HR Specialist

Sono un HR specialist ma non è il mio lavoro. So che è un’affermazione strana e che non capite cosa vuol dire ma posso spiegarlo. Quando si parla di HR specialist di solito si intende il responsabile delle risorse umane di un’azienda, incaricato del reclutamento dei dipendenti. In genere questo avviene attraverso una valutazione delle candidature ricevute per una posizione aperta.

Durante il colloquio l’HR valuta il candidato sotto molti aspetti. Il primo sono com’è ovvio le competenze necessarie al ruolo, ma non è l’unico: carattere, personalità, interessi sono altrettanto importanti, dal momento che il dipendente dovrà collaborare con gli altri elementi della struttura.

Per questa ragione le competenze richieste a un HR specialist sono per la maggior parte di tipo psicologico e sono riportabili alla capacità di inquadrare in un tempo relativamente breve le probabilità di successo del candidato circa lo svolgimento del ruolo. Stando così le cose, è chiaro che la differenza tra un bravo HR e un cattivo HR sta nella capacità di valutare, cioè si valuta la sua capacità di valutare.

Ora, non c’è dubbio che nella vita io non faccia nulla di tutto questo. Tuttavia il senso in cui io sono e faccio l’HR è più allargato che traslato. Supponete che l’esistenza stessa sia un lavoro. In fondo non è un’ipotesi così peregrina: siamo organismi che consumano energia per produrre situazioni che producono noi, in altre parole siamo sistemi produttivi il cui prodotto sono se stessi. A questo punto avremo che certi organismi producono buone situazioni e quindi buoni se stessi e quindi lavorano bene, mentre altri producono cattive situazioni e quindi cattivi se stessi e quindi lavorano male. Penso sia del tutto pertinente usare come discrimine la categoria di successo. Alcuni organismi hanno successo, altri no. Io sono molto bravo a inquadrare quali sì e quali no. 

Ho pensato di raccontarvi tutto questo perché mi è appena capitato un episodio divertente: ho messo in imbarazzo un padre e sicuramente sono stato giudicato un po’ fuori di testa. Sono seduto al Café am Schloss in Parade Platz, a Ingolstadt. Ci passo le domeniche cioè l’unico giorno della settimana in cui non sono impegnato a non fare l’HR ma altro. Ci si sta molto bene, l’ambiente è tranquillo, le torte sono ottime e nessuno mi rompe le palle se mi siedo alle nove del mattino e mi alzo alle diciotto. Come che sia, circa mezz’ora fa si è seduto un tizio con il figlio. Il bambino è biondino, belloccio, probabilmente verrà su bene, ma al di là questo cioè al di là dell’ “aspetto fisico”, come dite voi che non avete idea di cosa sia in realtà l’aspetto fisico, al di là di questo c’è altro. Il padre è tossico, si capisce già dal fatto che mette alla prova il figlio di massimo dieci anni con l’inglese, posto che imparare l’inglese è importante, ci mancherebbe, e col tempo me ne sono accorto, ma una cosa è preoccuparsi che il figlio impari l’inglese, altra è preoccuparsi che il figlio sia il primo della classe, e io la differenza la colgo al volo, d’altronde sono un HR specialist. A ogni modo il bambino non solo se la cava piuttosto bene con l’inglese ma sembra anche impermeabile alla tossina del padre, che il terzo anno di università ha incontrato una tizia intelligente, spaesata, incline alla gratitudine e quindi all’obbedienza e si è detto “Bingo!”, e ora eccolo qui col pargolo. Ce n’è abbastanza da disintegrare un figlio, è un fenomeno descritto in letteratura, mio padre aveva un compagno di corso come questo qui, militante di sinistra e pezzo grosso della FIGC, mentre era in trasferta col partito ha conosciuto una cinese sottoqualcosa in una sottoprovincia. Ora il figlio suona il trombone, usa espressioni come “ho in animo di” e “se non sono in fallo”, porta il papillon e l’ultima volta che l’ho visto il padre gli aveva installato Find My Kids sul telefono. 

Il bambino qui invece ha tutto un altro piglio, si muove bene, non dà segni di imbarazzo, veste bene se stesso, quando si muove lo spazio intorno a lui si adatta ai suoi movimenti, non dubita della propria prepotenza biologica e la padroneggia bene, così a occhio direi che avrà le prime esperienze a dodici/tredici anni, poi quelle fondamentali a quattordici, al liceo non aprirà un libro ma il suo rendimento sarà buono lo stesso, le assunzioni di alcool e sostanze non andranno mai fuori controllo, l’università andrà in linea di massima liscia, forse ingegneria, probabilmente economia, stage in una società internazionale che lo confermerà e gli pagherà l’MBA, in quel periodo si sposerà e dulcis in fundo avrà perfino un senso morale, sarà pentito di avere costretto la compagna di seconda media a praticargli sesso orale, sarà quel che si dice una brava persona ben radicata nell’ovvietà della vita. Un organismo sano, insomma, che si produrrà alla perfezione, fossi in Dio lo assumerei subito. Questo va nel senso di una teologia calvinista? Può darsi, ma in fondo è l’unica consistente.

