Feci
Il Dr. Grassani usa la terapia d’urto per risollevare le giovani coppie. Prende duecento euro l’ora. Il novanta per cento delle volte nemmeno si ricorda perché i pazienti sono lì. Paola lo ha conosciuto tramite suo padre, che l’ha conosciuto grazie a sua moglie, Sara.
La madre di Paola, Teresa, e suo padre, hanno divorziato parecchi anni fa. All’epoca non andava di moda la psicologia.
Marco non crede nella psicologia e prova a risollevare il rapporto con Paola con delle piccole cose: le compra dei fiori, la invita al cinema, le parla della sua giornata, le prepara la cena, a volte addirittura ci scopa, come se fosse ancora attratto da lei. Oltre a non crederci, Marco, non ha i soldi per la psicologia, ma a Paola questo non importa, perché l’unica cosa che non le manca sono i soldi.
Nel marzo di due anni fa entra nell’azienda di famiglia come amministratrice. Col covid producono mascherine e diventano ancora più ricchi. Paola lascia gli studi e si dedica in pieno al lavoro.
A febbraio dello stesso anno, la madre di Marco lascia il lavoro per accudire il marito, mentre il figlio studia e lavora, provando a mantenere la famiglia. Il padre muore, la madre trova un lavoro e Marco va via, esausto.
Un anno dopo Paola e Marco si conoscono. Marco le chiede di uscire, mangiare una pizza e bere qualche birra. A Paola piacciono i ragazzi semplici. Accetta. La stessa sera scopano in macchina, sotto casa di Marco, che ha tre coinquilini. Paola ha casa libera, vive da sola, in pieno centro, ma preferisce non usarla.
Rimangono insieme.
Passa qualche anno.
La terapia d'urto consiste nel compiere uno sforzo fisico in compagnia del proprio partner, condividendo pensieri e dubbi sulla propria relazioni mentre si compie l'atto prestabilito. Che in questo caso è spalare feci di cavallo al parco Woody.
Al parco sono uguali, con le salopette di jeans e gli stivaloni di plastica. Marco ha un cappello verde scuro, lei invece indossa un berretto giallo con la scritta “fuck”, che lascia fuori ciocche bionde di capelli. È arrabbiata. Marco è arrabbiato, ma per un altro motivo. Non si dicono niente. Ogni tanto fumano, qualche volta bevono e di rado si guardano. Paola caccia l’ennesima sigaretta dalla salopette, sfilandosi con delicatezza i guanti, facendo attenzione a non sporcarsi. Cerca l’accendino, ma non lo trova. Chiede a Marco, che non fuma, ma che ha sempre con sè un accendino di riserva, nel caso in cui quello di Paola finisse. Marco non si ferma, continua a spalare, ha capito che il modo migliore per tornare a casa è finire. Non sono costretti, possono lasciare tutto e andarsene, ma sarebbe una sconfitta, e Marco è consapevole che questa volta non possono perdere. Paola è ferma, appoggiata alla pala, che guarda il compagno stancarsi.
«Non dici nulla?» gli chiede. Lui non risponde, scuote invece la testa in orizzontale, come a dimostrare dissenso.
«Che c’è?» dice Paola mentre Marco lavora con più forza di prima. Lei gli dà le spalle, cerca un appiglio lontano, tra gli alberi e il cielo, un punto per concentrarsi su qualcosa di nuovo, che non sia marrone o che puzzi.
«Che hai?» gli chiede, girandosi di colpo, tenendo la sigaretta accesa nella mano sinistra. Marco si ferma, diventa un sasso dopo le parole di Paola. Lancia la pala davanti, con il manico che tocca terra. Gli occhi di Paola seguono il manico, poi si spostano su di lui, che ha le braccia ai fianchi e la testa china. È sicura che stia per parlare, per questo non vuole dire nulla. Marco sospira, scuote ancora la testa, Paola rimane in silenzio, fuma e lo guarda.
«Allora?» gli dice, non riuscendo ad aspettare.
«Ok» Risponde «Parliamo.»
Paola fa un tiro lunghissimo, getta la sigaretta e la spegne calpestandola. Marco sfila i guanti. Non si avvicinano, rimangono distanti un paio di metri.
Un uomo e una donna devono essere lontani per ricordarsi quanto piacere provano a stare vicini. Loro, però, sono due ragazzini.
«Perché fai così?» dice Paola. Lui ferma la pala sul terreno, si alza il berretto, asciuga il sudore e pacatamente inizia a spiegare.
«Non faccio niente» le risponde senza nemmeno guardarla.
«Non fai niente. Perché non fai niente?»
«Che dovrei fare?»
«Fai qualcosa, qualsiasi cosa»
«Ad esempio?»
