Le tre luci

Per non si sa quale ragione noi tre siamo diventati amici. Non avevamo niente che ci accomunasse, neanche una passione, nessun argomento di cui parlare, ci eravamo semplicemente trovati in una particolare circostanza della vita ed eravamo diventati amici. Le migliori amicizie, d’altronde, nascono così, senza un vero motivo, per il solo piacere di stare insieme. Formavamo come un unico grande corpo, un’entità nuova che conteneva tutt’e tre le nostre essenze, in una sorta di equilibrio che sembrava difficile scalfire, perché qualsiasi cosa sarebbe successa, sapevamo, saremmo sempre rimasti amici. Avevamo diciotto anni, ed eravamo amici da quattro. Eravamo io, Tommaso e Luciana. Io e Tommaso non provavamo attrazione per lei. Così si era potuta sviluppare una sincera amicizia, completamente disinteressata. Abitavamo in provincia e le nostre vite erano simili a quelle di migliaia di giovani della nostra età, non eravamo nulla di speciale visti da lontano, ma se ci si avvicinava, osservando con attenzione, allora si potevano vedere tutte le sfumature che rendevano la nostra esistenza unica. Una persona particolarmente attenta avrebbe intuito che quell’equilibrio non sarebbe durato in eterno. Con senno di poi si sarebbe potuto dire che già da tempo si erano iniziati ad avvertire i sintomi della rottura, d’altronde eravamo amici da quattro anni e nessuno avrebbe mai pensato che ci saremmo separati. Vivevamo la giornata senza porci questioni filosofiche. Per noi l’unica cosa importante era uscire e stare bene insieme, il futuro sembrava sempre troppo lontano per doverci pensare in quel momento, rimandavamo sempre a una data da destinarsi.

Tutto accadde una notte, stavamo tornando a casa con la mia macchina da una festa in cui ci stavamo annoiando. Luciana aveva la casa libera perché i suoi genitori erano partiti per un weekend in montagna e suo fratello, di due anni più grande di noi, rimaneva a casa della sua ragazza a dormire, così decidemmo di rimanere un po’ da lei a parlare, dato che non era troppo tardi. A metà strada iniziò a piovere, e presto scoppiò un forte temporale che per fortuna ci beccammo solo per metà del viaggio. Parcheggiammo sotto casa sua, abitava in una villetta molto carina alla fine di una strada, in una zona piuttosto riservata e tranquilla, tanto che se qualcuno si fosse messo a urlare difficilmente i vicini, che erano a parecchi metri di distanza, avrebbero sentito, specialmente con un temporale come quello, in cui i tuoni rendevano difficile anche comunicare con chi avevi davanti. Non avevamo l’ombrello, ma dovevamo fare talmente pochi passi per entrare in casa che se fosse stata una normale pioggia sarebbe stato sicuramente superfluo, invece in quel caso, appena messo piede fuori dalla macchina, ci bagnammo completamente, come se ci avessero tirato delle secchiate d’acqua addosso. Entrammo in casa e ci fermammo all’ingresso, non sapendo cosa fare per evitare di sporcare e bagnare in giro. Così lei si tolse i sandali con il tacco e corse al piano di sopra a piedi nudi a prendere dei vestiti brutti di suo fratello, ce li portò e ci disse di cambiarci. Così facemmo e stendemmo i nostri vestiti sui termosifoni nella speranza che si asciugassero prima di andare. Quando scese le scale, io e Tommaso stavamo stendendo i nostri abiti fradici. Ci voltammo insieme e la vedemmo con indosso un pigiama rosa con un coniglietto rosa più chiaro con le guance rosse cucito al centro. Solo in quel momento ci ricordammo che Luciana fosse una ragazza. Ci fece accomodare in soggiorno, prese dal frigo dei Bacardi e ce li portò. Accendemmo la televisione su un programma musicale, giusto per vedere qualche videoclip e sentire un po’ di musica che cambiasse l’atmosfera resa tetra dal temporale. Io e Tommaso eravamo seduti sul divano e lei sulla poltrona, rannicchiata, con le cosce che le toccavano il petto, appoggiava il mento alle ginocchia. La guardavo mentre dava un’occhiata di tanto in tanto ai videoclip che passavano sullo schermo.

«E se ci vedessimo un film horror?» propose Tommaso.

«Ci sta» dissi.

«No, vi prego!» disse Luciana.

«Tuo fratello non ha dei DVD?» le chiese Tommaso.

