Un'ombra nera
Gioele tornò a scuola che era martedì. Primavera inoltrata. L’odore dei ciliegi l’aveva inondato così tanto che non ricordò nemmeno subito venisse da un fiore oppure no, poiché era troppo tempo che non riusciva a riconoscere alcun tipo di odore, gusto o sensazione. Insieme ad Alessandro, Marco, e Pietro ad accoglierlo ci fu Greta, che non attese molto tempo prima di chiedergli notizie. Tutto questo successe una volta terminato il ciclo di lezioni. Erano le 12.30. Un mattino di sollievo per Greta poiché venne a sapere proprio da lui che il peggio era passato e che era pronto a tornare alla vita, la sua, quella dei suoi amici e a quella con Greta, con cui finalmente riuscì a suggellare la tanto agognata relazione, ma che purtroppo non ebbe vita lunga. Contro ogni pronostico di Greta.
«Quindi…mi vorresti dire…»
«Esattamente!»
«Non ci credo! Cioè,non ci posso credere!»
«E invece ti dico che è stato lui!»
Greta fece strisciare lentamente la manica del suo vestito blu di velluto giù per la spalla.
«No! Tu mi stai inventando una bugia!» intervenne Alessandro che era il più intimo tra gli amici di Greta.
«Che motivo avrei, sai quanto tenevo a Gioele! Sai quanto aspettavo questo momento…giuro che non ne avrei il motivo! Non potrei mai dire o fare qualcosa che vada contro di lui»
«Questo lo so! So quanto ci tieni a Gioele…anzi, quanto tutti quanti teniamo a Gioele…»
«E allora, cosa mi consigli di fare? Ti rendi conto cosa…cosa….»
«Certo che mi rendo conto. E io direi che l’unica soluzione è quella di…»
«Ho capito quello che vuoi dire.»
I quattro ragazzi si conobbero durante gli anni dell’asilo. Greta era sempre stata la più timida, la più introversa. Alessandro, Marco e Pietro i più chiacchieroni (ad esempio). Da quando erano piccoli, hanno dimostrato un senso di protezione nei suoi confronti e a lei non dispiaceva affatto. Anzi, tutto sommato la gratificava/le piaceva far parte di un gruppo di soli maschi.
Tutti quanti erano a conoscenza del debole che aveva la ragazza per Gioele, ma nessuno aveva osato aprire bocca a riguardo.
La questione, invece, su cui si erano spesso interrogati i tre ragazzi era se Gioele avesse in qualche modo mai provato un qualche tipo di attrazione per Greta. Ciò di cui erano sicuri era che Gioele aveva – da quando lo conoscevano – un carattere molto particolare: introverso, di poche parole ma buone, che si isolava per starsene da solo con i suoi pensieri. Il tipo di ragazzo che quando i quattro ragazzi dovevano trovarsi tutti insieme per fare i compiti se ne andava in disparte e poi tornava a compiti già fatti. Greta era rammaricata per il fatto che dovesse recarsi per forza della sua famiglia per raccontare loro l’accaduto. Ci pensava e ripensava e si chiedeva come mai Gioele fosse arrivato fino a questo punto. Sarà stato il danno psicologico che gli aveva provocato la malattia? Sarà stata la prolungata assenza da scuola? O il fatto che non avesse visto i suoi amici per tanto tempo? Quel che è certo è che arrivati a questo punto Greta doveva capire cosa gli fosse successo e per fare ciò doveva mostrare quello che Gioele le aveva fatto. Quel segno sul braccio destro che nascondeva da qualche settimana.
«Prego?»
«M-mi chiamo Greta» esordì timidamente.
«Prego Greta, immagino che tu sia amica di mio figlio»
«Si, abbiamo la stessa età»
«Allora, a cosa devo questa visita?» chiese la madre di Gioele con tono pacato.
Greta attese qualche secondo. Quasi quasi si stava pentendo di quello che aveva fatto. Ma cosa sarebbe successo se non avesse detto nulla? Magari avrebbe sfogato la sua rabbia con sua madre, con qualche professore, o con qualche sconosciuto che l’avrebbe sicuramente messo nei guai. Greta sapeva che Gioele stava uscendo da un vissuto delicato. E non lo poteva permettere.
«L-le devo parlare di una cosa» intervenne Greta con tono sommesso.
