Il giorno della mia morte

Io ero già cosa morta. Se non fosse stata la tua carne a mettersi di mezzo tra i suoi denti e il mio collo. Se non fosse stata la tua inestirpabile necessità di primeggiare su ogni essere vivente, cani compresi.

Sangue non se n’è visto; nel tumulto della lotta per la vita anche il rivolo succoso di una ferita tende a nascondersi.

Io ero già cosa morta quando mi è arrivato addosso con il suo peso di piombo, con la sua furia assassina di bestia infernale. Molosso, incattivito da una gabbia. Sottomesso, non lo biasimo. La sua rabbia è mischiata con l’origine di tutte le cose vive e tutte le cose morte. È il livore antico dei nostri antenati educati dal bastone. È la rabbia dei sottomessi e degli schiavi con il muso schiacciato a terra.

Lui è me, è l’ululato antico di richiamo: una ferocia incatenata alla sopravvivenza, legata al destino di animale docile, ammansito. Ci avete istruiti con il ricatto della fame e adesso non sappiamo più chi siamo. Chi è il nemico che minaccia il nostro strisciare sofferente nei vostri giorni. Dentro le vostre case, nelle cucce ergonomiche, nei vostri cibi in scatola, nelle ossa di plastica che mastichiamo per scacciare via la tentazione di azzannarvi. Nelle finte frenesie del gioco serale in cui i vostri gridolini svegliano in noi sentimenti di vendetta feroce.

Forse era meglio morire tra le sue fauci, masticata dalle sue zanne selezionate di predatore e così riprendere possesso della mia bestialità, tumulata sotto anni di progresso e incroci.

Tra me e la morte c’eri tu. Con la tua paura vigliacca, umana. Con il tuo insensato sacrificio d’amore, noncurante che il corso del mondo sia più antico della tua volontà.

Hai voluto accogliermi nella tua casa, hai costruito per me un impero di oggetti simili ai tuoi, hai sottratto la tua libertà ai giorni vuoti, tolto dal sonno ore in cui l’incubo della solitudine ti ghiacciava la fronte di sudore. 

Perché lo hai fatto? 

Sarei morta lì, con la gola strappata da un mio simile, e sarebbe stata una morte sensata, dignitosa. Nel pieno di una vita giovane, finire per giustizia di natura. Morire per l’inevitabile legge del più forte. Non è così? Non è questo che dici quando parli di evoluzione? Di diritto e destino?

Come puoi pensare di essere più determinante del tutto? Di salvare ogni cosa servendoti dell’amore a costo di ferire te stesso? È per questo che la tua specie morirà, un giorno, senza sapere perché.

Ho visto la tua carne sanguinare dopo la lotta. È questo che vi succede quando vi ostinate ad amare oltre ogni logica, oltre ogni minaccia di tradimento.

Ero già cosa morta. Era così che doveva andare. Invece mi hai raccolta da terra come una reliquia, come un peso senza più vita. Avevo già smesso di respirare, ed ero felice. Felice di finire. Felice di guardare negli occhi la morte nel giorno in cui una bestia come me ha ristabilito l’ordine naturale dell’universo. Non bisogna aver paura di perdere. Ma tu mi hai raccolta, umano. Tu mi hai condannata a due passeggiate quotidiane utili solo al piscio negli angoli. E mentre scopro di respirare ancora annuso il fiume di sangue che si disperde tra le tue lacrime. 

Ho visto la tua carne sanguinare e non morire.

Ho visto nei tuoi occhi la mia fine.

Immagine generata con DALL-E
“pop art style painting of a rubber bone for dogs”