«No, non ha niente»

«Non ci credo»

«Dai, no, sapete che sono fifona»

«Appunto per quello.» disse Tommaso, che si alzò e andò su in camera di suo fratello per cercare i DVD. Lei si alzò, cercò invano di fermarlo tirandolo per la maglietta, senza neanche impegnarsi troppo. Probabilmente l’idea non le dispiaceva poi così tanto, voleva fare un po’ di scena. Io seguii Tommaso al piano di sopra, anche Luciana ci raggiunse e rimase sulla porta a fissarci mentre guardavamo la collezione di DVD nella libreria.

«Torniamo giù, vi prego» disse con poca convinzione.

«Appena scegliamo il film torniamo» disse Tommaso.

«Aspettaci giù» le proposi io.

«Non fate casino, però»

«Certo che no.» disse Tommaso in tono ironico.

Luciana scese e ci lasciò soli. La collezione di DVD era piuttosto vasta e spaziava dalle commedie più spensierate ai film drammatici. Li aveva organizzati in ordine di genere. In alto a destra c’erano i film horror. Tommaso si mise a spulciarli a uno a uno, e dopo un po’ trovò quello che secondo lui era adatto alla serata. Scelse The Strangers, un film che io non avevo mai visto e dalla copertina mi incuriosiva. Raccontava di una coppia che rimane bloccata in una casa isolata mentre degli sconosciuti mascherati vogliono ucciderli. Era proprio il film adatto per una serata di quel tipo, pensai, con l’unica eccezione che noi tre non eravamo, ovviamente, una coppia, ma neanche tre amanti. Tommaso prese il film e tornò in soggiorno, dove Luciana ci aspettava seduta come prima, con le gambe rannicchiate, però si era spostata al centro del divano. Aveva preso una coperta che la copriva fino al mento.

«Hai già paura?» chiese Tommaso.

«Sì.»

Tommaso inserì il DVD nel lettore, si sedette alla sua destra, e io alla sua sinistra. Mi chiesi come mai Tommaso non avesse detto niente della posizione di Luciana. Non si era mai messa fra di noi, di solito io e lui ci sedevamo sempre vicini quando eravamo con lei. Era una cosa strana, come tutto quella sera, visto che fuori continuava a imperversare un forte temporale che sembrava non dovesse finire più. Ogni tanto filtravano dalle persiane dei lampi di luce blu seguiti da forti tuoni che rimbombavano per qualche secondo prima di cessare definitivamente. 

«Io vi dico che se ho paura chiudo gli occhi» disse Luciana.

«Basta che non bagni le mutande» la pungolò Tommaso.

«Ma piantala, scemo» gli rispose tirandogli uno schiaffo sulla spalla talmente debole e con così poca convinzione che sembrava più una dimostrazione di affetto che una punizione.

Tommaso prese un lembo della coperta e se la mise sulle gambe. Dopo un brivido, anch’io feci lo stesso.

Durante una delle prime scene, quando una ragazzina andava a citofonare alla coppia, Luciana prese il braccio di Tommaso e lo portò a sé, preoccupata.

«Ma non sta succedendo niente» le disse Tommaso sorridendo.

«Mi fa paura quella ragazzina.»

Il suo volto poco illuminato, difficile da riconoscere, aveva qualcosa di inquietante.
Il film procedeva, e durante i momenti di tensione Luciana si aggrappava alla spalla di Tommaso come se fosse un’ancora di salvezza. Non veniva mai da me, riuscivo a sentire il suo profumo, ma era come se fossimo seduti su due divani diversi. Ogni volta che Luciana si spaventava, Tommaso si faceva delle grasse risate, e anche io inizialmente mi divertivo, ma dopo un po’ quella situazione mi era venuta a noia, mi sembrava esagerata. Ebbi la sensazione, forse sbagliata, che Luciana si comportasse così apposta, che esagerasse volutamente per aumentare le occasioni di un contatto intimo con Tommaso. 