Come che sia, quando si sono alzati per andare gli ho detto «your kid’s gonna go far». Il bambino si è bloccato e ha guardato il padre: per quanto bravo con l’inglese probabile che non abbia capito. Il padre si è bloccato pure lui e mi ha guardato, chiaro che neanche lui ha capito, io ho ripetuto «I said your kid’s gonna go far». Ha sorriso e farfugliato qualcosa con in mezzo un thanks, poi si è affrettato alla cassa e sono andati. Ma prima di uscire il bambino mi ha lanciato un’occhiata, che ha confermato la mia analisi. Ho aperto il computer e mi sono messo a raccontarvi l’aneddoto perché lo trovo divertente, d’altra parte per fare l’HR specialist ho dovuto imparare a trovare divertenti questi episodi, e comunque è il mio lavoro, l’unico per cui ho talento, non l’ho scelto io.

Ho iniziato presto, prima ancora di rendermene conto, cioè quando l’unica consapevolezza che avevo, per quanto mi mancassero i concetti per formularla, era che l’organismo che sono ha dei problemi.

Cercare di chiarirli mi ha obbligato appunto a elaborare concetti. È andata a finire che nel giro di pochi anni avevo un laboratorio a disposizione. Le evidenze empiriche hanno fatto il resto. C’era questa ragazza che l’unica cosa che si riusciva a pensare di lei era scoparla, scoparla e basta, scoparla come se fosse una bambola gonfiabile, e in effetti quello era, era l’unico ruolo per cui potesse candidarsi. Non aveva niente che non andasse, anzi, il punto è che era fatta in quel modo lì e non ci si poteva fare niente. Avesse avuto più intelligenza, avrebbe potuto studiare un piano di sviluppo e formulare obiettivi ragionevoli: un ospite con cui vivere in simbiosi sarebbe stato possibile, con schietta felicità per entrambi, a patto di riuscire a calcolare esattamente il proprio prezzo e giocare a carte coperte. Un compito al di là delle sue possibilità intellettuali. Risultato: si limitava a mettere sul tavolo quello che aveva a disposizione e questo creava un circolo vizioso, non se ne usciva. Se ne era resa conto lei stessa, me l’ha detto una volta mentre si rivestiva, «non ce l’ho con te, non c’è l’ho con nessuno… a tutti interessa solo questo perché non si vede altro». È finita che si è suicidata.

Ma non deve mica sempre andare male! Mio zio, per esempio. È lui il mio benchmark di un organismo di successo, disinvolto, sempre spiritoso, in pieno controllo della porzione di spazio che occupa, quando ero bambino non riuscivo a credere alla facilità con cui gli oggetti gli si arrendevano, gli permettevano di manipolarli, di intervenire su di loro in maniera efficace. Era circa il ’96/’97, a casa nostra era appena arrivato il computer, io ero terrorizzato, quando ci dovevo passare di fianco facevo una curva per stargli il più lontano possibile. Mio zio invece addirittura lo riparava. Se non è un organismo di successo questo, allora rassegno le dimissioni.

Poi ci sono anche gli errori, che insegnano più dei successi, è una banalità ma è così, in fondo la Scienza procede per prove e errori, e la mia è una scienza, in senso proprio, tecnico: spiega e predice fenomeni.

 Quando ero bambino, cioè quando ho iniziato la mia carriera di HR specialist, ho preso dei bei granchi. Ad esempio alle elementari c’era una bambina indiana, Indhira. Siccome era un’immigrata e i bambini sono stupidi e feroci tutti la prendevamo in giro, c’era anche questa offesa «la tua fidanzata è la Indhira». Una volta mia madre ci ha sentiti e molto calma ci ha detto «fra vent’anni farete la croce coi denti perché Indhira vi caghi, e non lo farà». Vent’anni dopo Indhira è una brillante avvocata e una delle donne più belle che abbia mai visto, con un paio di gambe mozzafiato, se mi incontra per strada mi saluta e mi chiede come sto, per educazione, e per pietà. Questo mi ha insegnato a fare le proiezioni, nello stesso senso in cui gli astronomi predicono la traiettoria di un bolide sulla base di variabili calcolabili. Sono contento per Indhira, sinceramente. Stesso discorso per Roberto, all’inizio del liceo tirava molto al tipo umano del figlio del bolscevico e della cinese, il primo giorno ha spiegato alla classe che aveva scelto il Liceo Classico per «coniugare entrambi i suoi piaceri», e i piaceri erano il greco antico e la matematica, insomma non ci avrei scommesso cinquanta cent sopra. Ma anche lì mia madre ci ha visto giusto «tempo dieci anni e Roberto darà a tutti dei punti» e oggi le mie competenze matematiche non sono sufficienti per calcolare i punti che ci dà Roberto. Peraltro, sempre parlando di conti, a considerare quante volte mia madre ci ha visto giusto “al rialzo”, c’è da non credere alla sua incapacità di vederci giusto “al ribasso”, ma va be’, questo non c’entra.

Morale della favola, con tutte le competenze e le esperienze e le tecniche raffinatissime che ho sviluppato è un vero peccato che nessuno sia disposto a pagarmi per dirgli come andrà a finire in modo che io possa fare del mio lavoro un lavoro. Probabilmente il problema è che la gente non crede che ci sia modo di sapere in anticipo come andrà a finire, anche voi alla fine siete convinti che in fondo io non dica sul serio, che non creda davvero a tutto quello che vi ho detto. Ci sta, non ho niente da ribattere. La gente è strana e ha bisogno dei suoi punti fermi.

Immagine generata con DALL-E
“in a french cafe a standing blonde male child exudes a luminous aura, oil painting”