La glabra

L’ora di ginnastica era la peggiore. Facevo la doccia per ultima perché mi vergognavo a farmi vedere nuda. Nonostante cercassi di coprirmi bene, le gambe rimanevano scoperte dall’asciugamano. Mentre tentando di passare inosservata sgattaiolavo sotto la doccia, sentivo le mie compagne di classe ridere di me. 

Mi chiamavano La Glabra.

 

Mi depilo da quando ho dieci anni, la mia pelle è sempre così liscia e perfetta, mai un pelo di fuori. Mia madre mi ha mostrato come ci si depila ancora prima che i peli mi spuntassero. Diceva che quando sarebbe stata l’ora non mi sarei dovuta conformare alla moda superficiale e schiavizzante che vuole la donna pelosa a tutti i costi. La donna è bella naturale, cioè senza peli, diceva. E così, mentre alle mie coetanee spuntavano peli sotto le braccia, sull’inguine, sugli stinchi, io riflettevo la luce dei neon con la mia pelle liscia come la porcellana.

Le fissavo le mie compagne, mentre si insaponavano le cosce, le ascelle, la vulva. La schiuma del sapone rimaneva impigliata sui peli, faceva le bollicine. Quando si insaponavano fra le gambe ci giravano attorno con la mano più volte, che i peli si tingevano completamente di bianco da quanta schiuma si formava. Poi, quando si risciacquavano, il triangolo risplendeva di quel nero adolescenziale. L’acqua puliva via la schiuma facendole sembrare cani bagnati e quando si asciugavano tutti i peli tornavano a cotonarsi vigorosi e femminili.

Invece a me il sapone e l’acqua scorrevano via come biglie sul ghiaccio; frizionavo con il sapone lì sotto, ma a me la schiuma sul pube non si formava, al massimo diventavo tutta rossa.

 

In inverno ancora ancora me la cavavo. I pantaloni e i maglioni lunghi coprivano il problema, anche se le prese in giro non mancavano per via del viso, pure quello irrimediabilmente liscio e puro. Ma con i primi caldi i tormenti aumentavano di pari passo con le temperature. 

Un anno provai a tenere felpa e pantaloni lunghi fino a Giugno, ma il caldo in classe era insopportabile, quindi indossai come tutti T-Shirt e pantaloncini corti. 

Nei corridoi mi guardavano. Mi fissavano gli stinchi, mi chiedevano “ma non ti dà fastidio tutta quella pelle?” Dicevano che sembravo un ragazzo, che ero diversa, che non eravamo più negli anni ’70.

Una compagna di classe, Federica, che aveva una riga di peli di un nero invidiabile sopra il labbro, mi offrì di portarmi i peli del suo cane dopo che l’aveva tosato, suscitando così l’ilarità collettiva. A Giorgia invece, che aveva un manto riccio e castano con riflessi rossicci sulle cosce, piaceva recitarmi il suo scioglilingua preferito Sopra la panca La Glabra campa, sotto la panca La Glabra crepa.

Le osservavo allontanarsi amichevoli l’una avvinghiata al braccio rigoglioso dell’altra, mentre le lacrime mi scorrevano libere da ogni ostacolo sul mio viso puntellato di perfezione adolescenziale.

 

«Mamma, posso farmi crescere i peli?» le domandai un giorno a tavola. Quasi le andò di traverso il mangiare.

«Cosa sono queste storie, e perché mai?»

«Ma ce li hanno tutte a scuola, mi prendono in giro, mi chiamano La Glabra!»

«Ma tu sai che così diventi schiava del sistema? Io non ti ho insegnato così! Prova a chiedere alle tue compagne che vita che fanno, devono sempre pettinarsi i peli, si inzuppano di sudore, si impigliano nel pizzo delle mutande. Cosa credi di poter portare il tanga e il perizoma con i peli? No cara! È molto più comodo senza e poi cosa fanno le tue amiche se non si depilano ogni settimana? Che noia, e poi blah!, non mi ci fare neanche pensare, che schifo! Amore tu sei bella così. Non dovete somigliare tutte a Frida Kahlo!”

Mia madre aveva ragione, lei è sempre stata un’anticonformista, depilata da sempre, naturale fin dalla nascita. 

È che era difficile sentirmi accettata in questo mondo di pelose, mi sentivo una sfigata. E poi la TV e i giornali peggioravano solo le cose, come la pubblicità del profumo. La modella solleva il braccio, in mano tiene la boccetta del profumo, che poi non mi ricordo neanche di che marca è la pubblicità perché mi sono sempre e solo concentrata su quel ciuffo color mogano che le sventola da sotto l’ascella. 

Oppure la pubblicità di quei sandali, la modella con le unghie dei piedi lunghe e, un po’ sfuocata, si vede la cavigliera in argento che si aggrappa ad un velo di peli lunghi e biondi.

Insomma come facevo io quindicenne a far emergere la mia personalità, a crearmi un ruolo in questa società di scimmie se tutti andavano nella direzione opposta alla mia?

 

Una notte mi apparve in sogno il pesce Blob. Sedevamo insieme in autobus, la gente non ci badava, era come se fossimo invisibili. Il pesce Blob guardava in alto verso di me, con quel naso fallico, gli occhi tristi e la bocca da pagliaccio, nudo e lucido come uno sputo sull’asfalto.

Nel sogno mi svelava sottovoce che in realtà era Chewbacca di Star Wars.

«Per entrare nel mondo del cinema ho dovuto omologarmi e farmi crescere i peli, tanti peli! Ma ora sono forte, ora posso mostrarmi per quello che sono…il pesce più brutto del mondo. E ora guarda, la gente non ci fa nemmeno più caso che sono senza peli. Dai retta a me, essere se stessi è così, così…» 

Poi nel sogno l’autista dell’autobus frenò bruscamente e blob scivolò sotto il sedile lasciando la frase a metà.

Mi svegliai con la fronte e gli stinchi imperlati di sudore e la pelle d’oca depilata. Le parole di Chew-Blob mi riecheggiavano nelle orecchie.

Mostrarmi per quello che sono, mostrarmi per quello che sono!

«Io sono La Glabra!» dissi mettendomi seduta sul letto. Saltai fuori, mi feci la doccia e mi vestii per andare a scuola.

Scelsi i pantaloncini più corti che avevo e una canottiera con le spalline sottili. A scuola salutai tutti con un gran sorriso, alzavo volutamente il braccio per farmi vedere anche dai compagni più lontani, mostrando così le mie ascelle perfettamente rasate.

La gente rideva, mi puntava con il dito, qualcuno storceva la bocca con disgusto, ma non me ne importava più. In classe presi posto, accavallai le gambe lunghe, magre e sciolinate. 

Dopo l’ora di educazione fisica non aspettai più di fare la doccia per ultima, no! Mi spogliai del tutto e mossi il mio corpo sudato e patinato sotto la doccia e lasciai che l’acqua si portasse via il peso che avevo addosso.

«Sei diversa,» chiese una compagna di classe scrutando la mia pelle «ti sei fatta crescere qualche pelo?» 

«Nemmeno per idea!» risposi io.

Una settimana dopo non fui più nel mirino delle mie coetanee pelose. 

Immagine generata con DALL-E
“two very shiny legs of a girl emerge from a white towel, victorian style painting”