A un certo punto sentii un leggero movimento sotto le coperte, in mezzo alle gambe di Tommaso. Per un attimo pensai che fossero le nostre gambe. Con la coda dell’occhio cercai di guardare Luciana e notai che a volte lei guardava proprio in quella direzione. Erano complici di qualcosa che stava avvenendo lì sotto. Mi venne il pensiero di afferrare la coperta e gettarla via. Pensai poi che non fosse il caso. Non avevo mai notato comportamenti ambigui da parte loro, si erano sempre comportati da amici, per quello che ne sapevo. Forse messaggiavano o si sentivano in privato, quello non potevo saperlo, né avevo mai pensato di chiederglielo o di indagare. Decisi di non farci caso e mi sforzai di guardare il film. Dopo pochi minuti tornai di nuovo a fissarli. Non erano comunque affari miei quello che loro facevano sotto le coperte, l’unica cosa imbarazzante era che sotto quella coperta c’ero anche io. Provai una punta di invidia nei confronti di Tommaso, avrei voluto anche io ricevere da parte di Luciana le stesse attenzioni. Pensare a lei da quel punto di vista era strano, anche se in effetti era una bella ragazza con dei grandi occhi e delle forme armoniose che piacevano molto ai ragazzi.

A un tratto, nel bel mezzo di un dialogo, precipitammo nel buio, la televisione si spense e sentimmo un fortissimo tuono rimbombare in tutto il soggiorno, come se fosse scoppiato dentro casa.

«Aiuto!» urlò Luciana.

Non riuscivo a vederla, ma ero convinto che stava stringendo il braccio di Tommaso più forte di prima. L’unica luce del soggiorno era quella che filtrava dalle persiane chiuse, era molto debole, i nostri occhi si dovevano ancora abituare a quella blanda fonte di luce.

«Che facciamo?» chiesi.

«Ci sarà un quadro elettrico in casa»

«È vicino alla porta di ingresso, sulla parete a sinistra» disse Luciana con un filo di voce, come se non volesse farsi sentire da qualcuno.

«Va bene, allora vado a tirare su l’interruttore» disse Tommaso.

Si alzò dal divano rompendo l’equilibrio che si era creato, lasciando me e Luciana da soli. Sperai che mi abbracciasse per sconfiggere la paura, d’altronde sarei stato capace anche io di proteggerla, proprio come faceva Tommaso, nonostante mi mancasse il suo carisma. Tommaso, facendosi luce con il cellulare, andò al quadro elettrico con la convinzione di ripristinare la corrente, invece scoprì che non era saltata lì, ma da qualche altra parte.

«Non c’è un altro quadro?» chiese Tommaso una volta tornato in soggiorno.

«È fuori, vicino al cancelletto» disse Luciana.

«Cazzo, ma piove troppo»

«Hai un ombrello?» chiesi a Luciana.

«Sì, ce l’ho» rispose, ma senza fare nessun accenno di movimento per andarlo a prendere.

«Mi bagno comunque» disse Tommaso.

«Vado io, allora.» dissi.

Stare al buio mi metteva a disagio. Avrei preferito bagnarmi completamente piuttosto che passare altro tempo in quel modo. Almeno vedere il film mi permetteva di tenermi impegnato mentre loro facevano le loro cose.

«Lascia stare» disse Luciana, non voglio che bagni i vestiti di mio fratello.

«Allora rimetto i miei»

«Ti prenderai un raffreddore, come minimo» mi disse Tommaso.

«Per così poco? Non dire cazzate»

«Lascia stare, dai, tanto il film non era neanche questo granché.»

Mi suonava strana quella affermazione, dal momento che era stato proprio lui a sceglierlo e ad essere entusiasta.

«E cosa facciamo qui al buio?»

«Tanto è probabile che salti ancora» disse Luciana.

«Okay, ripeto, che cosa facciamo qui al buio?»

«Stiamo un attimo qui e aspettiamo che piova di meno» disse Tommaso.

«Lu’, tu che dici?»

«Sì, per me va bene.»

Mi sembrava un’enorme perdita di tempo stare con loro al buio, mi interessava almeno vedere come andasse a finire il film.

«D’accordo» dissi con rassegnazione.

Tommaso si sedette nella stessa posizione di prima facendosi luce con il cellulare, dopodiché lo spense e rimanemmo immobili fissando il filo di luce proveniente dalle persiane. La luce era prodotta da un lampione che era proprio davanti casa sua, se fosse saltato anche quello, saremmo rimasti completamente al buio, con la sola luce dei lampi a farci compagnia.

«Non mi ricordo di avere mai visto un temporale così forte» disse Tommaso.

«Già» rispose Luciana.

