Seconda stanza a destra

«La verità è che ad un certo punto si deve andare via, quando si comincia a diventare noiosi. La noia è peggio della morte.»

Stamattina Agnese è impegnata con le allieve infermiere dell’ultimo anno. Tutte donne questa volta. Inserisce in poche mosse un catetere urinario nel corpo di un cencio bianco e rattrappito che un tempo era un essere umano. 

«Prima di inserire il tubo in vescica dovete ungerlo bene con il gel lubrificante. No, cara, non gli farà male, è solo un po’ fastidioso. Il segreto è fare in fretta.»

Il cencio lancia un urlo grottesco quando il corpo estraneo entra nel suo. E continua a mugolare a lungo, con gli occhi socchiusi e la bocca aperta.

«Va cambiato ogni due settimane» continua Agnese, «a meno che non arrivi la febbre. Molto spesso sono le infezioni a portarseli via.»

Lavora in ospedale da più di vent’anni: su di lei non producono alcun effetto i fluidi, gli odori, le cosce flaccide, i sederi grinzosi, la pelle inaridita o tumefatta. Nemmeno i respiri inquieti degli ultimi istanti di vita la scuotono.

«Tutto quello che ti succede prima è una menzogna» racconta alle novelline, a quelle che storcono il naso davanti al primo letto sporco, «questo siamo davvero.»

Lunedì scorso è arrivato un uomo sulla settantina con un cancro polmonare all’ultimo stadio. Occupa la seconda stanza a destra, nel primo corridoio.

Accanto a lui c’è sempre la moglie, una donna bionda, vestita di tutto punto, profumatissima.

Gli tiene la mano, lo accarezza, lo bacia. Non lo lascia mai.

Agnese lo sa: non finirà se lei non vuole che finisca. È una cosa difficile da spiegare, probabilmente anche da credere.  Eppure è così che vanno le cose.

«Come va, signora?» le chiede ogni mattina.

«Molto meglio, grazie. Presto torneremo a casa» risponde lei, con le pupille naufragate nella speranza. L’infermiera scuote la testa.

L’altra notte l’uomo ha avuto una crisi respiratoria ed è stato portato di corsa in rianimazione. 

La situazione della moglie è andata subito peggiorando.

Livida in volto, invocava tutti gli abitanti del paradiso, ma se avesse avuto la certezza di un beneficio, avrebbe interpellato perfino il diavolo.  

Pretendeva di parlare con il primario.

«È evidente che siete degli incapaci»  urlava in corridoio, «voglio dimetterlo e portarlo in una clinica migliore, con medici che sanno fare il loro lavoro. Professionisti, non cialtroni.» 

Poi ha cominciato a infilare alla rinfusa gli abiti del marito nel piccolo borsone che avevano portato in ospedale.

«Signora, deve lasciarlo andare» le ha detto Agnese, senza girare troppo intorno alla cosa, «noi siamo questo, si rassegni.»

La donna l’ha guardata con gli occhi stralunati, il trucco le colava sul viso insieme alle lacrime. È rimasta ferma immobile, fissava l’infermiera con stupore e biasimo, come se la credesse una pazza furiosa. 

All’improvviso le ha tirato uno schiaffo, rumoroso e sodo. Ha lanciato un urlo disperato prima di sedersi sul letto vuoto. Poi è calato il silenzio. 

Agnese si è seduta accanto a lei e le ha tenuto la mano mentre con l’altra si massaggiava la guancia.

Insieme, hanno aspettato.

Immagine generata con DALL-E
“a nurse and a blonde woman with a red dress are sitting on a hospital bed and holding hands, impressionist painting”