«Mi sembri alquanto preoccupata»
«Sì, in effetti… spero comunque di poterle essere d’aiuto»
«Non… non capisco a cosa ti riferisci, cara»
«Credo tu abbia capito che io mi riferisco a Gioele»
«Beh, non poteva essere diversamente, a meno che me ne sia dimenticata io non ti conosco attraverso altra sede»
«No, non ci siamo mai conosciute. Non le nego che Gioele ci ha parlato di lei, ma eravamo molto più piccoli…»
Ci fu qualche minuto di silenzio. Minuti in cui la piccola Greta inizio a far scivolare dalla sua spalla liscia il vestitino di velluto. La madre di Gioele, cui nome era Matilde, rimase incredula. Era quasi pietrificata.
«M…ma cosa? Cos’è quella cosa? Bimba bella, ti sei fatta veramente male…»
«Sì, veramente, veramente tanto male…»
«Non capisco perché tu sia venuta qui. Per carità, se sei amica di Gioele mi fa pure piacere. Ma non so di che utilità possa essere. Che c’è per caso i tuoi genitori non ti hanno voluta portare all’ospedale?»
Greta stette per qualche minuto in silenzio. Di certo non le poteva dire che era una scappata di casa. Aveva dei genitori che si prendevano cura di lei. Ma proprio quella cosa non gliela poteva mostrare. Che cosa avrebbero pensato? E se non avessero creduto che si fosse fatto del male da sola? Greta era convinta che sua madre avrebbe chiamato direttamente le forze dell’ordine per il panico e questo Greta non lo poteva permettere. Così decise di sputare il rospo una volta per tutte.
«N-nulla di tutto questo. Anzi se devo dirle la verità, se dopo avermi vista si vuole informare su di me, la prego di non dire nulla ai miei genitori»
«Ma di cosa stai parlando?»
«È…. è stato Gioele»
«Cosa?!»
«La prego, lo perdoni, sarà stato sicuramente la sua malattia»
«Malattia? Non so di cosa tu stia parlando»
Greta sgranò gli occhi.
«Mi perdoni, ma Gioele non è venuto a scuola per così tanto tempo»
«Sì, lo so»
«E non è venuto perché era malato giusto?»
«Come?»
Greta si stava iniziando un po’ a irritare, e a tratti le sembrava un po’ svampita, ma ovviamente, non poteva darlo a vedere.
«Non è venuto a scuola perché ha una malattia, giusto? E se è tornato a scuola evidentemente la malattia sta scomparendo, deduco»
«Che io sappia mio figlio non ha mai avuto nessuna malattia. Ma cosa sta succedendo?»
«In che senso, scusi? Gioele non è venuto per tanto tempo a scuola. E non è venuto perché era malato. Mi aveva detto che avevano scoperto che aveva una malattia congenita difficile da curare»
«Ma che idiozia è questa? Spero che tu stia scherzando»
«No no, sto scherzando! Se vuole la faccio parlare con i miei amici…. Ecco, ecco…»
Greta stava per dirle che erano anche amici di suo figlio, ma evitò di andare oltre. E se i loro amici non avessero voluto essere messi in mezzo? Cosa sarebbe successo? In quel momento, meglio non proseguire oltre.
«Non c’è n’è bisogno. Se sei venuta fin qui, evidentemente c’è veramente qualcosa che non va in mio figlio. Anche perché la storia della malattia mi è veramente nuova. Ma… quand’è che te l’ha raccontata?»
«Non è che me l’abbia raccontato in modo proprio diretto e soprattutto non subito!»
«Spiegati meglio»
«Beh inizialmente… ricordo che iniziò a venire a scuola sporadicamente. Io gli chiedevo se fosse successo qualcosa ma lui era molto ambiguo. Poi da un giorno all’altro, ricordo esattamente che era primavera, e quindi quasi la fine dell’anno scolastico, non venne più. Dovetti aspettare l’autunno seguente per verificare che era successo qualcosa»
«Poi?»
«Beh, poi è successo che… mi chiamò lui, sì, mi chiamò lui» Greta estromesse il fatto che avevano una comitiva in comune. Non voleva assolutamente che i suoi amici andassero nei guai per colpa sua «e mi disse che aveva la malattia di cui le parlavo prima…»
«Ti ha specificato che tipo di malattia? Non voglio che l’abbia nascosto anche a me»
«Mi parlava di una malattia congenita…»
«Malattia congenita?»