«Non lo so, prova a…»
«A?»
«A…guardarmi almeno, guardami» la guarda.
«Mi dici che c’hai?» gli chiede.
«Tu che c’hai?» le chiede.
«Che fai, mi rispondi con una domanda?»
«Si» le dice, «Ti rispondo con una domanda.»
Paola si innervosisce, non riuscendo a capire se Marco fa questo per andarle contro oppure perché è stronzo e basta.
«Stai facendo lo stronzo» gli dice, «E non sei stronzo»
«Che ne sai che non sono stronzo?» le chiede Marco dopo averle puntato l’indice contro, «Che ne sai che non sono lo stronzo più stronzo del mondo?» Paola sta zitta. «Che ne sai che lo stronzo più stronzo del mondo non ha preso lezioni da me?» Fa una pausa, «Tu non mi conosci!» Marco lo dice con decisione, come se dovesse farle capire come stanno le cose.
«Storicamente, le donne hanno lasciato…. le ragazze, perdonami, le ragazze. Le ragazze hanno lasciato libero sfogo ai ragazzi. Non sono state sottomesse, maltrattate e sminuite, no. Loro hanno imparato, hanno capito come comportarsi, come muoversi, come fare per uscire illese da un conflitto sociale perso in partenza. Sono diventate il sacco da Boxe dei ragazzi. Non degli uomini. Gli uomini non hanno tempo per sfogarsi e le donne non hanno tempo per gli uomini, infatti, ad oggi, siamo tutti ragazzi e ragazze, non ci sono più uomini e donne. Essere un sacco da Boxe ti aiuta a rispondere ai colpi. Gli stupidi fanno a botte, dice mia nonna, quelli furbi imparano a difendersi, perché gli stupidi sono sempre di più e uno, dagli stupidi, può solo difendersi.»
Marco le volta le spalle e cammina. Paola gli va incontro, gli ricorda che devono finire il lavoro, che è stato lui a dire che se avessero lasciato tutto allora avrebbero lasciato tutto e basta, per sempre. Marco si gira, sentendo queste parole, Paola ferma i piedi, quasi serrandoli al terreno.
«È finita da un pezzo!» dice Marco.
«Da un pezzo? Ma che dici?» gli risponde.
«Sì, da un pezzo, da molto prima che iniziasse» le risponde.
«Allora perché abbiamo iniziato? Lo sai bene cosa intendo»
«Non lo so invece, spiegami»
«È finita da un pezzo. Che cazzo vuol dire “da un pezzo”?»
«Lo sai bene»
«No, non lo so, cazzo, non lo so»
«Da un pezzo, Paola, da un pezzo»
Le si avvicina facendo silenzio.
«Ho firmato un contratto, ti rendi conto?» Paola non risponde. »Un maledetto contratto.»
Si osservano. A lei scappa una risata.
«Ti sembra divertente?» le chiede.
«È questo il problema?» gli domanda, confusa, come se tutto attorno perdesse senso.
Il contratto diceva più o meno questo: Io sottoscritto Marco C****mone ( privacy) accetto di sposare la mia attuale compagne Paola F***ia ( anche se si capisce ) e di dividere equamente il pagamento dell’affitto, delle spese condominiali e di contribuire in modo rigoroso al mantenimento dei nostri futuri figli…etc etc.
Questa è la parte importante.
«Ti sembra poco?» dice Marco.
Si allontanano insieme, come un coro coordinato, imitandosi persino nei gesti, fino a quando si trovano nelle stesse posizioni di prima, ai piedi della montagna di feci che stavano spalando, con la pala ferma davanti a loro, sorridendo, questa volta, Paola per la confusione, Marco per la rabbia.
«Ti sembra poco, ti ho chiesto?»
«Pochissimo» gli risponde, «mi sembra pochissimo. Hai letto il contratto vero?»
Lui scuote la testa come qualcuno che non crede a quello che vede.
«Se non ti andava perché hai firmato?»
«Pensavo fosse uno scherzo!» le dice.
«Uno scherzo? Pensavi a questo? Chi è» le dice, «che fa firmare un contratto così a un ragazzo che ha appena conosciuto?»
Paola è in ginocchio, con le mani nei capelli. Continua a ridere. Si alza, si guarda indietro, poi accende un’altra sigaretta, freneticamente, provando a respirare e a prendere fiato. «Quindi non mi vuoi sposare?» gli dice dopo qualche minuto di silenzio.
«Cristo santo» dice Marco, «che hai che non va?»
«Allora non mi vuoi sposare?» ribatte Paola.
Lui non sa cosa dire.
«Rispondimi» gli dice, «No, ok?»
«Non lo voglio fare» le risponde, «ma il punto è un altro»
«E quale sarebbe?»
