettrici lo scherniscono, i trasformatori agli angoli delle vie si fanno beffe dei suoi sogni e delle sue speranze: loro sanno cosa gli passa per la testa, sanno com’è la realtà sui cristalli liquidi e dicono no, non oggi, lo hai ripetuto troppe volte perché ci possa credere tu stesso. Perché non torni indietro?, domandano, ma lui cerca di non ascoltare mentre avanza fra la folla del quartiere dei divertimenti. Ho tre tavoli prenotati, si dice, clienti facoltose e senza freni: oggi è il gran giorno.

Arriva al locale con due ore di anticipo. Sulla strada le solite facce, donne agghindate con cataloghi in mano e sorrisi stanchi sul volto, uomini in doppiopetto rigorosamente nero a controllare che tutto sia in ordine, tutte e tutti lo salutano con niente più che un cenno del capo: fra simili si fa così.

Entra dalle doppie porte in vetro nero e dentro è tutto tranquillo, anche le voci che lo perseguitano fanno silenzio qui. Passa oltre la stanza del briefing, dove i nuovi arrivati recitano come un mantra il decalogo: sii sempre bello e disponibile, sussurrano in massa ad occhi chiusi.

Si siede su uno sgabello al bancone, ammirando il proprio riflesso sulla miriade di specchi della sala. Il barman lucida i bicchieri e dispone le bottiglie, chiede educatamente se stasera avrà bisogno qualcosa di particolare ma lui fa un segno di diniego. Non è come i novellini che vivono nel culto del cowboy, la rozza divinità dal fisico scolpito che si è fatta strada nella classifica tra i fiumi dei più costosi liquori: non basta replicare le strategie altrui per il successo, si dice, bisogna essere la versione migliore di sé stessi, niente di più, soprattutto niente di meno.

E poi che fine ha fatto il cowboy? Tutti si ricordano la sagoma delle sue auto di lusso che sfrecciano per i pochi metri concessi dal traffico della città, ma quanti mesi sono passati? Quante di quelle auto sono ancora in suo possesso?

I novellini sono abbagliati dai riflessi dorati del sole sulla cresta dell’onda, ma non conta solo arrivarci: conta rimanerci.

Il tempo scorre mentre lui gira tra i tavoli, controlla la disposizione delle sedie, saluta i colleghi che alla spicciolata arrivano e lo salutano con cenni d’intesa e strette di mano impersonali: sono una squadra, recita il decalogo impresso a fuoco nella sua mente, ma non è più così innocente da ignorare che sono anche avversari, che ogni sedia occupata dalle proprie clienti è uno scalino in più verso la vetta, che ogni serata passata a fissare gli altri cantare e parlare a ammaliare è uno scivolo verso l’oblio.

Anche il gestore del locale si manifesta nella sala, parla con tutti loro, dà consigli, sparge pacche sulle spalle e incanta tutti col suo stile impeccabile. Gli chiede quanti tavoli ha stasera, si complimenta per il risultato, chiede di vedere come ha intenzione di accogliere le clienti e dice la sua, parlando di prossemica e contatto visivo: bisogna entrare in sintonia per potersi permettere un approccio più diretto, ma una distanza eccessiva crea un muro arduo da scalare.

Dieci minuti prima dell’apertura tutto il personale è schierato per il brindisi inaugurale, la manovalanza dietro il bancone, le star davanti. Mentre alza il suo bicchiere osserva con sufficienza i look dei novellini, la loro mancanza di gusto, il loro adeguarsi alle mode del momento senza fantasia, cavalcando lo standard e sperando di spiccare senza sforzo. Ride di gusto in cuor suo e le luci del locale ridono all’unisono ma non con lui, di lui, di quella sua convinzione di essere diverso ma dov’è il tuo nome?, sussurrano, noi siamo in contatto coi fasci di cavi e con i trasformatori e coi cristalli liquidi e ancora non lo vediamo, nessuno lo vede, quasi si strozza con lo spumante mentre cerca di scacciare le voci. Io sono migliore, si dice, e oggi è il mio giorno.