Si sentì un altro tuono assordante. Non sembrava intenzionato a smettere, mi chiesi per quanto tempo saremmo rimasti così sul divano. Non avevo voglia di tornare a casa, non sarei sicuramente riuscito a prendere sonno. Nessuno parlò più dopo la risposta di Luciana, si poteva sentire solo il costante rumore della pioggia. Chiusi gli occhi e sperai che quel momento passasse il più in fretta possibile, non sapevo proprio cosa fare. Senza dire niente, Tommaso cercò di sdraiarsi a lato, appoggiando la schiena sul bracciolo del divano e Luciana gli si sdraiò di fianco, mettendomi i piedi sulle gambe.

«Siete stanchi?» chiesi.

«Un po’» rispose Tommaso.

Non riuscivo a vederli bene. Non capivo esattamente cosa stessero facendo, vedevo solo il loro profilo e poco di più, distinguere le loro espressioni mi era impossibile. Ci furono altri minuti di silenzio, in cui nessuno osava dire niente, come in segno di rispetto verso qualcosa di sacro. Percepivo dei leggeri movimenti, sembrava stessero facendo qualcosa, forse si stavano accarezzando. Ero come imbalsamato, non avevo il coraggio di muovermi, ero convinto che se avessi fatto anche solo un piccolo movimento li avrei disturbati.

«Non sei stanco anche tu?» mi chiese Luciana.

«Un po’» risposi facendo eco alla risposta di Tommaso. In realtà non ero stanco, ma mi sembrava la risposta giusta da dire in quel momento.

«Sdraiati, allora» propose Luciana.

Il divano non era sufficientemente grande per permettere a tre persone di sdraiarsi, se non una sopra l’altra. Mi provai ad avvicinare e mi sdraiai sopra il sedere di Luciana che mi faceva da cuscino. Continuavo a non capire il senso di una simile posizione, oltre a non essere divertente era piuttosto scomoda. Rimanemmo così per un tempo indefinito. Sentivo che la schiena stava cominciando a farmi male. Avrei voluto alzarmi, ma ero sicuro che avrei rovinato il momento e si sarebbe incrinato qualcosa. Sentivo dei rumori provenire da sopra la mia testa, rumori di vestiti che strusciavano, mani che si muovevano, forse. Sentii la mano di Luciana afferrare il mio braccio per cercare la mia mano che le diedi senza opporre resistenza. Lei la guidò su, verso il suo ombelico, facendola passare sotto il pigiama. Mi sentii mancare il fiato. Avrei voluto  dire qualcosa, ma che cosa poi? Le accarezzai la pancia con tutta la delicatezza possibile, perché volevo che coccolasse anche me. Ero certo che tutto sarebbe finito in quel modo, accarezzandole la pancia fino al cessare del temporale. Così iniziai a sperare che non finisse mai di piovere. La sua pelle era morbida e tonica, forse leggermente umida perché la coperta stava scaldando parecchio. Quella sensazione durò molto meno di quanto mi aspettassi, perché lei prese nuovamente la mia mano e la portò su un suo seno. Non aveva il reggiseno e ansimai subito involontariamente, lei si accorse e fece un lungo sospiro. Il suo seno era morbido, accogliente e caldo, pensai che il suo tepore mi avrebbe protetto da tutti i temporali del mondo. Lei mollò la presa dalla mia mano e mi lasciò libero di esplorarlo. All’inizio non mi mossi, avevo quasi paura di farle male, poi cominciai a stringerlo leggermente e poi sempre con maggiore forza. Le presi il capezzolo tra le dita e lo strofinai per studiarne la forma e figurarmelo nella mia mente. Era una parte del suo corpo che non avevo mai esplorato, l’avevo vista più volte in costume quando andavamo in piscina insieme, ma mai ero riuscito a sentire con mano cosa ci fosse sotto il costume. Sentii il suo respiro farsi più pesante e provai a muovermi sull’altro seno. Mi fermai subito, perché sentii con la punta delle dita un’altra mano, che non poteva essere la sua, perché era più grande. Mi paralizzai e sperai con tutto me stesso che Tommaso non se ne fosse accorto, se avesse detto qualcosa a riguardo o avesse fatto una delle sue solite battute avrebbe finito per rovinare per sempre il momento. Così tornai sull’altro seno e continuai a toccarlo come se nulla fosse. Mi chiesi dove questa situazione ci avrebbe portato, saremmo finiti a fare sesso a tre? Mi sarei sicuramente tirato indietro per l’imbarazzo. Sapevo di non avere quel tipo di confidenza con loro. Se proprio qualcuno mi avesse obbligato a farlo, avrei accettato, ma solo con sconosciuti o nuove conoscenze, mai con i miei più cari amici.

