Saponette

Click. 

Vediamo, dove devo… ok, si è accesa credo vada bene. Allora, sono le tre e mezza di notte, mi chiamo Francesco Seratti ed è la prima registrazione della settimana. È martedì o meglio mercoledì visto che sono le tre e mezza di notte, anche se finché non sorge il sole mi risulta difficile dire che è il giorno dopo il giorno in cui mi trovo, in questo caso mercoledì, perché se poi inizio a pensare che è mercoledì subito mi inganno e mi dico che è ancora notte e allora non so più se sia mercoledì o l’inizio di giovedì. Tipo come quando a Capodanno ti dicono ci vediamo l’anno prossimo, e tu non sai mai se ridere o ignorarli, che poi non ho mai capito perché tutti chiamano il trentuno “capodanno”, ma perché, il capo dovrebbe stare in alto e dicembre è in basso, e poi è il primo gennaio a essere il primo dell’anno non il trentuno che non è il capo di niente. Che senso ha? Non ha senso, non ha il minimo di senso.
Ho dormito un’oretta, in tv c’era un programma con Barbara D’Urso del quale mi vergogno a dire il titolo. C’erano tante donne, bionde, more, rosse, una con i capelli grigi, ma non grigi tipo da vecchia, no grigi fatti apposta dal parrucchiere ed era una gran gnocca, e tutte avevano vestiti molto stretti o molto corti o entrambi, ma anche molto stretti e molto lunghi, che puoi vedere tutto proprio tutto, e facevano la parte delle sceme ignoranti e poi c’erano anche degli uomini, volutamente vestiti male, cioè ben vestiti male, che non erano molto niente, perché alcuni erano alti, alcuni magri, alcuni no, però insomma facevano la parte di quelli acculturati, ecco quindi erano molto acculturati. Poi però Barbara ha fatto metà e metà, cioè nel senso che c’erano pure degli uomini scemi e delle donne acculturate, un po’ per mischiare le carte in tavola e fare tutto uguale. Poi a un certo punto si fanno delle domande, la dinamica del gioco non mi è molto chiara, so solo che a un certo punto si fanno delle domande, domande su qualsiasi argomento. Oppure fanno vedere una foto e lo scemo o la scema di turno deve dire chi è quello nella foto, solo che ovviamente non lo sanno mai. Tipo a una donna con un vestito molto scollato, le hanno fatto vedere una foto di Karl Marx e ovviamente lei non lo sapeva che fosse Karl Marx, ma nemmeno io lo sapevo, e quindi balbettava e Barbara la imbeccava dai Cristina è Ca, Ca, dai su Cristina, Car e la poveretta rispondeva a caso, tipo Carlo, Carmine, Carmelo, addirittura cartello a un certo punto, nonostante fosse ovvio che non era un cartello ma una persona, solo che Cristina un po’ era agitata, un po’ doveva fare la scema, e quindi ha detto cartello, mettici che comunque la pagano per fare la scema… Io comunque non sapevo bene se scuotere la testa, stupirmi o prenderla in giro anche perché se recitava, recitava bene.

Solo che poi mi sono messo a piangere perché tutto il pubblico ha riso quando lei ha detto che non sapeva cosa fossero i continenti e non mi è piaciuto per niente, perché ho pensato che nemmeno a lei fosse piaciuto, poi hanno messo la musica e lei si è messa a ballare su una piattaforma e allora mi sono arrabbiato, ma come io piango e tu balli? Allora sei proprio scema.

Comunque mi sono addormentato e ho sognato di nuovo il mare, stavolta non ero sulla barca, stavo dentro l’acqua e sentivo tutte bollicine come se mi fossi appena tuffato ma la barca non c’era, forse era lontana non lo so, fatto sta che tenevo il mento in alto, sopra il pelo dell’acqua, e non riuscivo a tirarmi più su di così, facevo qualche centimetro e poi tornavo sotto, poi di nuovo su. Annaspavo e lottavo contro qualcosa che mi tirava giù che non vedevo, anche se l’acqua era chiara, molto chiara.

Poi verso di me è arrivata Marcella e camminava, e io pensavo ma come io affogo e lei cammina, allora battevo i piedi più forte, e più li battevo, più andavo sotto, e Marcella mi guardava.

