Sangue Freddo
Che cosa fa di una madre una buona madre?
Se l’era chiesto per la durata della cena, in silenzio, in modo che suo marito non potesse schernirla.
Dopo il tramonto, erano rimasti seduti nella sala da pranzo della loro villa intorno al tavolo di ciliegio. Nello stesso momento, poco lontano, un ragazzo camminava sul ciglio della strada.
Arrivato all’altezza di una pensilina, il bianco di una lampada aveva illuminato a giorno il suo viso spigoloso: occhi verdi, le pupille piccole e pulite.
Sulla vetrina di un bar, oltre ai contorni della propria immagine riflessa, vide un volantino. Era lì da settimane. C’erano delle frasi e la foto di un’adolescente; una bella ragazzina bionda con la pelle di un biancazzurro simile al latte di riso.
La città era stata tappezzata da pezzi di carta come quello, e tutti dicevano che la ragazzina era scomparsa. La notizia era di settimane prima: la ragazzina era stata trovata, alla fine – ormai senza vita.
La donna nella villa si alzò di continuo durante l’intera cena, facendo la spola tra la cucina e il tavolo dove stava cenando con il marito.
Squilli improvvisi la fecero sobbalzare. Afferrò il cordless, si portò l’altra mano sul viso struccato e disse, cauta:
«Pronto, chi parla?»
Dall’altra parte una voce femminile rovesciò una serie di frasi che si alternarono tra toni alti e bassi. La donna rimase in piedi mentre faceva scivolare la mano sulla gola e poi nella tasca del grembiule.
«Ciao Annamaria, no, non è ancora tornato, appena lo vedo glielo chiedo»
La voce dall’altro lato le disse qualcos’altro.
«Stai tranquilla. Ti chiamo io.»
La donna appoggiò il telefono sulla base come se stesse mettendo giù un sasso.
Senza dire nulla al marito, avvertì una strana sensazione allo stomaco. Ricordò le terribili parole dei giornali. Ritrovata senza vita in un canale la figlia dei Bracco, la quattordicenne scomparsa un mese fa. Al momento ci sono diverse ipotesi al vaglio della Polizia.
Pensò a sua figlia, la più piccola, che adesso era al sicuro a giocare con le bambole nella sua stanza.
Nel frattempo, il maggiore, Paolo, non era ancora tornato, eppure doveva solo incontrarsi con dei compagni di classe.
Lavò la prima batteria di piatti. Voleva chiudere quella serata, ma il marito era ancora al secondo.
Dio, quanto la snervava quel suo modo di martoriare il cibo, spostandolo con il coltello, prima da un lato, poi dall’altro.
La mente tornò a Paolo. Usciva di rado. E poi quella casa proprio in mezzo al giardino; quella del prefabbricato era stata un’idea del marito, non sua.
Fece scorrere via l’acqua sporca, chiuse il miscelatore e si asciugò le mani. Senza volontà tornò nella sala da pranzo dove il marito si stava pulendo la bocca col tovagliolo.
«Era Annamaria, al telefono» lo guardò «mi ha chiesto se sapessi dov’è Francesca, non è ancora tornata a casa».
Lui rimase in silenzio.
«Il cellulare squilla ma non risponde, ho provato a chiamare Paolo e…»
«I ragazzi non rispondono, non è una novità» evitò di guardarla.
«Dovrebbe già essere qui».
«Stai tranquilla, tra poco lo vedremo entrare dalla porta».
«Forse sarebbe meglio mandarlo per gli ultimi giorni di vacanza in città, da mia sorella. Solo finché la scuola non riprende» il tono di lei sembrò più una preghiera.
Il marito poggiò il tovagliolo accanto al piatto e, con lentezza, sollevò lo sguardo su di lei.
«Non credo gli farebbe granché bene» alzò le spalle «tua sorella è strana».
La donna si mise seduta per guardarlo meglio.
«In che senso?»
«Una che allunga le caramelle al panettiere ogni volta che le regala una fetta di pane per le polpette, come la definiresti?» l’uomo sollevò le sopracciglia, come in attesa.
«Una persona gentile, tutto qui!»
«A me sembra strana, ripeto, e ancora più raccapricciante mi sembra il tizio che dall’altra parte del bancone si mette le caramelle in tasca. Bah!»
«Non sono tutti razionali come te!»
Il marito fece spallucce, borbottò parole tra gola e denti e si rimise a tagliuzzare il secondo.
Improvvisamente si sentirono passi in giardino.
«Visto? Vedrai che anche Francesca sarà tornata a casa» le rimproverò.
La donna sollevò il mento in ascolto.
La porta si aprì e poi si richiuse. Arrivarono rumori di passi. Poi si fermarono.
