Pecore e cani

Era una mattina luminosa, con il cielo carico di azzurro e un sole così splendente che gli alberi, le montagne, le case con il tetto rosso sembravano possedere un’anima.

Sandra si era svegliata più tardi del solito, alla fine di un lungo sonno ristoratore e passeggiava verso il bosco facendo oscillare il cesto di vimini al ritmo della camminata.

Le piaceva osservare dalla strada i profili delle villette sparpagliate nella valle, non troppo lontane ma nemmeno ammucchiate, alla giusta distanza avrebbe detto, come buoni vicini. Sul retro delle case, il patio era un rettangolo di pietra recintato da una staccionata e per lo più occupato da un tavolo, un dondolo o i giochi dei bambini. Oltre il patio, i praticelli curati si stendevano come un mare calmo, con la spuma delle onde che erano le file irregolari di margherite e dei centocchi. Sandra sentiva il profumo dei fiori mescolarsi a quello dei pini, della resina dei tronchi, e più in generale all’odore della montagna: l’aroma fragrante delle cime innevate, gli umori del terreno ombroso, quello del bestiame al pascolo che scampanava in lontananza. Quella mattina, il paesaggio le sembrava più incantevole del solito.

Vide Doris che si apprestava a sollevare la serranda dell’emporio e la chiamò per nome sventolando la mano. L’anziana donna si voltò e fece uno strano gesto, lasciò scorrere la serranda fino in cima e scomparve dietro la porta del negozio.

 

Da oltre un anno Sandra si era trasferita a vivere nella valle, e fin dal primo giorno della sua nuova esistenza si era ripromessa di non rimuginare più sul passato e lasciarsi ogni cosa alle spalle. Il fatto però è che si trattava di un proposito immane per una donna che aveva già vissuto quasi metà della sua vita e spesso capita che i ricordi banditi a forza, quelli che non hanno avuto il tempo di sbiadire, vibrino più a lungo e più lucidamente nella mente di chi li rigetta. Finiva che i suoi sforzi non risolvevano nulla e anzi, la prostravano allontanandola dalla serenità tanto agognava. Così, Sandra, ogni sera, tirando le fila della giornata, si abbatteva per il suo fallimento, si rimproverava di aver rimandato ancora la propria felicità e giurava di prodigarsi con maggior fervore il giorno successivo.

Un cambiamento però in effetti si era verificato. E, circostanza alquanto beffarda, in modo in apparenza casuale. Un giorno Sandra si era svegliata e come sempre aveva atteso l’arrivo di una nube di cattivi pensieri. Era solita starsene distesa per un po’, come se l’angoscia fosse un piatto in equilibrio sulla cima di un bastone che teneva sulla fronte e restando immobile riuscisse a non farlo rovesciare. Ovviamente non aveva questo potere. Rassegnata, si era alzata, aveva raccolto la vestaglia da terra ed era andata alla finestra. Davanti casa sfilava il gregge diretto al pascolo. I cani correvano all’impazzata senza smettere di abbaiare, scartando in ogni direzione per governare le pecore. Queste sulle prime sembravano smarrite, spaventate, si urtavano tra loro e non volevano saperne di seguire i cani, ma alla fine, chissà come, si convincevano e scoprivano che la strada per il pascolo era proprio quella tracciata dalle loro tiranniche guide.

Tutto ciò l’aveva colpita profondamente.

Si era accorta che gli animali non erano nemici tra loro, anzi, volevano la stessa cosa. Solo che non si capivano.

Come quella misteriosa presenza, quella voce sottile che le parlava e a volte prendeva il sopravvento su di lei. Non le piaceva che provasse a dominarla. Ma per la prima volta si era chiesta se non fosse per il suo stesso bene. Sentiva di non avere segreti per quella voce, che la voce la conosceva intimamente, che avrebbe potuto mostrarle la strada. Era arrivato il momento di fidarsi. E da allora, all’ascetico ritiro tra le montagne aveva preso ad intervallarsi qualcosa di nuovo.