Nessuno di noi tre sembrava voler cambiare posizione, i respiri di Luciana si erano fatti più leggeri e quella posizione era diventata improvvisamente una nuova normalità. Non ricordo quanto tempo rimanemmo così, ricordo solo che a un certo punto Tommaso si alzò di scatto, come se si fosse ricordato qualcosa di urgente da fare. Io ritrassi la mano all’istante come un ladro colto in flagrante durante un furto, e mi misi seduto.

«Credo abbia smesso di piovere» disse Tommaso.

«Ah, okay» farfugliai.

Non avevo più fatto caso alla pioggia, fuori da quella casa avrebbe potuto scoppiare l’apocalisse ed ero sicuro che non me ne sarei accorto. Luciana rimaneva in silenzio, non sentivo neanche più il rumore del suo respiro.

«Mi stavo addormentando, andiamo.» disse seccato Tommaso.

Il tono della sua voce non lasciava possibilità di replica.

«Va bene» dissi.

Mi alzai e seguii Tommaso che si dirigeva verso la porta di ingresso. I miei occhi si erano ormai abituati all’oscurità, riuscivo a distinguere i contorni dei mobili e degli oggetti.

«Adesso ti riattivo la corrente» urlò a Luciana che era rimasta in soggiorno.

Lei non rispose, sembrava essersi dissolta nel nulla, tanto che avrei voluto tornare in soggiorno per assicurarmi che fosse ancora lì. Tommaso aprì la porta e constatammo che la violenta pioggia di prima aveva lasciato il posto a una pioggerella. In lontananza si vedevano dei lampi sparsi nel parcheggio di un centro commerciale. Il temporale si stava allontanando. Tommaso andò al quadro elettrico, riattivò la corrente e la luce esterna posta sopra la porta di ingresso si accese all’istante. Rimase in piedi sotto la tettoia del cancelletto e mi chiese di verificare se anche in casa funzionasse, così entrai accendendo la luce dell’ingresso. Non avrei voluto tornare in soggiorno, la vista di Luciana rannicchiata sul divano mi avrebbe messo a disagio. Però volevo salutarla, così mi feci forza e mi affacciai sulla porta, facendo finta di verificare che la corrente fosse tornata anche lì. La televisione si era riaccesa e sullo schermo si vedeva la schermata iniziale del menu del DVD. Luciana era esattamente dove me l’ero immaginata. Guardava il televisore come se fosse trasmesso un evento importantissimo.

«Bene, funziona tutto anche qui.» dissi.

Non rispose.

«Noi andiamo, allora» aggiunsi.

«Okay»

«Ciao, Lu’.»

Tommaso non sembrava intenzionato a tornare in casa per salutarla.

«Ti saluta anche Tommaso che è fuori»

«Ciao.»

Uscii di casa, salii in macchina con Tommaso e partii per portarlo a casa. Era notte fonda, era come se la città si fosse improvvisamente svuotata. Rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio, il primo che non voleva parlare di quello che era successo ero proprio io, non sapevo quanto lui avesse capito che sotto il pigiama di Luciana, di fianco alla sua mano, c’era anche la mia. Arrivato davanti a casa, mi ringraziò del passaggio e scese dalla macchina. Lo guardai che apriva il cancelletto del palazzo dove abitava e a un certo punto, mentre lo richiudeva mi guardò e mi sembrò proprio (sarei stato anche disposto a scommetterci) che scuotesse la testa in segno di disprezzo nei miei confronti. Una vampata di calore mi attraversò il corpo e mi sentii mancare il respiro. Si voltò e andò verso la porta di ingresso del palazzo. Ripartii accelerando bruscamente, con la speranza di lasciarmi alle spalle quella nottata, anche se sapevo bene che avrebbe avuto delle conseguenze sul nostro rapporto.

Nei mesi successivi ci incontrammo di nuovo a casa di amici comuni, mai più solo noi tre. Scambiavamo chiacchiere superficiali, come se fossimo dei perfetti sconosciuti. E dopo qualche sporadico incontro finimmo per non vederci nemmeno più, perché ognuno aveva trovato un nuovo gruppo di amici con cui passare le serate.

Sono passati quindici anni da allora, e ogni tanto mi sembra ancora di sentire sulle dita la morbidezza del seno di Luciana.

Immagine generata con DALL-E
“during a storm a flash of blue light filters through the shutters, turner style painting”