Il volto di una donna è avvolto dai suoi capelli scuri e da un vortice di foglie. Immagine del racconto "In fondo credo si tratti solo di un'improvvisa stanchezza"

In fondo credo si tratti solo di un'improvvisa stanchezza

Malgrado la giornata si fosse presentata con un cielo letteralmente blu spazzato dal vento e l’aria fosse ancora piena del ricordo della calda estate, respirando a pieni polmoni e guardandoti intorno, hai visto affacciarsi un’idea, confusa.

Forse più che di un’idea si trattava di una sensazione che galleggiava dentro ad un organo sconosciuto. Eri certa che quest’organo non fosse lo stomaco, neppure il cervello con i suoi ricordi.

Tu però lo riconoscevi: era il solito organo recettore di questa sensazionidea. Presentimento, dove stai di casa?

Malgrado tutt’intorno fosse ancora dipinto nel blu dipinto di blu, l’ineluttabilità di un arrivo era già dentro questo organo recettore e si era fatto sensazionideapresentimento dentro la pelle: Lui era qui, era arrivato, senza farsi annunciare – avesse almeno bussato al mio petto mentre guardavo la tv.

Compare così: la sensazionideapresentimento di Lui si palesa in nostalgia in forma di vento; si manifesta nel sole che batte con quella luce, unica ed inimitabile, fatta di freddo e di futuri bui; si affaccia al principiare del giorno sotto forma di angoscia dentro l’organo senza nome; prende la forma di orobiche scalette: lo scorlazzino e lo scorlazzone*; in un futuropoi vomiterà castagne matte da regalare e ti farà formulare la domanda: “e adesso che ne sarà di me?”, che sarà immantinentemente portata via da una vetrina piena di vestiti di distrazione di massa.

C’è tutto, hai tutto, eppure l’organo recettore traballa come farebbe la lancetta di una bussola impazzita e tu pedali controvento sperando di superare i sintomi di questa bufera.

Non è successo nulla, c’è stato solo il vento. Stai calma. Sei sempre tu sui tuoi passi solo che ora è autunno, il paesaggio è ancora camuffato di sole ma ora è autunno. Lui è arrivato.

È il paesaggio interiore a mutare.  

Dove prima tutto era certo ora è comparsa la nebbia. La realtà in cui credevi e che bisbigliavi a mente, come il Credo di una preghiera, affinché mostrasse i suoi contorni, ora sembra fatta di colori meno vivi. Ma l’isola è sempre lì. Devi ricrearla. Rinnovarla dentro di te. 

È mai possibile che, quando l’organo d’autunno suona le sue sensazionideepresentimenti, si smetta di credere al proprio Credo creato? E’ come se un muro di pensieri si ergesse e ti separasse da te. Da quella parte di te fatta di rilanci, di guizzi e colpi magistrali. Scivoli nel solco di in un nuovo credo fatto di cachi.

Sei improvvisamente portata dal vento e guardare il futuro è impossibile poiché ha smesso di esistere. Forse è un bene rimanere adagiati nel presente.

Chi sei tu donna che ti avvolgi dentro la casa?

Chi sei tu fatta di capelli nei quali ti perdi in un letargo anticipato?

Ti sei stancata delle solite vie, delle strade ripetute con inspiegabile cocciutaggine. Scimmia sei tu!? 

No, tu sei fata della città, del selciato bagnato da questo autunno ancora non visto. 

Sei il mormorìo delle tortore estive udito dal terrazzo che tu ben sai. 

Sei un viaggio, il primo, intriso di stupìta certezza; infine sei la sorella dell’autunno che con un altro vento porta nuova incertezza. 

Eppure le strade son sempre le stesse. Ti stupisci di come tu abbia potuto percorrerle sempre uguali nei secoli dei secoli. 50 secoli. Beh 50 non direi. Lascia fuori almeno l’asilo. 

All’inizio del medesimo copione post marino in fondo di diverso c’era solo il tuo sentire, ma un movente dallo stesso nome: Speranza. 

Una volta si chiamava “La Speranza di vita pienamente vissuta”. 

Anche se, non so se lo sai, ma la vita è sempre vissuta. Anche se pensi di non vivere, tu vivi e, vivendo, ti ritroverai vissuta e tra il lusco e il brusco un bel dì morta.

Una volta Speranza era il ticchettìo dei tuoi tacchi di ancor non donna che si agitavano per il palco dell’esistenza e si stacchettavano, o dovrei dire si sbracciavano, per essere visti. Essere visti era il marchio dell’essere. Ma come ogni patto diavolesco questa vista ti respingeva fuori da te; come un francobollo mal applicato perdeva la sua missiva e il suo scopo, per te ne conseguiva il naturale distacco dalla sostanza pura dell’anima tua.

Una volta Speranza era fatta di visi familiari e buoni in cui cullarsi e perdersi. Perdere il tempo dell’azione per contemplare questi volti era il tuo hobby preferito. Il tuo lavoro.

Speranza fu il tuo ciuccio rosso caduto dalla finestra del secondo piano. Non si sa bene come sia stato possibile che volasse e sbattesse le sue non ali verso il basso rimbalzando sul cemento del cortile, per poi adagiarvisi ed essere perduto e in ultimo dimenticato. Le indagini si sono fermate, i testimoni sono ormai dipartiti.

Diverse le storie e le fantasticherie, identiche le azioni. Guardare avanti per un futuro Aprile come dice il poeta.

Eppure ogni anticamera d’autunno carico di promesse estive sembra dissolvere le speranzose visioni oracolari e le emozioni che fanno fluire il sangue direttamente negli organi genitali sono solo un lontano ricordo. Allora bisogna fare l’azione psicomagica: protrarre il tempo perduto e proiettarlo in avanti. Non bisogna averlo alle spalle. Deve essere davanti. Tu lo sposterai questo tempo. Le visioni passate diventano di nuovo futuro. L’illusione è la loro scomparsa. Il vero la loro realtà.

E di nuovo Speranza ti riempirà le orecchie del suo canto che non è fatto dell’inganno delle Sirene; 

Speranza ti riempirà la bocca del suo succo che non è fatto dei resti della mela di Eva… un vero peccato! 

Speranza ti farà guardare all’autunno donandoti gli occhiali dei ciechi che vedono l’invisibile. 

Forse allora vedrai quell’organo vigliacco che gioca a nascondino e che ti fà sfiorare dall’autunno con impalpabile violenza e gli dirai che  l’hai riconosciuto e si, lo sai che lui deve fare “il suo” ma che: 

non più il vento strambo ti suggerirà sconforto; 

non più il gelo in gola ti chiuderà il cuore; 

non più la gioia alle spalle si perderà nel cassetto della paura.

 

“Ci sarà l’uva, poi le caldarroste, i cachi del tuo solco nuovo, le pere cotte e le mele cotte, la zucca di cenerentola. E le foglie! Dove le metti le foglie!? gialle, rosse, a guardarti da terra, a dirti prendimi e mettimi dentro l’ampolla. A chiederti “Guardami nella mia fragile eternità”.

Quest’ immagine mi è di conforto. Autunno io me te magno.” 

In fondo credo si tratti solo di un’improvvisa stanchezza.

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*Scorlazzino e Scorlazzone sono antiche scalette, percorsi pedonali che dalla città vecchia di Bergamo, Città Alta portano a San Vigilio e poi a discendere verso Borgo Canale uno degli antichi borghi che si trovano fuori dalle Mura antiche. Le scalette di Bergamo collegano la città bassa alla città alta e offrono un percorso alternativo alla funicolare.

Immagine generata con DALL-E
a woman covered by her black hair and around her wind and leaves, victorian painting