Aveva quell’odioso termos rosso in mano e come se la rideva, e io mi incazzavo perché dicevo ma mi vuoi aiutare Cristo, poi sono andato sotto e quando sono risalito Marcella e il suo termos non c’erano più e l’aria si era fatta scura, l’acqua più torbida e sentivo proprio una mano di gomma tirarmi il piede verso il basso. La odio la gomma, mi fa venire i brividi come strofina la pelle nuda, come tira i peli, insopportabile e mi tirava giù e più mi sforzavo più andavo in basso, e più andavo in basso, più mi sfiancavo a risalire. Poi quando affondavo riflettevo che c’era una strana calma lì sotto nell’acqua scura e pensavo ma perché devo tirarmi su? Se la smetto almeno questa mano di gomma la finirà di toccarmi, io potrò vedere questa calma per bene e gustarmela. Quindi alla fine mi sono lasciato andare e infatti la mano di gomma ha smesso di toccarmi e tutto era molto silenzioso e buio e più scendevo e più la luce diventava lontana, le bollicine scivolavano tra i capelli sparpagliati e io pensavo che stavo bene e la vedevo tutta intorno; proprio di fronte a me c’era una quiete compatta e densa e più chiudevo gli occhi e più si ispessiva e lo sapevo che stavo morendo ma non me ne importava perché almeno la mano di gomma se n’era andata ed ero tutto avvolto da questa pace calda. Solo che nei sogni non puoi morire e infatti mi sono svegliato con i polmoni chiusi e ho dovuto spalancare la bocca e tenermi il petto, ed ero tutto bagnato di mare, aveva inondato il letto, e ho pensato papà mi ucciderà se non pulisco. Per fortuna avevo la finestra aperta e si è asciugato tutto in fretta.

 

Comunque, le volevo dire che non le sto prendendo proprio tutti-tutti i giorni, non le prendo perché sono terribili, le detesto, ne voglio altre, queste mi fanno dormire troppo, lo so che devo dormire, ma gliel’ho già spiegato che un paio d’ore mi bastano. E poi glielo ripeto questa cosa delle registrazioni è stupida, non capisco proprio a cosa serva, la facesse Marcella, quella sì che ne ha bisogno, è matta vera, tipo quando fa quella roba che fissa un angolo della stanza e inizia a grattare il termos e fa quel suono orribile.

La odio quando fa così, e lo fa apposta così uno si gira e le chiede ma che guardi? E lei non ti risponde, ecco la facesse lei la registrazione così magari lo dice a tutti quello che vede quando guarda nell’angolo.

Non la sopporto, mi ricorda Fabio Peroni alla materna, quando dovevamo fare il cartellone sui dinosauri, che poi che idea di merda far disegnare dei dinosauri a dei bambini di cinque anni. Venivano fuori delle cose orribili, patacche colorate di verde con qualche spuntone rosso per lo stegosauro, un serpentone lungo e alto per il brontosauro e strane cose volanti per gli pterodattili, e poi li attaccavano per tutti i corridoi della scuola e le mamme venivano a vederli. “Questo è sicuramente del mio Alessio, è proprio un artista, a casa disegna in continuazione non fa altro e impugna già la matita come il fratello più grande”. Ma signora quello che lei sta guardando è solo uno scarabocchio che avrebbe potuto fare chiunque e quelle cose verdi non sono squame ma caccole probabilmente. Insomma, Fabio Peroni disegnava seduto al mio stesso banco e dovevamo fare dei cespugli, io che cazzo ne sapevo di come si facevano i cespugli, avevo quattro anni, ma anche adesso che cazzo ne so, e invece Fabio lo sapeva e la maestra me lo diceva, fai come Fabio, guarda Fabio che bravo, i tuoi fanno schifo Francesco, dovresti vergognarti, guarda che se non li fai bene chiamo tuo madre SÌ E PER DIRLE COSA? CHE SUO FIGLIO NON SA FARE I CESPUGLI? E DIGLIELO CAZZO, VAGLIELO A DIRE E GIÀ CHE CI SEI SPIEGALE ANCHE CHE A ME DEI DINOSAURI NON ME NE FREGA PROPRIO NIENTE E CHE HAI SOLO IDEE DI MERDA, TU E QUESTI MALEDETTISSIMI CARTELLONI, STUPIDI, INUTILI LI FACESSE FABIO I CESPUGLI, FACESSE TUTTO LUI, E DILLE ANCHE CHE NON SO PROPRIO FARE NIENTE DI NIENTE SE NON VOMITARE LA COLAZIONE E ADDORMENTARMI CONTINUAMENTE E CHE DOVREBBE SOLO POR…click.