 

Arrivò davanti alle indicazioni dei sentieri. Lanciò un’occhiata al cesto vuoto. L’occasione meritava che la casa, a lungo trascurata, si colorasse a festa. E poi c’era la portata principale: Sandra avrebbe servito ai suoi ospiti la zuppa alle ortiche era diventata tanto abile a preparare. Questa volta però l’avrebbe resa speciale. C’era un tipo particolare di pianta che cresceva ai lati della cascata. I suoi fiori meravigliosi mandavano un profumo quasi stordente. Qualche petalo pigiato nel pestello era sufficiente a ottenere un succo che avrebbe insaporito il piatto.

Alzò il viso, con gli occhi chiusi rivolti al sole come per congedarsi da lui e prese la strada che proseguiva all’ombra del fitto bosco.

Camminava piano, attenta agli odori, i colori e le forme che aveva imparato a riconoscere. Camminava e intanto ripensava alla lettera ricevuta il giorno prima.

Gliel’aveva consegnata Alfonso, l’uomo della posta. Quando Sandra l’aveva scorto dallo spioncino era stata colta da una forte agitazione. Non solo perché era molto tempo che non parlava con qualcuno ma anche perché non capiva chi mai potesse scriverle. Aveva aperto la porta di scatto e Alfonso aveva fatto un balzo indietro. Sandra lo aveva osservato da capo a piedi, con la sua divisa un po’ sciocca da postino, soprattutto per i pantaloni corti, che scoprivano le gambette magre. Lui stesso le era sembrato un po’ sciocco. Ma Sandra gli aveva sorriso calorosamente, come si sforzava di fare con tutti nella sua nuova vita. Aveva invitato Alfonso a entrare, anche per ritardare l’apertura della busta. Si era offerta di preparargli un tè ma poi si era confusa, non ricordava se ne avesse ancora o ne avesse mai avuto. Alfonso l’aveva interrotta balbettando qualcosa a proposito di una consegna e l’ultima frase le era sfuggita del tutto, perché già l’uomo si affrettava verso il furgoncino. Mentre lo guardava allontanarsi giù per la strada, a Sandra era parso addirittura un omuncolo pietoso e l’impressione l’aveva turbata.

Richiusa la porta di casa aveva poggiato la lettera sul tavolo. Era rimasta per un po’ a osservarla, in silenzio e senza muoversi. Nella vacuità di quegli istanti aveva sentito come uno scalpiccio di zoccoli nella sua testa, la carica di un passato che credeva di aver sepolto per sempre. Aveva fissato la busta come una tomba profanata, come se attendesse la vista di un cadavere.

 

Si fermò e si accovacciò davanti a un mazzetto di primule. Sradicò gli steli con garbo. Osservò il cesto: bianco, giallo, azzurro, viola. Le decorazioni erano pronte. Ora poteva occuparsi dell’ingrediente finale. Riprese a camminare a passo spedito, imboccando una stradina che risaliva tra gli arbusti.

Due fogli scritti a mano, l’inconfondibile calligrafia di sua sorella Clara. Sandra credeva di averli letti in un baleno ma quando aveva alzato gli occhi sull’orologio a muro si era accorta che era passato molto tempo. Lo scalpiccio iniziale era diventato un vero e proprio sconquassamento. Le sue ossa vibravano. Era stata invasa, invasa da dentro. E come allontanarsi da qualcosa che era dentro di lei? Non poteva certo andare ad abitare in un altro corpo, come quando si era trasferita nella valle. Com’era mai possibile? Aveva ammaestrato la sua coscienza con zelo e dedizione, senza un attimo di debolezza. Provato e riprovato senza sosta. Tutta la sua vita recente era stata quel tentativo. Ma ora, leggendo la lettera, le era sembrato di non poter resistere. Che fare? Voleva esplodere, polverizzarsi, svanire. L’Acqua. Doveva fare una doccia. Una bella doccia per calmare i nervi. Si era infilata nel getto caldo del soffione, più caldo possibile. Si era sforzata di concentrarsi sull’acqua, sul sapone, sulla spugna che sfregava con energia contro la pelle arrossata, ma nulla, la sua mente si ostinava sulla violenza di quei colpi, e i propositi di quiete, silenzio e beatitudine, all’improvviso, le si erano rivoltati contro, irridendola.

