Apologia del divano
I
L’imputato è accusato di favoreggiamento. I suoi accusatori lo incolpano di induzione all’ozio e alla peccaminosa accidia. Ebbene, sono ora pronto a prenderne le difese con convinzione e ostinata fermezza, ancorché gli argomenti a sua discolpa siano numerosi.
Ma partiamo dal principio: il divano qui accusato, dunque, peccherebbe di induzione all’ozio e all’accidia. In primis, vorrei soffermarmi sulla terminologia, sulla sua etimologia e sull’accezione che ne viene data. Infatti, è tutta una questione di punti di vista.
Partiamo proprio dal vocabolo “divano”. Sapete qual è la sua origine?
Deriva dall’arabo-persiano diwan, parola con la quale nel periodo ottomano si indicavano i registri amministrativi, che venivano conservati in un locale in cui gli scribi lavoravano seduti su cuscini. Mi sembra, fin qui, che la definizione parli da sé e che nulla vi sia di peccaminoso nell’uso di tali cuscini; piuttosto, anzi, li trovo un ingegnoso espediente pratico, utile a rendere più comodo un lavoro – tutt’altro che inoperoso – come quello della scrittura.
Non solo: il termine ha poi esteso il suo significato e sta a indicare una raccolta di poesie dei poeti orientali, nella letteratura araba, ma anche in quella turca e persiana. Ancora, parliamo di poesia, di letteratura, della massima espressione dell’ingegno umano. Devo aggiungere altro?
Lo farò sicuramente più avanti, quando avrò modo di riallacciarmi a questo discorso.
II
Torniamo, ora, alle colpe più stringenti di cui il qui presente divano viene tacciato e andiamo a esaminare gli atti dell’accusa.
Che cos’è l’ozio? Che cos’è l’accidia? Qual è la loro origine, e in quale epoca storica ciascuno di questi concetti è stato formulato?
Mi spiego meglio. È sicuramente noto ai più il grande disquisire, tenutosi in epoca antica, sul valore dell’ozio: otium per dirla alla latina, ossia nella lingua del popolo che fu tra i primi a esprimere tale concetto; tant’è che al giorno d’oggi utilizziamo una parola direttamente derivata. Ne hanno parlato grandi poeti e uomini di cultura come Cicerone, Orazio, Seneca: ognuno di costoro, dandovi una personale accezione, ha dedicato all’otium solenni riflessioni, avvalorandolo come un momento di raccoglimento del sé. Per nessuno di loro era ascrivibile a uno spreco di tempo.
Per lo stesso Seneca e per gli stoici suoi seguaci, da sempre fautori di una vita operosa e dedita alla cosa pubblica, l’otium rappresenta una valida alternativa nella vita di ogni uomo qualora gli sia impossibile accedere alla vita politica; oltre a essere, intendendolo come momento di contemplazione, un necessario completamento della vita attiva dell’uomo.
Qualcosa di simile sosteneva Cicerone, il quale considerava l’otium e il negotium ugualmente importanti, sostenendo che dovrebbero essere praticati allo stesso modo a fasi alterne. Per il poeta latino Orazio, l’otium rende liberi dalle ambizioni e dall’affanno per raggiungerle, divenendo così la sola via che conduce alla felicità.
III
A chi vorrà accusarmi di riferirmi solo a personaggi storicamente lontani e per lo più dediti all’arte del filosofeggiare, rispondo subito riportando brevemente il pensiero di almeno altri due autori moderni che dell’ozio si son fatti grandi estimatori.
Il primo è Paul Lafargue, genero di Carlo Marx, il quale, spessissimo in disaccordo con l’illustre suocero, teorizzava nel pamphlet “Il diritto all’ozio”, datato 1880, come l’ozio, appunto, sia “il padre delle arti e delle nobili virtù e il balsamo delle angosce umane”.
Qualche anno più tardi, nel 1935, Bertrand Russell scrive il saggio “Elogio dell’ozio”, nel quale sostiene che le persone dedite all’ozio, avendo a disposizione molto più tempo e una mente più libera dei salariati, di fatto arricchiscono la società dando alla luce idee e innovazioni per la scienza, la letteratura e la cultura in generale.