«Sì, proprio così. Avete qualcuno che ha delle malattie in famiglia?»
«No! Siamo sanissimi tutti quanti, almeno quella grazia Dio ce l’ha data»
«Allora devo dedurre che sia falso?»
«Non lo so. Cioè cosa ti ha detto esattamente?»
«Mmh…. Fammi ricordare. Beh, adesso che ci penso non ha mai specificato, nonostante le mie continue insistenze. E questo perché credo che non volesse che qualcuno indagasse per la ricerca della verità, a questo punto»
«Ho capito. Quindi non ti ha mai detto che tipo di malattia è»
«No. Poi, le dico la verità, ad un certo punto ho lasciato perdere, poiché credo che l’insistenza gli avrebbe dato fastidio»
«Ho capito. Quindi fammi ricapitolare. Mio figlio d’un tratto ti ha chiamato, e ti ha detto che ha una malattia congenita»
«Esatto»
«Scusami se ripeto sempre le stesse cose… ma voglio vederci chiaro»
«Continui senza problemi»
«Tu lo hai chiamato i primi tempi, e continuava a essere vago»
«Sì, ma un vago molto particolare. Della serie “non mi va di parlare perché sono molto stanco”. Lei può capire che io in queste condizioni non potevo andare oltre»
«Capisco, certo»
«E lei invece? Cosa mi dice? In tutti questi mesi lo deve aver visto qualche volta»
«Veramente, se devo proprio essere schietta, è stato sempre a casa»
«Beh, lo avrei immaginato che girava tra casa e ospedale»
«Il problema è che a me ha detto tutt’altra cosa»
«E cioè?»
«Beh, a questo punto credo che abbia imbrogliato anche le insegnanti, dato che continuava a dire loro che soffriva di depressione e che non se la sentiva di andare a scuola»
«Ah, capisco. Quindi a voi ha detto che era in depressione»
«Beh certo, quale altra scusa avrebbe potuto inventare? Di certo non poteva mettere in mezzo nessuno dei suoi amici, perché altrimenti si sarebbe scoperto subito»
«Ma, che lei sappia, era veramente in depressione?»
«Sì, quello sì, prendeva dei farmaci. Ma ora non so cosa pensare.Non avrebbe potuto dire anche a voi che era in depressione?»
«Infatti. Non lo so. Credo che avesse paura che andassi a trovarlo.»
La madre di Gioele stette per un po’ in silenzio.
«In effetti, ora che ci penso, credo che avesse calcolato le cose abbastanza bene»
«Sì, in effetti»
«Ma non aveva paura che prima o poi la verità sarebbe uscita fuori?»
«Come adesso…»
«Esatto»
«Credo che inizialmente sapesse che non sarebbe successo. Ok che io non ho mai conosciuto i suoi amici, non mi sono mai voluta intromettere nei suoi affari personali. Credo che ora non si stia curando minimamente di quello che potrebbe succedere.»
«Esattamente»
Trascorse qualche altro minuto senza dire nulla. Entrambe non sapevano come comportarsi. Quando d’un tratto la madre esordì dicendo:
«Ascolta, dato che Gioele non c’è, che ne dici di fare una cosa?»
«Mi dica» risposi preoccupata.
«Proprio oggi ho visto che Gioele ha lasciato la porta della sua cameretta aperta»
«Perché? Non mi dica che quando era in quelle condizioni la chiudeva. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa»
«No, no. Io non ho obiettato perché qualsiasi cosa avessi potuto dire, l’avrebbe potuto interpretare male»
«Non capisco di cosa stia parlando»
«Non posso obiettare quello che fa. Qualsiasi cosa abbia inventato o qualsiasi cosa abbia avuto, io non posso dubitare del percorso che sta facendo adesso. Cerca di comprendermi, dire a mio figlio in questo momento che ciò che fa non va bene vuol dire urtare nuovamente la sua sensibilità. Adesso attraversa una fase molto delicata. Qualsiasi cosa abbia avuto se sia falsa o no, questa cosa adesso non la posso fare»
«Quindi in breve lei dice di…»
«Questa è l’unica possibilità che ho. La sua cameretta è il suo mondo»
«Ma lei sa dov’è andato Gioele?»