«Il punto è che mi hai fatto firmare un contratto dove mi obbligavi a sposarti, e tuo padre mi ha denunciato perché ancora non ti ho sposata!»
«Che c’entra mio padre adesso?»
«C’entra eccome!»
«Lascia stare mio padre!»
«Questa è follia» dice Marco fra sé e sé, «Follia pura.»
Si siede, esausto. Chiede una sigaretta a Paola, che non dà peso al fatto che lui abbia smesso da poco, e gliela porge come una vecchia amica.
«Mio padre ti vuole bene», gli dice.
Marco la guarda incredula.
«Hai sempre da ridere su mio padre. Mi ha denunciato, cazzo!» ribatte, arrabbiato, alzandosi e poi sedendosi, rientrando e uscendo velocemente dalla sua rabbia, «Denunciato! Capisci che vuol dire?» le chiede. Marco china la testa. Paola guarda dritto davanti a lei.
«È perché sono più bella di te, vero?» gli chiede «Per questo non mi vuoi sposare, dì la verità!» Marco, basito, non risponde. Abbassa la fronte sulle mani, poggiate sulle ginocchia, conserte, a terra. «È invidia, la tua. Sei sempre stato invidioso. Eri geloso della mia auto, dei miei vestiti, eri arrabbiato quando compravo tutto quello che mi passava per la testa, tutte quelle cose che tu non potevi avere, o sbaglio?»
«Invidioso?» chiede «Io, invidioso? Ma che dici?»
«Dico la verità. La verità è che tu hai sempre pesato le persone in base a quello che guadagnano»
«E perché avrei scelto te, allora?»
«Perché ti facevo comodo, ero una che potevi tenere al guinzaglio, con poche pretese e felice di avere una vita semplice»
«Questa è la descrizione di un fallito! Sono questo per te, no? Un fallito»
«Sei tu che non vuoi sposarmi, sei tu che vuoi essere un fallito»
«Io non voglio sposarti solo perché lo dice un contratto! Perché non capisci?»
«Perché mi hai costretto a stare con te? Perché io ho un immagine da difendere!» gli risponde, con tono fermo e deciso. «Ho un immagine da difendere, amore mio» Marco alzo la testa. Sono faccia a faccia. «Sarò a capo di un’azienda da qui a poco. Devo tutelarmi, essere sicura che vicino ho gente che non voglia fottermi o prendersi gioco di me»
«E per questo fotti gli altri?» le chiede.
«Io non fotto nessuno» Paola risponde avvicinandosi a Marco, «non fotto nessuno, gli ripete. Non pretendo che tu capisca. Non hai nulla da difendere, non puoi capire.» Marco la guarda perplesso, le sue parole gli sembrano vicine e la cosa lo terrorizza. «Non hai denaro» gli dice, «non hai una famiglia, non hai un nome, non hai nulla» Silenzio. «Hai solo me!»
Marco ha solo lei.
In effetti, al ragazzo non è rimasto nulla. La madre non ragiona più, il padre è morto, e i suoi vecchi amici a malapena ricordano il suo nome. Quando ha conosciuto Paola, ha capito che quella era un’opportunità da non perdere, uno di quei treni che passano una volta nella vita. Solo che adesso se n’è dimenticato. Si è abituato alla ricchezza, all’agio, che grazie a Paola e a suo padre è stato in grado di avere negli ultimi tempi. A dirla tutta, la sua condizione è più simile alla schiavitù che alla libertà. Ma alla libertà, Marco, non ci pensa da un pezzo. Ha paura di farlo, ha paura di cambiare, di non ricordarsi come si fa.
Si è ribellato, è vero, ma solo perché l’oppresso è sempre contro l’oppressore. Poi però, sperimenta l’assenza dell’oppressore e ci torna a braccia aperte. Basta dare un’occhiata a quello abbiamo intorno per capirlo. Infatti, Marco, non le ha parlato prima del contratto perché era incapace di uscire allo scoperto. Avrebbe dovuto dire non avere più nulla di cui lamentarsi, giocare la carta da tutto e niente, essere in grado di vincere o uscire allo scoperto. Ora è allo scoperto. E ha perso.
«E in cambio voglio solo che tu resti vicino a me.» gli dice. Molto piano, gli porta le mani al viso. Gli aggiusta i capelli, gli accarezza la guancia, gli soffia leggera sugli occhi secchi.
«Ti amo» gli dice.
«Ti amo anche io» le dice.
Da lontano, il fattore gli chiede se hanno finito. Loro rispondono di sì, che hanno spalato tutta la loro merda.
Immagine generata con DALL-E
“a man and a woman are dressed in jeans dungaree and are shoveling dung on top of a dung hill, realistic oil painting”