Grembo benedetto

Quando ricorda, ormai, si vede da fuori. Non è né l’una né l’altra.  In questi giorni torna spesso lì, con la memoria. Ha ritrovato vecchi quaderni e le si sono riattivate delle immagini.  

Si ricorda da fuori, ricorda entrambe da fuori: Rachele è in mutande sul bordo della vasca, i capelli castani gocciolano sulla  pelle. Guarda la parete accanto allo specchio. Una parete di mattonelle azzurre,  inframmezzate di bianco.  

Alma bussa. «Sei pronta?» 

«Sì».

Alma entra, indossa una camicia di seta bianca e in mano tiene una macchinetta  nera che collega alla presa del bagno. 

«Dobbiamo fare veloce» dice. Ho poco più di mezz’ora, dice.  

Rachele alza a lei gli occhi blu. Occhi supplici. 

«Va bene».

«Sicura che vuoi che te li tagli tutti?» 

«Sicura».

Alma le poggia la mano sui capelli umidi passando le dita tra le ciocche scure,  gocce cascano sul corpo di Rachele. Avvia la macchinetta che inizia a vibrare  all’attaccatura della fronte, con un movimento deciso la spinge lungo il capo  bagnato. I capelli iniziano a cadere nella conca.  

«Ormai non si torna indietro» dice Alma. 

«Continua».

Ciocche nella vasca bianca, sulle gambe di Rachele, a terra.  

«Quindi ti viene a prendere Lea? Non ti serve una mano?» 

«No, tranquilla, tra poco viene lei» dice Alma mentre continua a tagliare.  «Hai preso tutto, giusto?» 

«Credo di sì. Ho lasciato le borse davanti alla porta» risponde, e si ferma. Dice che ha caldo. Appoggia la macchinetta accanto al lavabo, va alla finestra e la  apre. Entra aria estiva che sa di erba tagliata. 

«Aspetta, arrivo» dice, uscendo dalla stanza. Rachele la segue con gli occhi finché non scompare. Si tocca il lato  della testa rasato e ci scorre con le dita, guardandosi riflessa, con la nostalgia di  qualcosa che sta per scomparire.  

Alma ritorna con un pacchetto di sigarette e si siede sullo sgabello davanti alla  finestra. Al calore della stanza si aggiunge il fumo che si espande e si stira davanti  alla sua bocca, il fumo che viene assorbito dalla finestra aperta.  «Non eri di fretta?» chiede Rachele, sul bordo della vasca, lo sguardo verso il  pavimento.  

«Mi hai chiesto tu di farlo. Dammi un minuto, okay?» 

«Mi hai detto che ti andava bene».

«Sì, ma dammi un minuto».

Rachele chiude le palpebre e assorbe l’odore di fuori misto al tabacco. 

«Hanno  falciato il prato sotto, lo senti?». 

Alma fa di sì con la testa, mentre inala un’altra boccata di fumo. Rachele non la  vede. Si passa le dita nello spazio in mezzo ai seni.

«Ti piace toccarmi qui,  vero?» chiede, guardandola. 

«Non fare così, per favore».

«Ti ho solo fatto una domanda».

Silenzio. La sigaretta respira un soffio verticale.
«Sei tu che mi hai detto che ti  andava bene tagliarmi i capelli»

«Mi va bene tagliarti i capelli, ma non fare così» risponde Alma. Si alza dallo  sgabello e scocca la sigaretta fuori dalla finestra, guarda l’orologio che ha al polso.  «C’è un cestino in bagno, lo sai». 

Alma non risponde e prende la macchinetta. Altre ciocche scure cascano nella  vasca. Rachele le ferma il polso con la mano, interrompe il taglio. «Voglio che lo  facciamo per bene» dice «che sia una giusta chiusura»

«Lo voglio anch’io». 

Alma riprende. Il taglio è preciso, una recisione che sa di tabacco sfuso.

Ciocca dopo ciocca il capo di Rachele si scopre, fino a rivelare la sua forma. Tutto affogato nel silenzio del bagno. Da fuori, ogni tanto, entrano rumori di macchine che passano, echi di bambini che ridono.

 «Ho finito».

Alma si sposta e Rachele si vede nello specchio: si tocca la testa con la mano.

«Sembro un porcospino» dice, e ride. 

«Secondo me stai bene» risponde Alma mentre esce dal bagno.  Rachele si alza, indossa una maglia scura e larga che pende dal calorifero spento e  raggiunge Alma in salotto. La luce calda del pomeriggio attraversa le finestre e si  distende sul pavimento e sul divano arancione. Le valigie di Alma raggruppate  davanti alla porta.
«Ti ricordi la prima volta che mi hai tagliato i capelli?» chiede  Rachele. 

«Sì, eravamo in Calabria, con la stessa macchinetta, per di più. Chissà perché ce la  siamo portata dietro».

«Sai come sono in viaggio, porto sempre troppe cose. Per sicurezza»

«Già. Sempre troppe cose».

«Non me li hai mai tagliati così corti, però».

«Vedrai che ti ci abituerai».

«Lo so».

«E poi ricresceranno, ora starai meglio con questo caldo.» 

Rachele abbassa la testa, fa avanti e indietro con l’indice sull’attaccatura dei  capelli dietro, all’inizio del collo, li percepisce corti e ispidi e il contatto le dà un  brivido che scende fino alle gambe nude.