Click. 

Sono le quattro e cinque di mercoledì, sono sempre io, ho dovuto spegnere, perché proprio davanti al mio balcone, al terzo piano dell’altro palazzo, si è accesa la luce del Dalisi, e mi è preso un colpo, quindi ho chiuso la finestra. Non posso tornare in stazione da loro, mi hanno fatto dormire insieme a un ubriacone, si ricorda? Lo avevo raccontato al gruppo, puzzava come una discarica. Anche perché poi se succede qualcosa magari mio padre si riprende le chiavi di casa e devo tornare da loro e proprio non posso, io voglio stare qui per i fatti miei, dove ci sono tutte le mie cose e dove le pareti non mi inghiottono, dove posso stare a letto tutto il giorno senza che nessuno mi porti da nessuna parte e mi metta tubi e aghi dentro la pelle. Io li odio gli aghi, odio quello che ci mettono dentro, la sento scorrermi nelle vene quella roba calda, schifosa che mi fa dormire, ma non dormire veramente, mi fa dormire tipo pesante che alzare le palpebre è faticoso. Non mi piace, lo odio, il fatto è che io non le posso proprio prendere quelle medicine, io continuo a dirglielo ma lei non mi ascolta, mi fanno star male e poi sanno di vomito, lei le mangerebbe mai delle pasticche che sanno di vomito? O una torta che sa di vomito? Non credo, vero è che la mia professoressa di chimica al liceo si beveva l’acqua in cui aveva bollito il cavolo perché diceva che era ricca di nutrienti; quindi, non lo so magari se lei è un po’ come la mia prof di chimica se le mangerebbe le pillole che sanno di vomito, ma io no. Non le prendo già da un po’ e le cose non vanno male, quindi che le prendo a fare, non le faccio più quelle cose strane, mi sono calmato, anzi adesso mi metto qui sul divano, mi rilasso, magari riaccendo un po’ la televisione, piano piano, così il Dalisi si rimette a dormire e non mi denuncia e non vado in stazione e mio padre non si riprende le chiavi di casa e io posso rimanere per i fatti miei senza… ah ecco c’è un documentario sul primo… pensare a quei maledetti cespugli… e ai tirannosauri… maestra Giovanna.. cartelloni di me… di mer…

Era il tasto blu che dovevo…? Ah, è ancora accesa? Ok. 

Sono sempre Francesco Seratti e ora sono le cinque e diciassette di mattina. Ho dormito un altro po’, sarà contenta. 

Ho bisogno di aria, mi metto qui in balcone, c’è una bella sedia. Ha lo schienale di corda scura, tutto intrecciato, è comodo. Mi sa che mi prendo anche una coperta. L’aria è tranquilla, c’è qualche uccelletto che cinguetta, non so se riesce a sentirli. Si sta bene.

Ho sognato ancora, ma niente mare stavolta. 

Ho sognato che stavo nel seminterrato del gruppo, in mezzo alle sedie, sopra una cassa. Sovrastavo tutti, ma il cerchio era vuoto, non c’era nessuno. 

Ero nudo e me ne stavo in piedi con le braccia aperte, mi guardavo le mani, la pancia ed ero del colore del legno, un legno usurato, giallastro, con qualche scheggia sollevata. Mi ha ricordato la porta di una vecchia chiesa in un paesino di montagna dove mi portavano i miei genitori. Mi ci portavano di tanto in tanto per salutare un vecchio parroco e io aspettavo fuori e ogni volta che mi appoggiavo alla porta, mi riempivo la mano di schegge e mia madre le doveva levare con le pinzette mentre piangevo e mi dimenavo. 

Stavo in mezzo alla nostra stanza e avevo tutto il corpo ricoperto di cassetti, tanti piccoli sulle gambe, alcuni più capienti sul petto, altri sui fianchi e sapevo che anche la mia testa ne era piena. Ne sentivo uno proprio sotto la bocca che con un’apertura curva arrivava fin sotto le orecchie, altri due sotto gli occhi, piccoli ma profondi, li sentivo spingere sulla nuca e uno lungo e sottile su tutta la fronte, altri invece proprio in cima che mi scavavano il cranio. 

