Cura Ludovico
Ridi di quello che non sai Ludovico, spremi le meningi come fai con i limoni, tieni solo il succo e riponilo per bene dentro contenitori a forma di fiore, per fare il ghiaccio. Li insaporisci con un metro di ironia e cattiveria, con cui passi i pomeriggi al bar di fronte casa, illuminato da qualche luce fioca e un titolo di studio inventato che neanche ricordi più. Rifletti per specchi convessi in cui non ci sei, a termine di paragone coi tuoi vizi ordini un altro Campari con l’Avana Club, sorvolando sul fatto che oggi non è il giorno che porti tua figlia al parco giochi, ma neanche Olivia al parcheggio del campo santo, santa donna Olivia che ti considera ancora un uomo, dopo averla accoltellata senza pietà quel ferragosto di fuoco e albumi.
L’inverno si era portato via il suo stare in piedi, inginocchiata a raccogliere pinoli infatti, un enorme pino loricato le aveva fracassato il bacino franando come una foglia d’alloro su un formicaio. Una neve severa aveva seccato la saliva e le radici dell’albero, il vento repentino aveva fatto il resto. Sì, è vero, ti occupavi di lei, ma solo perché te la dava. Quando era il momento la caricavi in macchina sul sedile posteriore allacciandola per bene per non perderla del tutto, la carrozzella la ripiegavi e la disponevi nel portabagagli dove avevi lasciato uno spazio preciso, tra i tronchi degli ulivi che andavi a fregarti in giro e le scatole delle copie invendute del tuo libro, scritto per darti un tono.
Parcheggiato al tramonto di punti metallici, passavi dietro sganciandola dalla cintura di sicurezza, te la piazzavi sopra come fosse un peluches della Disney. Ma lei ci stava. Prendeva a baciarti l’orecchio con dei mozzichi che si danno ai neonati, a te piaceva s’intende, sembrava quasi dominarti, escluderti, pensare solo al suo godimento, senza fingere senza infilarti le unghie nella tua carne putrida, nelle tue vene luride in cui scorre il vomito, in cui s’adagia il Tevere e ridere, scrivere sul vetro appannato dopo che siete venuti entrambi, non ho paura.
Olivia con le unghie finte, Olivia dalle prospettive, i punti che combaciano, gli spazzi da annerire per scoprire quale disegno appare, la felpa legata in vita, la tua carrozzella di carbonio che hai preso con le sovvenzioni statali, e la pineta chiamata col tuo nome.
Olivia che guardi fuori per orizzonti refrattari, una manciata di nuvole caffè e il miagolio dei tuoi mille gatti, il vapore felino delle sigaretta elettronica alla liquirizia, Olivia con le cuffiette più grandi della testa.
Da quant’è che non avevi un uomo? Tu e il tuo profumo sempre uguale, leggi gli stessi libri perché non portano novità e rancore, sai chi passa dietro l’angolo, sai chi muore per primo e chi è l’assassino.
E l’assassino oggi è Ludovico, con la sua camicia a quadri che puzza di sudore, che non vedeva una fica da quindici anni e non lavora da di più. Ha seppellito i suoi nel giardino di casa per risparmiarsi i soldi del funerale. Non ti compra gli assorbenti, non va a votare. Dorme tantissimo, non prepara la colazione perché scende al bar senza stropicciarsi gli occhi e lavarsi i denti, siede al tavolino più lontano dando confidenza a tutti pensando sia normale.
Tu e il tuo rum scadente comprato al mercato notturno degli zingari, hai fatto la fila per una scatola di attrezzi da cantiere, trapani, frullini, carta vetrata e poi hai dirottato sugli alcolici, battendo all’asta improvvisata tutti gli altri acquirenti.
Ti sei speso tutto l’assegno di disoccupazione, questo mese mangerai bevendo, e quello che rimedierai dai piatti della tavola calda e dai cassonetti. Ti sei lasciato pochi spicci per comprare Annientare di Houellebeq, lo terrai sul comodino vicino ai libri di Tondelli, prenderanno insieme polvere e i mozzichi del tuo misero cane, sopravvissuto alla vita da canile e a te.
Due diversi aspetti della stessa prigionia e povertà. Non lo porti a pisciare da mesi e quando non fa troppo freddo lo lasci sul balcone a prendere zecche da cumuli di legna.
Respira profondamente Olivia. Respira, spalanca gli occhi e I polmoni, la crisi passerà come le altre volte, hai solo lasciato la carrozzina e sei sprofondata sul pavimento ed in te stessa. Conta fino a tre, poi ricomincia sei sola devi uscirne da sola, pensa a tua madre, ai pinoli per fare il pesto, all’aria di primavera che entra dalle serrande insieme al giorno. Conta fino a tre, poi ricomincia, uno, due, è forse colpa tua se gli alberi cadono, se il mondo non gira, se il sole non sorge ad est, la terra è piatta, è un piatto fondo di minestrina bollente e formaggino, un bicchiere di carta con vino scadente, la televisione accesa tutta la notte sulle televendite e trapianti di capelli finti. Tachicardia. Dispetti. Respira profondamente, Olivia.
Immagine generata con DALL-E
“a wheelchair is folded in a car trunk together with some logs, oil painting in the style of Morandi”