Ketty

Siamo fottuti.

Guardo Angelica, la ragazzina che ci portiamo appresso sul sedile posteriore.

Errore mio.

Le strade sono solo un formicolio di scooterini e auto col tettuccio apribile: tutti per venirci a prendere.

Angelica, lì dietro, lavora nel porno, come me. 

Mi piaceva per davvero, con le sue lentiggini, i fili di rame al posto dei capelli e la pelle traslucida. Abbiamo avuto una storia di un paio d’anni. 

Errore mio, alzo le mani.

Il ragazzetto che blocca il traffico: sfolgorio omicida, occhietti tanto azzurri da sembrare bianchi. Il ragazzetto, occhi di ghiaccio, ci viene incontro dal lato del passeggero. 

Così gli capito davanti io. E non c’è niente da fare: non te la aspetti mai una pornostar a un palmo da te.

Bledj tiene entrambe le mani sul volante. Resiste, dita lontane dalla pistola sempre in tasca.

Bum, bum, bum: i cuoricini che esplodono dentro l’abitacolo.

Angelica grida e basta: interpretazione impeccabile.

Bledj ha accelerato troppo, le gomme mordono l’asfalto, i freni strillano.

Ecco cos’è successo.

Non lo facevo uno stuntman del genere Bledj: vorrei solo girare un film con lui adesso, uno di quelli con le auto che finiscono giù dal cavalcavia e i due eroi schizzano fuori mentre il mezzo esplode.

Non muoiono mai, loro.

Urlo ad Angi di prendere i fucili e lei, obbediente, si contorce infilandosi nel bagagliaio.

Non sono più tanto convinta di aver sbagliato a portarmela dietro.

Una moto ci ha quasi raggiunti.

Non me ne rendo conto: le urlo addosso. Le faccio evaporare le lacrime.

Angelica impugna, punta fuori dal finestrino: calcio contro la spalla, via la sicura, guancia sulla canna per mirare meglio, ditino pronto e tremante sul grilletto. Brava, bambina.

Chissà se i loro sguardi si incrociano. 

La Suzuki rossa è appiccicata alla portiera.

Il proiettile lo vedo incastrarsi appena sotto il casco, dritto nella gola.

Angi è felice come non l’ho mai vista: del resto, uccidere ti rende immortale.

Mi faccio passare un fucile dagli occhioni acquosi di Angi.

Tutta una vita a mantenere la calma: sono l’unica che ricorda la strada, la indico a Bledj. 

I vecchietti in canotta e camicia che giocano a carte sulle sedie di plastica bianca ci disapprovano: gli italiani sono tutti uguali.

«Rallenta.»

«Col cazzo.»

«Fermati, zucchero» ci provo con le buone, in onore dei vecchi tempi.

Scendo e mi avvicino sui miei tacchi stratosferici alla vecchietta cotonata, capelli violetti.

Non ho tempo per i convenevoli e lei, precisa, mi indica un punto. Peccato ci sia un palazzo in mezzo.

Rimango affabile, ci provo: «Come ci arriviamo? Con la macchina, intendo.»

La nonnina afferra il marito con lo sguardo: che ne sa lei? 

Lui fa solo cenno, sposta con il movimento in aria della mano spessa e ruvida i suoi amichetti e le loro sedie bianche. 

Che boss.

Le moto ronzano dietro di noi.

Faccio un cenno ad Angi: lo sappiamo che l’unico obiettivo è salvare le armi e, con loro, almeno uno di noi. 

Lei pensa sia Bledj: quello che non sa è che solo io so guidare il jet.

Ma non mi pare un buon momento per raccontarglielo.

Scendiamo, fucili in mano.

Bledj ci lascia indietro, continua a guidare. Il jet da qui si vede, ormai è fatta.

Dobbiamo resistere. Solo un altro po’.

Occhi di Ghiaccio, il mio fan, atterra Angelica prima che possa ricaricare. Dritta in testa. Adieu, my love.

E sparo.

Il rinculo mi uccide. Maledico il tacco quindici, ma vuoi mettere che stile?

Continuo a fare fuoco.

Non lo sento l’asfalto sbattermi sulla faccia.

Mi risveglio che è tutto nero.

Il cadavere di Angi è ancora lì. 

I fucili no. 

Merda.

Mi rialzo.

Ho del sangue negli occhi, non capisco da dove venga.

Me lo asciugo con l’avambraccio.

Non sento niente e non è una condizione dissimile a quello che provo di solito.

Mi rincuora.

Mi avvio verso l’appartamento che avevo fatto predisporre per noi. 

Bledj non può essere partito: non sa guidare quel cazzo di jet. 

Mi auguro l’abbia almeno caricato con le armi.

«Angi?» che stronzo senza cuore sa essere con una ragazza sensibile come me. 

«Crepata.»

Piange. Che schifo.

Mi infilo dentro la doccia: c’è lo shampoo all’albicocca, l’unica cosa dolce nella mia vita.

Il sangue che trabocca dallo scarico intasato e mi si raggruma sui piedi: evidentemente, non è roba mia.

 

«Chissà come cazzo te ne sei liberata.»

Buongiorno a te, mon amour.

Ho avuto gli incubi stanotte: continuavo a sentire le moto. 

Un incubo, appunto, che sfuma nell’aria azzurrina e fredda dell’alba che mi liscia i capelli biondissimi mentre raggiungiamo il jet.

Bledj è di nuovo un cagnolino fedele. 

Si torna a casa. O quasi.

«Maledetto Takeshi!» strilla Bledj in modo sgraziato.

Osservo lo stesso uomo che vede Bledj, ma da dietro il jet non sbuca Takeshi. 

Fosse Takeshi sarebbe tutto più semplice: Takeshi mi ama.

Mi sento improvvisamente nuda, senza i miei fucili.

Imploro, per l’ultima volta nella mia vita, Bledj: il mio sguardo invoca che stavolta faccia fuoco.

Invece, un colpo secco gli sfonda il cranio.

Sempre troppo lento, zucchero.

Occhi di Ghiaccio, si avvicina, mi punta la pistola torcendo il gomito in un angolo innaturale: è troppo basso per me.

«Sei solo?»

«Evidentemente.»

«Non hai paura?» e gli afferro l’uccello da sopra i jeans. 

No, non è paura questa.

«Ma tu lavori per noi, Ketty.»

«Nonostante Takeshi?»

«Evidentemente.»

Mi piace il ragazzino che gioca a fare il duro.

«Ma ‘o saie guida’ overo ‘stu cos’?»

Gli faccio l’occhiolino: «Poi mi dici, zucchero.»

Immagine generata con DALL-E
“a woman with a rifle in her hand seen from behind, she is wearing high heels and a miniskirt and in front of her there are skyscrapers, impressionist painting”