No. Non avrebbe permesso al passato di sopraffarla di nuovo.

Si era precipitata fuori dal bagno, nuda, con i piedi che lasciavano impronte sul legno. Era entrata in camera da letto. Si era messa a frugare dentro l’armadio ma uno, due vestiti erano scivolati giù dagli appendiabiti cadendole in testa. Allora aveva iniziato a tirare fuori tutto, a buttare le cose a terra, sul letto, dove capitava, aveva estratto e rovesciato i cassetti, cercando perfino nelle tasche delle giacche e in mezzo alla biancheria.

Poi le era venuto in mente. Aveva aperto un altro armadio e tirato fuori una borsetta di pelle, reperto della sua vita precedente. La sola vista di quell’oggetto le aveva dato la nausea. Aveva sentito il blister nascosto in una fodera. Lo aveva estratto e contato le compresse, ma invano, senza riuscire a tenere il conto. Che importa, che importa, si era detta. Era tornata in bagno, aveva vuotato a terra il bicchiere con lo spazzolino e l’aveva riempito d’acqua. Aveva preso le pillole che c’erano e si era infilata nel letto.

 

Arrivata alla fine della salita, il rumore della cascata sovrastava tutti gli altri. Anche lassù, il sole restava nascosto dietro i pini e l’aria era fresca e gradevole. Sandra si inginocchiò in un punto dove il terreno lasciava spazio alle rocce. Appoggiò il cesto accanto a sé e accarezzo con il dito la soffice corolla del fiore.

Sua sorella Clara si sposava, voleva dirle questo. Si sposava con Pietro.

Sandra si rivide con indosso il completo blu e le valige in mano, il giorno in cui se n’era andata di casa urlando a quello stesso uomo che la sua vita e tutti i suoi piani, lui, glieli aveva rovinati. No, non gli avrebbe dato del tempo per riflettere. Per Sandra sarebbe stato come

attendere l’arrivo di un treno seduta sui binari. La sciagura era inevitabile, non c’era motivo di aspettare.

Negli ultimi tempi aveva colto Pietro varie volte con lo sguardo perso nel vuoto, a sorridere senza ragione, anche se per orgoglio o qualche forza irresistibile che permeava la sua natura non aveva detto nulla. Non era stato difficile risalire alla causa. Clara era tornata a vivere in Italia dopo molti anni e aveva ricominciato a far parte della sua vita.

Avevano preso l’abitudine di vedersi tutti quanti a cena una o due volte alla settimana. All’inizio c’era anche quell’Antonio con cui Clara usciva. Com’era raggiante Clara. Tanto più bella e più giovane di lei, con quella luce speciale dei sognatori, gli occhi soavi e vitali – non come Sandra, forte e altera, dall’aria quasi sprezzante.

Quella consuetudine era proseguita anche dopo che Antonio era uscito di scena e spesso Sandra pregava gli altri due di non aspettarla, che avrebbe fatto tardi in ufficio. Non le importava, si ripeteva, ma in realtà le importava eccome. Solo sentiva che tutto ormai le era sfuggito di mano ed era cambiato in modo irreversibile. Perché tutto, in fondo, era iniziato molto prima, quando Sandra aveva accettato quel lavoro e aveva preso a ossessionarsi con l’idea della carriera. La nuova ambizione nutriva il suo bisogno di controllo e intanto si nutriva di lei. Così, pian piano Sandra aveva messo da parte Pietro, l’aveva piegato a un’attesa silenziosa che ogni giorno, mese, anno si prolungava senza rimedio, e il sogno di una famiglia, dapprima condiviso, era diventato per lei solo l’esca spregevole della sua manipolazione.