Io me ne stavo lì fermo, in piedi, senza potermi muovere e a un certo punto la porta si è spalancata e sono entrati almeno dieci ombre nere, si muovevano veloci e io non potevo vedere la loro faccia, perché era nera pure quella. Arrivavano tutti insieme verso di me e iniziavano ad aprire i cassetti. Dalle gambe mi rubavano i salti, i passi, i calci, tutto mi rubavano tutto e io urlavo fermi sono cose mie, ho imparato da solo a correre, arrampicarmi, non me le potete togliere, è mio, è mia, fermi. Quelli però non mi ascoltavano e passavano ai fianchi e da lì mi prendevano la fatica e l’impegno, dal petto lo stupore, l’entusiasmo e lasciavano la paura, sotto gli occhi l’angoscia, dal collo prendevano l’amore. Lasciavano il tormento nella gola e dal mento mi levavano la parola, le urla.

Allora mi rimanevano solo i pensieri ma poi le mani d’ombra arrivavano fin lì e mi rubavano anche quelli, i ricordi passati e quelli futuri, saccheggiavano la mia mente e quello che era mio non era più mio ma loro, e io ero vuoto. 

Mi lasciavano lì, nudo al centro della stanza, con le braccia aperte e i miei cassetti spalancati, vuoti. 

Allora cominciavo a piangere qualche lacrima, poi fiumi, cascate d’acqua che scivolavano sulle guance e si incastravano nelle giunture di metallo dove scorrono i cassetti che cominciavano a riempirsi, a colmarsi d’acqua che poi ricadeva giù dalle serrature, infilandosi nelle fessure aperte, socchiuse e più mi svuotavo e più mi riempivo e non sapevo perché piangevo, cioè io lo sapevo perché sognavo, ma il me del sogno non lo sapeva perché mi avevano svaligiato la testa. Dopo un po’ le lacrime smettevano e non rimaneva che il silenzio intorno a me e io non sentivo più nulla dentro, nemmeno quelle cose che avevano lasciato, tipo l’angoscia, il tormento, nulla, ero solo zeppo d’acqua.

Poi dalla porta socchiusa iniziava a uscire prima un refolo poi una raffica di vento caldo che increspava la superficie acquosa dei miei cassetti. I capelli ondeggiavano e con gli occhi chiusi sembrava di volare.

Io ero vuoto e pieno insieme e ho pensato che fosse bello stare lì da solo, con le braccia aperte e volare via, senza avere tutte quelle saponette in testa che scivolano l’una sull’altra continuamente mentre cercano di uscire dalla mia bocca.

Allora ho chiuso gli occhi e ho pensato-non pensato che mi sarebbe piaciuto rimanere così per un po’, che non sarebbe stato male essere vuoti e far parte di quel niente, almeno lì. 

Poi mi sono svegliato. 

Sento ancora le guance inumidite, gli occhi gonfi e se mi alzo il maglione lo vedo il cassetto sul fianco e sulla pancia, lo vedo è proprio qui e se voglio lo posso tirare e vedere l’acqua limpida dentro di me.

Tra poco sarà giorno e tutta questa calma non ci sarà più, i cassetti spariranno e sarò di nuovo pieno. 

Torneranno le saponette in testa, giovedì il gruppo, mio padre, le visite, le occhiate, le medicine, medicine, medicine.

Le pareti vorranno di nuovo mangiarmi, le minacce del Dalisi, mamma che piange, il termos rosso, le persone per strada mi vorranno di nuovo fare del male e via via così fino all’infinito. 

Forse ho solo bisogno di levarmi questa coperta, alzarmi, aprire le braccia e chiudere gli occhi. Se li chiudo abbastanza forte, se mi sforzo, posso riprovare quella sensazione lo so, devo solo concentrarmi. 

La sento ancora così vivida, come un solletico piacevole, forse se mi arrampico qui sopra sarà come nel sogno, forse sulle punte, forse stirando le braccia ancora un po’… forse sporgendomi di qua…basterebbe solo un po’ di vento per librarsi, solo un po’ di vento

                                               e sarei di nuovo

                                                                                                     niente…

Click.

Immagine generata con DALL-E
“inside a head there are bars of soap that slide, painted in surrealist style”