«Mi aveva detto un paio d’ore fa che sarebbe uscito con un amico»
«Vieni con me» disse infine, dopo la fase di trance che aveva passato, «Io credo che l’unica risposta la troveremo qui. Tanto io gli orari di Gioele li conosco. Nonostante abbia passato quella fase così complessa, so il suo stile di vita. Non è mai tornato troppo tardi. Abbiamo tempo per fare quello che ho in mente adesso»
La ragazzina acconsentì. Purtroppo però non trovarono nulla. Nessun indizio che potesse aiutarle.
Qualche tempo dopo fu Gioele, ignaro del fatto che appena una settimana prima Greta avesse fatto visita a sua madre, a svelarle qualcosa. In verità molto più di “qualcosa”.
«Anzitutto» intervenne mentre sorseggiavano la crema caffè al bar, «mi, ecco, mi volevo scusare per quello che è successo. Mi rendo conto di aver esagerato»
«Sì, Gioele, stavamo parlando di te! Non voglio toccare più quell’argomento perché devi essere tu a dirmi qualcosa quando ne hai voglia»
«È proprio per questo che sono venuto»
«Una settimana dopo?»
«Avevo bisogno di quel tempo. Forse troppo poco visto quello che mi è frullato per la testa in tutto questo tempo»
«Sono qui» Greta sapeva che se avesse risposto in altro modo avrebbe rovinato tutto. Chissà se avesse risposto “sono tutta orecchi”, cosa sarebbe successo. Probabilmente Gioele avrebbe pensato che Greta non stesse aspettando altro di sapere cosa gli fosse successo.
«Ecco, ecco… io credo di avere un’ossessione morbosa verso mia madre»
«Cosa?»
«Esattamente» Gioele si sfilò lo zainetto dalle braccia, lentamente, «ecco, è stato questo il migliore amico di tanto tempo»
«Il computer?»
«Sì, il computer. Ci ho annotato il mio diario»
«Diario in cui parli di tua madre?»
«Soprattutto di lei»
Greta aveva capito che doveva dosare bene le parole. In una situazione così delicata dove Gioele restava per mostrare i suoi segreti più intimi, non poteva di certo lasciar trapelare che si era incontrata qualche giorno prima con sua madre.
«Tranquillo, con me puoi parlare» rispose con tutta la tranquillità del mondo mentre invece nella sua testa il mondo le era esploso.
«Ascolta, ti devo confessare una cosa. Una cosa che forse ti farà arrabbiare ma non me ne importa. Io non posso più fingere. Anzi, non ho il coraggio di guardarvi in faccia se prima non ho detto la verità»
Greta non proferì parola.
«Ecco, questa è la cartella dove ho annotato tutto. Proprio tutto»
Intervenne mentre le guardava la spalla
«Greta, mi…mi devi scusare per quello che ti ho fatto»
«Tranquillo… si sistemerà tutto.»
«In questa cartella, c’è tutto. Non so se ti va di leggere tutto, sono cose molto intime»
«Non te lo avrei mai chiesto»
«Ecco Greta, non è vero nulla della malattia. Prima o poi te lo avrei detto. La verità è che da quando è morto papà, provo un senso di attaccamento morboso verso mia madre»
«Credi che tua madre lo abbia capito?»
«Non lo so, non me lo sono mai chiesto»
«Ma…»
«Ecco, io credo che…. Che ecco, da quando è entrato il nuovo compagno nella sua vita… io non ho fatto altro che peggiorare…»
«Ti posso chiedere orientativamente quando è successo tutto ciò?»
«Quando è entrata questa persona nella nostra vita?»
«No, ehm, intendevo quando è mancato tuo padre»
«Mio padre è morto tre anni fa, è trascorso un anno, ma poi non sono più riuscito a trovare la voglia di andare a scuola…sei mesi che io non vivo più»
«Ma… è all’incirca il periodo in cui tu sei tornato a scuola»
«Esatto»
Greta iniziò a informarsi sulla routine di Gioele. Sapeva che la mattina andava a scuola. Si vedevano, avevano ricominciato ad abituarsi al fatto di vedersi di nuovo tutti i giorni, e Greta aveva capito che doveva instaurare un approccio più morbido nei suoi confronti. Quando successe il fattaccio aveva elaborato tutte le risposte che avrebbe dovuto dare a sua madre. Poi realizzò che coprendo i segni della violenza con i vestiti giusti, i suoi genitori non si sarebbero accorti di nulla. Quindi ogni mattina si fermava per due minuti davanti allo specchio e poi apriva l’armadio.