Cercava di ricordare il momento in cui il suo amore, un tempo forte e puro, era improvvisamente diventato il principale impedimento al suo successo.

Quando la sua mente non era oberata, Sandra rimuginava su queste cose. Soprattutto la sera, da sola, in ufficio. Malediceva le circostanze, malediceva la sorella e il compagno, congetturava su cosa accadesse in sua assenza, ma in modo vago, senza osare figurarselo davvero e se capitava che ci fosse una cena organizzata, a volte si tratteneva più a lungo di proposito e se ne restava lì, seduta alla scrivania, sprofondata nell’odio, quasi godendo di quel deliberato atto di sabotaggio della sua vita, forse perché preferiva sentirsi artefice del proprio male che vittima delle azioni altrui, o forse perché in fondo credeva di meritarselo. Non lo sapeva.

Quando Pietro le aveva chiesto del tempo, Sandra aveva raccolto le sue cose ed era stata irremovibile. Via, in un altro appartamento, da sola, fino a rimanere sopraffatta dalla sua stessa vita, di colpo vuota e insensata, fino alla decisione di trasferirsi lontano, appena un mese dopo la rottura. L’idea della verità l’aveva sempre atterrita. Non poteva affrontarla, doveva andarsene. E così aveva fatto.

Ciò che le si parò davanti inatteso, come un pensiero esiliato dalla cornice dei suoi tormenti era quanto determinante fosse stata la sua partenza. Questo era ciò che aveva appreso dalla lettera.

Pietro e Clara non tessevano alcun inganno. Sì, Pietro si era sentito respinto e si era allontanato da lei. Ma era stata Sandra a immaginare il resto, a presagire quel terribile scenario, quasi ad allestirlo per loro, convinta com’era che le cose avessero preso una piega obbligata. Clara si era accorta delle attenzioni di Pietro ma sentiva di essere solo un surrogato per quell’uomo stanco e confuso, che aveva capito di essere stato ingannato a lungo e supponeva di doversi arrendere e ricominciare. Quando Sandra era partita rifiutando qualsiasi confronto, non era accaduto ancora nulla di tutto ciò che si era affrettata a seppellire. Era stata proprio la sua partenza, improvvisa e violenta, ad abbatterli e, a quel punto, ad avvicinarli davvero, a renderli simili nel loro dolore e desiderio di conforto. Era stata la perdita di Sandra il vero collante della loro unione.

Quando inaspettatamente quella mattina Sandra si era sorpresa a svegliarsi nuda, intatta e ristorata nel proprio letto, aveva realizzato l’enormità della propria colpa. Era stato il suo stesso orgoglio a rovinarla. Era dura da accettare ma in fondo ciò significava che non c’erano complotti o tradimenti. Pietro e Clara volevano venire a trovarla. Anche loro volevano lasciarsi alle spalle il passato e tutte le sue incomprensioni. Volevano provare a ricostruire un rapporto con lei. Certo, sarebbe stato diverso, un nuovo equilibrio, ma alla fine Sandra li aveva amati entrambi, no? Allora perché non accettare che le cose fossero cambiate e provare a essere felice per loro? In fondo al suo cuore aveva tanta voglia di sentirsi di nuovo parte di qualcosa. Sapeva di aver perso il contatto con la realtà negli ultimi tempi. Nonostante gli sforzi o forse proprio perché sfiancata, le era capitato di cedere alla rabbia, fare cose insensate che a volte nemmeno ricordava bene. Sapeva che le persone in paese avevano preso a evitarla.

Quell’incontro per lei poteva essere l’ultima occasione per riagguantare la vita, una vita qualsiasi.