Alle venti precise il locale apre i battenti, avvolto dalla calma che contraddistingue la prima parte della serata. Poche clienti, alcune timide che arrivano per la prima volta e su cui si gettano i novellini e qualche collega rimasto senza tavoli a suo nome, ossa da spolpare per non rimanere a secco. Lui osserva tutto dallo sgabello al bancone, intrattiene con fredda cortesia la conversazione con una giovane ragazza con taglio alla moda e buon gusto nel vestire ma la sua attenzione è rivolta all’orologio, al momento in cui entrare in scena, riuscendo a dissimulare con maestria perché ogni cliente deve essere soddisfatta, dimenticarselo è il primo passo verso la rovina. Non puoi mai sapere chi hai di fronte.

Passa un’ora prima che decida di alzarsi, avvicinarsi agli altri tavoli, cominciare a scaldarsi. Canta qualche canzone con i novellini, giusto il tempo di eccitare le clienti ma senza rubare la scena: conosce l’impatto che ha su di loro, sa che il suo nome non è nuovo alle loro orecchie ma sa anche che non sarà la loro devozione a dargli la spinta, a far tacere le risate veicolate dalla corrente elettrica. Quando è quasi ora cammina verso le doppie porte del locale, attende paziente accanto ai bodyguard, si appresta ad entrare in scena.

Il primo gruppo è formato da donne straniere, mogli di ricchi che hanno deciso di passare una serata da raccontare alle amiche al loro ritorno in patria. Le accompagna al tavolo, le fa sedere con galanteria, consiglia dei piatti dal menu e ordina spumante più costoso che buono.

Ha già avuto a che fare con altre come loro, fan del fascino esotico, turiste per cui il lusso è un'abitudine che non hanno mai imparato a godersi fino in fondo, per cui il quanto conta più del perché.

Parla con loro, ride alle loro battute, snocciola aneddoti sulla sua vita e su come funzionano le cose lì che le deliziano, pendono dalle sue labbra e forse potrebbero averle anche quelle labbra se oggi ci fossero solo loro, se fossero la carne più appetibile sul tavolo ma non è così, si dice, non oggi. Canta con loro in una lingua diversa dalla sua canzoni che conosce ormai a memoria, sfodera tutto il suo carisma, riceve complimenti e ne distribuisce a profusione ma senza esagerare, con la cortesia partecipe di chi domani non sarà nemmeno un nome, troppo difficile da tenere a mente, solo una storia divertente e nulla più.

Gli altri due tavoli, quelli sono un’altra cosa. Le donne che accoglie e fa fluttuare verso i loro posti le ha già conosciute, sono clienti abituali, hanno chiesto di lui e sa che non può deluderle. Oltre i vestiti e i gioielli indossati con noncuranza ci sono storie di potere conquistato e non donato, scelte più rischiose del decidere da chi farsi adulare in uno dei locali più lussuosi della città: è fra queste donne non più giovani che si nasconde l’ascensore verso la vetta, dirigenti d’azienda il cui fascino sta nella risolutezza, nella caparbietà, venute qui per sentirsi non solo belle ma anche potenti, capaci d’incutere timore. Il cowboy era un campione di stile, ma mancava di strategia: avrebbe riservato loro lo stesso trattamento delle altre, avrebbe cercato di abbindolarle per l’obiettivo a breve termine senza accorgersi di bruciarsi la terra tutto intorno, perché la bellezza è un bene che dura poco mentre la stima può durare di più, molto di più, può aprirti porte che un giorno il fisico non riuscirà più ad abbattere. Con la coda dell’occhio vede i filamenti fremere all’interno delle lampadine, ronzando d’approvazione mentre si prostra ai loro piedi con rispetto.

Lo accarezzano, quelle donne fra cui si deve districare con il giusto equilibrio, lo pretendono mentre continuano a ordinare i vini migliori e presto anche altro, i gusti raffinati che si sfaldano all’aumentare del tasso alcolico.

Lui beve con loro ma con moderazione, facendosi servire cocktail annacquati perché l'ubriachezza avvicina alla molestia, così recita il decalogo.