Per andare a parlare con la madre di Gioele, scelse un giovedì pomeriggio.
Tentò la fortuna. Mentre rincasava, le tornò in mente quel pomeriggio: Gioele era tornato a casa da un mese. I rapporti sembravano distesi. In quel periodo lui e Greta si erano riavvicinati molto.
Anche i mesi trascorsi lontani sembravano pesare meno, e ora avevano preso a vedersi più spesso – principalmente per ripassare quello che Gioele non aveva studiato a scuola o si era perso.
Dopo cinque giorni lei si presentò senza pensarci due volte a casa di sua madre. E ora era di nuovo lì, certa che Gioele non si sarebbe presentato per quell’ora, per raccontarle quello che era successo.
«Da me!? Mio figlio era ossessionato da me?»
«Sì, mi ha detto proprio così. E mi ha detto anche che lui è più scostante da quando tu hai un nuovo fidanzato»
«Ma…. tutto questo non ha senso. Io mi sono avvicinata a un altro uomo proprio per ristabilire il clima familiare… e poi non pensare che io l’abbia fatto da un giorno all’altro. Ne ho prima parlato con Gioele. E lui sembrava approvare»
«Credo non ti volesse ferire»
«E allora spiegami perché dopo che quest’uomo è entrato nelle nostre vite, lui gradualmente è rientrato a scuola»
«Non c’è bisogno che io le risponda a questa domanda» rispose Greta fermamente. Non sembrava preoccupata. Anzi, pareva che avesse preso veramente a cuore lo stato di Gioele. Nel senso che da quel punto in avanti aveva capito il reale disagio che aveva potuto provare.
«Forse non ho capito il reale problema. Hai ragione. Ma io non sapevo come prenderlo»
«In che senso?»
«Quando siamo rimasti soli io e lui, sto parlando di due anni all’incirca, litigavamo spesso. E sì, non ti nego che anche per disperazione ho cercato un altro uomo. All’inizio non curandomi affatto di cosa avrebbe potuto pensare Gioele. Ma poi ne ho parlato serenamente e lui era d’accordo»
«A questo punto credo che l’abbia accettato solo perché era una situazione insostenibile per entrambi, e con gravi effetti sulla sua salute, tra l’altro»
La madre di Gioele interruppe il discorso. Le sembrava che ogni parola fosse superflua. E non dire nulla allo stesso tempo era troppo poco. Si limitò solamente a chiedere, invocando sommessamente aiuto:
«Cosa mi consigli di fare?»
«Io non vorrei espormi. E dir la verità non potrei perché non so cosa stia passando in questo momento. Ma… e se tu provassi a ristabilire un rapporto più intimo con lui?»
«Credimi, ci ho già provato»
«Forse voleva vedere quanto ci tenessi a lui»
«Quindi cosa dovrei fare, lasciare il mio compagno?»
«No, assolutamente. Magari staccarti. Parlare con Gioele. Vedere il confine del suo problema»
«Il confine del suo problema?»
«Sì. Dove inizia la sua serenità e dove finisce»
«Credo che sia proprio questo il fulcro, hai centrato. Credo che non esista un confine e credo fermamente che non abbia elaborato per nulla la morte di suo padre. Come non l’ho elaborata io»
«E allora perché non proviamo così?»
«Proviamo?»
«Io voglio un bene immenso a Gioele. Se fosse stato il contrario sarei già andata dalla polizia. Questo vuol dire che ho a cuore la sua completa guarigione»
«Quindi in breve cosa suggerisci?»
«Quello che ho detto prima. Ristabilire un rapporto in cui ci siete solo tu e lui. Ma questa non è una cosa che va fatta dall’oggi al domani. Deve succedere gradualmente. Non deve assolutamente capire che hai premeditato qualcosa o che io e te abbiamo parlato»
«Va benissimo»
Nel termine di circa cinque mesi, Matilde – così si chiamava la madre di Gioele – spiegò al suo compagno tutto per filo e per segno: che aveva bisogno di riavvicinarsi a suo figlio, che aveva saputo tutto sulle sue invenzioni e che poteva arrivare a fare qualcosa di brutto a sé stesso e agli altri.