«Sei tu?»
La donna lasciò scivolare le parole nel vuoto della casa sotto gli occhi allucinati del marito che scosse la testa, come a dire “chi vuoi che sia?”
«Sì mamma» di nuovo pochi passi finché si sentì la porta sbattere, poi più nulla.
Il ragazzo apparve dietro la casa, mentre loro due erano ancora seduti intorno al tavolo. Scomparve nel piccolo prefabbricato.
«Ecco, è andato nel bunker» la donna appoggiò i pugni sul tavolo.
«Beh, è il posto dove sua madre non gli rompe le scatole»
«Adesso sarebbe colpa mia? Tu lo isoli dalla casa, gli fai arrivare quella specie di coso, e la colpa di tutto sarebbe mia?» spostò la sedia con uno scatto delle gambe.
«Gli stai addosso, non te ne accorgi?»
«Abbiamo il tuttologo. Finché gli conviene, poi se ne lava le mani» agitò le sue di mani davanti al marito che rimase concentrato sul piatto.
«Meglio non vedere, giusto?»
Gli voltò le spalle e corse in cucina.
Si ricordò improvvisamente che avrebbe dovuto chiedere a Paolo di Francesca, prima di ogni altra cosa.
Le venne in mente l’immagine acerba della ragazzina, soprattutto le sue dita sottili come dieci rebbi. Di nuovo gli squilli. Si asciugò le mani in fretta e furia e prese il cordless. «Ciao Annamaria, Paolo è appena rientrato, se aspetti in linea vado a chiederglielo, un attimo, eh?»
Quando si voltò vide Paolo ritto al centro della cucina.
«Tesoro, è la madre di Francesca, dice che non è ancora tornata a casa, l’hai vista per caso? Era con voi?»
«È passata un attimo a salutarci, poi ha detto che raggiungeva un’amica a quel bar dove hanno il biliardino; si chiama la Botte»
«Sai il nome di quest’amica?»
«Forse l’ha detto, ma eravamo troppi e non ho afferrato, mi spiace»
«Hai sentito, Annamaria? Sono certa che stia ancora con quell’amica, visto? Non c’è nulla di cui preoccuparsi.»
La prima a essere angosciata per tutta quella situazione era proprio lei, invece.
Mentre il marito se la prendeva comoda, il mondo stava crollando.
Chiuse la telefonata con un sospiro, sentì l’ansia dell’amica come sua.
Venne attirata da un odore di terriccio bagnato, aleggiava proprio nella cucina. Intanto il figlio si era seduto sullo sgabello, appoggiato coi gomiti sul top, la schiena ricurva.
«Lo senti anche tu quest’odore? Si girò su se stessa in cerca della fonte. Guardò Paolo che intanto fissava la scritta sulla lattina. “Mi sta prendendo lo stomaco, ma che cos’è?»
Il ragazzo scosse la testa da sinistra verso destra. Poi gli occhi verdi incorniciati da ciglia lunghe come quelle di una ragazza guardarono la madre.
Le scoppiava la testa, bombardata da quelle infinite notizie. Nascose la faccia tra le mani.
Il ragazzo scese dallo sgabello e l’abbracciò, ma lei fece un passo indietro.
«Sei tu che hai quest’odore! Sembra erba bagnata»
«Abbiamo fatto una partita al parco, ma poi un vecchio, un poveraccio, ci ha detto che gli davamo fastidio» sollevò le spalle, «non si può fare nulla in questo paese di merda!»
«Non ti permettere di parlare così con me, come se fossi uno dei tuoi amici» lo allontanò disgustata. «Tutta colpa di quell’affare lì, quello ti sta rovinando!» la sua mano indicò il prefabbricato.
«Dai mamma, è l’unica cosa buona che papà ha fatto per me» prima che la madre potesse mollargli uno schiaffo, si girò e corse nella sala da pranzo. Lanciò un’occhiata al padre che, intanto, aveva terminato la cena. Stringeva tra le dita uno stuzzicadenti davanti alla bocca.
«Ciao, papà»
L’uomo abbassò la mano. «Come sta andando a scuola, stai avendo problemi?»
«No, papà, va tutto bene»
«Ricordati che gli studi sono l’unica arma per emergere dalla mediocrità»
Si mise a pulire lo stuzzicadenti con il tovagliolo. «Tua madre, ad esempio, non ha mai lavorato».
«Certo, papà».
A quel punto Paolo decise di salire al piano di sopra, in quella che era stata, una volta, la sua stanza. Si addormentò per poi svegliarsi verso le sei.
La madre si era alzata ed era già in cucina. Aveva guardato per ore le luci dei fari che scorrevano lungo la strada. Intanto, Francesca non era tornata a casa.