È insomma riprovato che l’ozio, di cui il mio cliente è chiamato a rappresentanza secondo gli accusatori, non ha accezione necessariamente negativa.
Al contrario, questa gli è stata attribuita da una cultura precisa, che ha messo radici nel Medioevo: ossia, quella cristiana. È proprio in epoca medievale, infatti, che l’ozio si è trasformato in accidia; da allora, ogni attività di pensiero e inazione è stata confusa con passività e perentoria procrastinazione, divenendo inevitabilmente rappresentazione del male.
IV
Ordunque, anche volendo ammettere che queste considerazioni, per me molto valide, non siano sufficienti, e qualora mi si obietti che abbiano valore del tutto opinabile e soggettivo, mi viene da aggiungere che gli accusatori non hanno alcuna prova evidente che il divano favorisca l’ozio, o meglio l’accidia, giustappunto intendendolo nella sua accezione negativa.
Mi rivolgo, quindi, direttamente a loro con le seguenti domande: cosa vi fa affermare che il divano sia innegabile alleato dell’accidia? Forse la sua consistenza morbida, i suoi cuscini soffici? Forse il fatto che è possibile sdraiarvisi, financo dormirci?
Mi permetto a tal proposito di ricorrere nuovamente a un grande scritto, questa volta a noi contemporaneo, partorito dalla mente del tedesco Bernard Brunner e intitolato esplicativamente “L’arte di stare sdraiati”. La vita orizzontale, come la definisce l’autore, è quella del riposo ed è da lui intesa, con tanto di curiosità e aneddoti reali a supportare la sua tesi, come un momento prezioso, fonte di intuizione e di creatività.
Anche per Michelangelo, dice Brunner, quella orizzontale è una posizione fondamentale. Solo stando sdraiati, infatti, si può contemplare la meraviglia della Cappella Sistina.
Stando sdraiati, a letto come su un divano, esercitiamo l’atto più puro del pensare; esploriamo l’arte intuitiva del riposo e ne percepiamo le potenzialità. Oltre al fatto che da sdraiati, e di nuovo mi viene da dire su un letto come su un divano, si possono fare diverse altre cose, decisamente non oziose, come sedurre o fare l’amore.
Ma senza sconfinare in ciò che il pudore non mi consente di approfondire, provate a pensarci. Dov’è che spesso vi accomodate per leggere quel libro che tanto vi appassiona? Dove vi sedete per vedere quel film che vi sta a cuore, o l’ultima serie tv che tanto avvince?
E sono queste, vi domando, attività accidiose? Sviliscono esse i nostri sensi e la nostra intelligenza o, al contrario, la acuiscono? Allenano la nostra mente a ragionare e sviluppare il pensiero complesso, oppure la atrofizzano?
Certo non tutti i libri sono uguali e la loro consistenza può variare, e lo stesso dicasi delle serie televisive o dei film; ma, da che mondo è mondo, letteratura e cinema sono sinonimo di cultura e stimolo per le menti argute. E molte di queste cose, al giorno oggi, vengono fruite su un divano. Cosa c’è, dunque, di più lontano dalla pigrizia e dall’accidia?
V
Insomma, niente di quanto detto finora sembra implicare che il divano in verità costituisca un oggetto pericoloso di induzione all’accidia. Al contrario. Chiedo pertanto la sua assoluzione immediata, adducendo un ultimo ma altrettanto importante tassello alla mia argomentazione, una richiesta a corollario, potremmo dire.
È infatti auspicabile, oggi più che mai, elevare il divano a vero e proprio luogo di culto popolare. Dico questo a beneficio delle generazioni attuali, costrette, nell’immediato, a fronteggiare un periodo di clausura forzato per via di un malevolo virus omicida; e anche a beneficio delle generazioni future che, per questo stesso motivo, dovranno cambiare molte delle loro abitudini sociali, optando per uno stile di vita più casalingo e meno mondano. Per tali motivi il divano assurgerà a nuovo centro nevralgico dell’esistenza umana, compagno e supporto della pratica benevola dell’ozio, dello stare sdraiati e di gran parte dei nostri intuiti creativi.
Con osservanza,
Avv. Giudiziosa La Coscienza