Ovviamente l’uomo non la prese bene. Diceva che un ragazzo, arrivato a una certa età, dovrebbe accettare e non incorrere a determinate strategie. Ma Matilde non ne volle sapere. Il suo primo pensiero era la salvaguardia del figlio.
Trascorsero all’incirca sette mesi quando Gioele, conscio della situazione, iniziò a chiedere dell’uomo.
“Dov’è finito Dario?” Lo sentiva chiedere ogni tanto.
Le prime volte la madre non rispose. Poi dopo una certa insistenza, dovette inventarsi qualcosa. E la cosa più ovvia si poteva immaginare quale sarebbe stata.
Ma gli disse che era andato a trovare la sorella per un lungo periodo e che sarebbe tornato. Sperava che non avrebbe indagato poiché sapeva che Dario non era d’accordo su ciò che aveva deciso la madre.
E lei sperava che con il tempo Gioele si sarebbe perfino dimenticato di chiedere. Altrimenti l’unica soluzione sarebbe stata quella di dire che mentre era via il rapporto si era semplicemente raffreddato e avrebbe detto che la relazione era sfumata. Gioele non poteva che esserne contento e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Il conflitto che aveva Gioele però, poco aveva a che fare con la madre o con il suo compagno, o perfino con la morte del padre: Il suo era un conflitto interiore. E doveva sconfiggerlo. Cosa che capì, a un anno e mezzo dalla mancanza dell’uomo in casa sua, dopo che si prese una sfuriata a scuola. Questa volta non si poté nascondere. E tutti vennero a sapere cosa stesse passando Gioele. Nemmeno Greta poté nascondere le sue ombre, come Gioele non poté nascondere a due anni dalla mancanza di Dario nella sua vita, che doveva dire una volta per tutte la verità.
Non se l’era bevuta la bugia della madre e oramai immaginava che lei e Greta avessero in precedenza parlato di lui. Fu proprio in quel punto che si accorse che la “sua ombra nera” lo seguiva dappertutto.
Lo seguiva da quando era poco più che bambino, sin dall'età di quindici anni, quando la realtà che abbiamo intorno inizia a prendere una forma.
Tramite qualche chiamata seppe che non era andato dalla sorella. Non ci volle molto per capire dove si trovasse Dario, sapeva praticamente tutto di lui, volente o nolente. Era bastato che fingesse di avere dei rapporti lavorativi con lui per scoprirlo: Dario era tornato nella sua città natale. Ed è lì che Gioele andò con la consapevolezza che tutto sarebbe venuto alla luce presto.
Ma tutto era cambiato. Dario gli disse quello che gli aveva comunicato la madre: che aveva paura per lui, che non si sarebbe mai aspettata che Gioele nutrisse così tanto ossessione verso di lei e che probabilmente l’entrata di Dario nella loro vita, a dispetto di quanto lei pensasse, aveva rovinato tutto peggiorando le condizioni psicologiche di Gioele.
Eccolo lì, fu proprio in quel punto che la sua ombra nera si schiarì. Fu solo e unicamente Dario la persona a cui ammise cosa l’aveva turbato in tutti quegli anni. Era il fatto che aveva sempre saputo che il padre tradiva la madre. Non poteva permettere che succedesse di nuovo. Non poteva permettere che sua madre soffrisse ancora. Ma Dario glielo disse che la situazione non sarebbe stato più in grado di reggerla, che si era rifatto una vita e molto probabilmente stava per sorgere una nuova famiglia.
Una settimana dopo l’ombra nera di Gioele prese il sopravvento. Possibile che nessuno si era mai accorto che lui aveva cercato solo di difendere la luce che si era presentata nella sua vita? Lo lasciò scritto proprio a Greta, in un messaggio Whatsapp.
“Ho cercato con tutte le mie forze di far sì che non succedesse nuovamente a mia madre. Dario aveva una somiglianza schiacciante con lui. Ero ossessionato. Ma arrivati a questo punto, possibile che nessuno si fosse accorto che volevo solo far fuoriuscire la luce che è in me? E se fossi rimasto solo con la mamma cosa sarebbe successo? L’avrei fatta soffrire anch’io?”
Matilde sapeva che Gioele dopo la sfuriata a scuola sarebbe andato da Dario. Ma non lo evitò. Anche lei a questo punto volle vedere la tanto agognata luce che aspettavano da anni.
Immagine generata con DALL-E
“a child is enveloped by his long black shadow, painting in the style of Giacometti”