Balla, sempre più vicino a quei corpi in una forma al massimo accettabile che lui fa roteare con una grazia che possono solo comprare, distogliendole con un sorriso dal pensiero che quella levità sia solo il frutto di una transizione economica. Subisce anche, palpatine più o meno esplicite, lingue che saettano nelle sue orecchie e cercano le sue labbra più propense a farsi mordere, succhiare. Dai tavoli accanto sente gli occhi dei novellini fissarsi sulla scena e operare una scrematura fra chi è disposto a tutto per la classifica e chi non sarà mai lì, non prenderà mai l’ascensore, forse non tornerà già domani e cercherà il proprio posto altrove, lontano dalla luce sfolgorante dello schermo gigante.

Poco prima della mezzanotte, prima che il locale chiuda, gli ultimi tavoli vengono abbandonati. Per molti di loro è la fine del lavoro giornaliero, per i meno ambiziosi, non per lui. Saluta le clienti accanto alle doppie porte del locale, si inchina e le bacia sulle guance finché non rimane solo lei, sessant’anni portati con una dignità che le giravolte e l’alcool hanno incrinato solo in parte. Attende al suo fianco l’auto nera che li accompagna in hotel, resta in silenzio durante il viaggio mentre lei si rimette a posto il trucco, conscio del suo ruolo nella transizione che si sta svolgendo. Scendono di fronte a un hotel con facce enormi come colonne, pacchiano e lussuoso in egual modo, discreto nonostante l’apparenza. Oltre la porta della suite, lei gli si getta addosso con passione.

La notte è una performance di sensualità meccanica e controllo, il concetto che ogni cliente deve essere soddisfatta si trasforma in azione. La lingua passa sulle grandi labbra insospettabilmente glabre, assapora la viscosità della vagina, il naso aspira un odore di decadenza che i soldi non potranno mai mascherare mentre lui sì, può farlo, lasciandosi cavalcare e comandare affinché ogni desiderio sia esaudito, lasciandosi adorare per la sua giovinezza e la sua disponibilità. Quando tutto finisce, e non finisce presto, lui si rannicchia al suo fianco per qualche minuto, il pene adagiato contro le rotondità di lei, partecipe, modulando il loro respiro alla stessa frequenza dei lampioni oltre le finestre, un ronzio che non sa ignorare.

Se ne va prima dell’alba, gli accordi sono questi. Il concierge dell’albergo gli consegna una busta e lo guarda con severità, esprimendo il suo giudizio senza bisogno di parole. Lui reagisce educatamente e si concede un sorriso solo all’esterno, passando fra i lampioni dalla forma umanoide del viale che lo riporterà al quartiere dei divertimenti, camminando con calma nel buio che si va rischiarando, il silenzio rotto solo dal lamento dei colletti bianchi che smaltiscono la sbornia agli angoli delle strade e dalle urla dei giovani che tornano dalla nottata passata nei locali. Incrocia un gruppetto formato da due ragazzi che ne reggono un terzo, in lacrime, mentre una ragazza cerca di consolarlo. I fasci di cavi e i trasformatori ronzano e basta, la corrente elettrica lo guida.

La tensione lo avvolge prima ancora di vedere i cristalli liquidi sfolgoranti del grande schermo, la sua luminosità lo acceca mentre anche il sole emerge oltre i grattacieli.

Attende oltre le quattro corsie della strada il cui traffico comincia ad animarsi, attende che la classifica scorra finché non riconosce un nome, un volto, i lineamenti distesi nel sorriso di chi ce l'ha fatta a raggiungere la cresta dell'onda, di chi sa di poterla cavalcare a lungo

Sorride anche lui ma sei davvero tu?, insinuano i cavi e i trasformatori e i lampioni e i cristalli liquidi, sei all’altezza di quel volto e di quel nome?, siete la stessa persona?, chiedono con insistenza, e lui non sa cosa rispondere.

Immagine generata con DALL-E
“a bar counter full of mirrors reflects a room with tables and elegant women sitting, realistic oil painting”