I vigili del fuoco avevano dragato il cerchio di lago nascosto dagli alberi, dove spesso i ragazzi si rifugiavano a bere lontano dagli sguardi degli adulti.
Accanto alla donna, sul tappeto in rattan, la figlia scarabocchiava coi pastelli a cera. Quel giorno nessuno aveva mandato i figli a scuola.
Il marito entrò, preparò una tazza di caffè con la cialda monouso. Poi, si sedette davanti al top.
«Ci sto pensando da un’ora» alzò il mento verso la moglie appoggiata al lavabo. «Vorrei andare a trovare Ernesto e Annamaria»
«Sei proprio sicuro che sia una buona idea? Non ci sono ancora notizie di Francesca…» mormorò portando una mano al viso.
«Mio Dio, come si sopravvive a una cosa del genere: tua figlia esce di casa e poi non torna più!»
Il marito posò il cucchiaio sporco di caffè sul tovagliolo, la chiazza marrone si allargò sulla carta come un cerchio.
«Ormai non c’è più nulla da sperare, neanche per lei. Povera ragazza»
«Non dire così, poteva esserci uno dei nostri ragazzi lì fuori!»
«Lo so, sembro uno schifoso egoista, ma è l’unica cosa che mi dà conforto. Adesso, credo sia una buona idea la tua»
La moglie lo guardò senza capire.
«Mandarlo da tua sorella»
«E Beatrice? A lei non pensi?» entrambi si voltarono a guardare la testolina bruna che ogni tanto si piegava sui fogli e i pastelli a cera e poi tornava a sorridere ai genitori. Entrambi pensarono che l’assassino prendeva solo adolescenti.
Quando Paolo allungò le gambe sul materasso della sua stanza, si rese conto di avere ancora i vestiti addosso. Sentì il viso appiccicoso, come quando le lacrime si asciugano sulla pelle e la tirano.
Poco dopo, la jeep del padre lasciò la villetta e si allontanò sulla strada principale.
Anche la donna uscì con la piccola in braccio. Ogni mattina c’era bisogno di far arieggiare il prefabbricato.
Una volta fatta scendere la piccola, aprì la porta con la copia delle chiavi. Un caldo posticcio l’avvolse mentre avanzava sulle tavole di legno: qua e là abiti raggomitolati, scatolini aperti sul pavimento.
Vide una boccetta di plastica bianca sulla scrivania. L’afferrò e la scosse: era piena. Il medico aveva raccomandato a Paolo di prendere il Tavor dopo che erano arrivati gli attacchi di ansia: una pillola al mattino e una prima di coricarsi.
La piccola, a un certo punto si staccò dalla mamma, attirata dalla fila di scarpe accanto alla porta.
«Non toccarle Bea, è cacca!» poi si mise a pulire il bagno, mentre Paolo in casa, si era infilato nella doccia.
La madre spruzzò lo sgrassatore nel gabinetto e sulle mattonelle intorno.
Improvvisamente, dalla villa, arrivò ovattato il rumore del cordless. Tentennò.
Paolo sciacquò le dita sotto l’acqua. Le unghie erano rotte e incrostate. Passò tra le mani la saponetta, che diventò da bianca a rosa. Gli venne un conato di vomito che riuscì ad abortire.
La madre disse alla figlia che dovevano tornare in casa. Ma qualcosa si impadronì di lei. Un presentimento materno. Fu allora che le vide: le sneakers di Paolo. Le prese e le annusò. Riconobbe l’odore che aveva sentito la sera prima; vide un miscuglio di erba, terreno e gocce marroni: era sangue.
Barcollò, si appoggiò con entrambe le mani allo stipite.
Guardò in direzione della villa, lì c’era suo figlio. Perché? Confusa uscì. L’aveva detto, al marito, che non stava bene. O forse era stata proprio lei, con i suoi ragionamenti di madre.
Una madre, che deve fare?
Afferrò uno scatolone, ci buttò le scarpe, i vestiti, il panno con cui aveva lucidato il bagno. Frenetica, allucinata, guardò un’ultima volta quel posto.
Avanzò nel giardino mentre la figlia le sgambettava accanto.
Camminava con quel coso in grembo. Il telefono aveva smesso di squillare. Vide la jeep imboccare il viale.
Al che aprì il portabagagli della propria utilitaria e lasciò cadere lo scatolone, poi richiuse. Prese per mano la piccola e andò incontro al marito.
Cosa fa una madre? Si interrogò. Le fu chiaro, non c’erano dubbi. Una madre protegge, sì, ecco cosa fa.
Protegge tutti.
Immagine generata con DALL-E
“Flyers about a missing girl are posted on poles in a row, painting in the style of hopper”