«Sai come si chiama la prima vertebra cervicale?» «No». «Atlante. Come il titano che regge il cielo».

«Sai sempre tante cose, tu». Alma è in piedi e ha il viso rivolto verso l’esterno,  inondato di luce.
«Andiamo in balcone» dice a Rachele che rialza gli occhi e  annuisce. 

Alma si siede sulla seggiola di legno e accende una sigaretta. Rachele, accanto a  lei, non si siede. L’ombra delle piante sul terrazzo ricopre il dorso dei suoi piedi in  macchie buie e luce. Guarda gli alberi davanti, i rami che ondeggiano smossi dal  vento leggero. Si gira verso la finestra e osserva il riflesso di quegli alberi che, per  un attimo, le pare la cosa più reale del mondo. Si immagina di affondare nel vetro.  «È arrivato un bel venticello» dice Alma mentre espira un alito di fumo e tiene  gli occhi chiusi. Le sue palpebre vibrano toccate dal sole. La sua camicia bianca  riverbera. 

«Mi piace l’odore dell’erba tagliata» aggiunge.  

«Lo so, ti è sempre piaciuto» risponde Rachele, che cerca di nuovo di inspirare  quell’odore, contaminato dalla sigaretta.  

«Devo andare».

 

«È arrivata?» 

«Sì, quella sotto è la sua macchina» dice Alma sporgendosi oltre la balaustra. Poi  spegne la sigaretta nel posacenere accanto alla sedia. Rachele non si sporge. Rientrano in casa e Rachele va in bagno. Prende una ciocca di capelli, la strizza  facendola gocciolare, torna in salotto e la porge ad Alma, in piedi davanti alla  porta d’ingresso. 

«Voglio che li abbia tu».

«No. Abbiamo detto che doveva essere una chiusura, non devi darmeli»

«Alma, insisto».

Si guardano, Alma prende la ciocca e Rachele la bacia sulle labbra. 

«Non  dovrebbe essere così» dice «Non puoi scegliere per entrambe»

«Io ho scelto per me, non per te».

«Io non voglio» dice a voce bassa, come un segreto. 

«Non c’è nulla da volere».  

Rachele fa un passo indietro, si toglie la maglietta e le mutande, appoggia la  mano nello spazio fra i seni e guarda Alma.
«La notte ti appoggiavi qui, e poi andavi giù, nel grembo benedetto, dicevi, come la poesia di Trakl che mi piace, non te lo ricordi più?» 

«Quello spazio è tuo, Rachele».  

«È anche tuo».

«No. È questo che non capisci: non sei mia, non lo sei mai stata. Ed è così che  dovrebbe essere» dice Alma lasciando cadere la ciocca di capelli per terra. «E  anche questi sono tuoi».  

Rachele rimane in piedi, immobile. Abbassa la mano e stende il braccio lungo il  fianco. Alma apre la porta e prende le borse, le appoggia nell’ascensore, poi torna in casa  e la guarda.  

«Ciao Rachele».

«Ciao».

Esce chiudendosi la porta alle spalle.  

Rachele rimane nuda e immobile in salotto con le braccia lungo i fianchi, poi  torna in bagno e raccoglie i capelli sparsi, buttandoli nel cestino. La macchinetta  tace accanto al lavabo. La guarda. Le fa pena. Alza gli occhi blu verso il proprio  riflesso: la testa nuova, il collo e le spalle con resti di capelli tagliati, le clavicole, il  seno – appoggia la mano sullo stomaco e lo accarezza, lo sente vuoto.  

Dalla finestra del bagno entrano le voci della strada. E l’odore dell’erba tagliata.  Chiude gli occhi e inspira.  

Ha tutto nel corpo come un sogno, ora. E non prova tristezza nel ricordare. Quando pensa a quel suo riflesso, ora, si sente piena.

Vede le due che si lasciano andare e sente una sorta di felicità. Qualcosa che ha a che fare con l’abbandono, lo slegamento. Quando rivive quel giorno non capisce come mai ci fosse l’ossessione per la fine delle cose, per la loro dissipazione.

Stamattina ha ritrovato nelle sue stesse parole delle risposte. Ha ritrovato un  diario di quegli anni. Ha scritto di loro, una notte, un anno e mezzo prima del  giorno in cui Alma le ha tagliato i capelli ed è andata via.  

5 dicembre  

Ieri notte non abbiamo dormito bene. Alma stamattina è partita per lavoro, una settimana via.  Era agitata, e tutta la notte siamo state a parlare al buio. A un certo punto, Lei: Non dimenticare nulla. 

Io: Certo che non mi dimentico, di che cosa hai paura? 

Lei: Dell’oblio.  

A volte penso di essere io, quella che soffre l’abbandono. E poi mi dice queste cose, e io quasi non  la capisco. Spero che se quel giorno arriverà, non ci condanneremo all’oblio. Che saremo in  grado di rigenerarci, come le piante.  

Ce lo diciamo sempre: Questo hanno fatto ai nostri corpi, ci hanno elise dal tempo. Questo non  dovremo mai fare noi, l’una con l’altra.  

Spero che se quel giorno arriverà, non ci condanneremo all’esilio delle dimenticate.  Confido che ne saremo in grado.

Immagine generata con DALL-E
“strands of brown hair in a bathtub, against the background of light blue tiles, realistic oil painting”