Aveva nutrito questi pensieri per tutta la mattina. Le sembravano plausibili. Uno scenario accettabile. Ma ora, mentre se ne stava seduta accanto alla cascata, all’ombra dei pini, col suono incantevole dell’acqua, i fiori le erano apparsi così colorati che si sentiva crollare sotto il peso della loro bellezza. Ancora una volta aveva provato a nascondersi la verità. E solo in quel momento le sue reali intenzioni le si svelarono chiaramente.

 

Suonarono alla porta che era quasi l’una. Sandra fece un balzo dalla sedia. Indossava un abito semplice, lungo fino alle ginocchia, con le maniche a sbuffo. Girò il pomello della porta.

Clara era splendida. Ogni volta, sempre più bella. Il viso luminoso e i capelli brillanti. Si guardarono per qualche istante. Poi la sorella le gettò le braccia al collo e le appoggiò una guancia contro la spalla come faceva da piccola. Sandra dovette ricacciare le lacrime.

L’abbraccio si sciolse e Clara prese le mani di Sandra nelle sue. Sono tanto felice, dicevano i suoi begli occhi.

Poi fu il turno di Pietro. Sandra si era concessa l’unica vanità di sistemare i capelli come piacevano a lui, con il ciuffo appuntato in cima alla testa e la fronte libera. Temeva che la trovasse invecchiata, di scorgere nel suo sguardo una nota di compassione. Ma non accadde. Pietro le tese la mano. Sembrava un po’ impacciato, con quel sorriso incerto e il pallore del viso messo in risalto dalla barba scura. Aveva la mano sudata. Ma d’altronde non doveva essere facile per lui. Lo conosceva bene, doveva essersi sentito responsabile dell’intera faccenda.

Sandra li fece accomodare in soggiorno. La casa era irriconoscibile. Tutto era in ordine, vasi e brocche ricolmi di fiori erano stati posizionati su ogni ripiano. Un’ampia tovaglia rossa faceva da sfondo all’argenteria e ai piatti di porcellana che Sandra aveva comprato quando era andata a vivere con Pietro.

Sul fuoco bolliva il pentolone con la zuppa. Il profumo avvolgente delle ortiche si mescolava ai freschi sentori delle piante disseminate ovunque. Sandra aprì un vino che le aveva regalato una vicina il giorno che si era trasferita nella valle. Ne versò un bicchiere per sé e uno per Pietro.

«Sicura che non ne vuoi?»

Clara disse no con la testa. Fecero un brindisi: all’amicizia ritrovata. Con l’augurio di non separarsi più.

Poco dopo, mentre gli ospiti si aggiravano per casa ammirando l’arredo e complimentandosi con la padrona, la pentola prese a borbottare. Sandra dichiarò che il pranzo era pronto e tutti presero posto a tavola. Fu proprio lei a servire la zuppa – tre densi cucchiai di liquido verde fumante –, raccomandandosi di mangiarla subito finché calda. Stavano per iniziare quando Clara si scusò e disse di dover andare in bagno. Sandra le indicò la strada. Clara prese la borsa e si allontanò.

Rimasero soli a tavola, Sandra e Pietro. Lei e lui, e basta, seduti l’uno di fronte all’altra, come un tempo. Com’era stato all’inizio. Anche Pietro era bello. Era alto, asciutto e la barba gli dava un ché di tormentato, lo rendeva cupo e affascinante. Sandra si sforzò di ricordare l’ultima volta che l’aveva visto. Non ne era certa. Prima, comunque, la barba non l’aveva e appariva più infantile, candido. Sorrise:

«Pietro, caro, voglio che tu sappia che sono felice del vostro matrimonio»

«Grazie, Sandra» proferì l’uomo con un filo di voce Tamburellava le dita sulla tovaglia e si guardava attorno per sfuggire allo sguardo di Sandra che non lo perdeva di vista un attimo.

«Allora, tu come stai?» prese a dire più ad alta voce «com’è la vita qui? Racconta»

«Oh, be’ sai, non c’è poi molto da raccontare. Non succede quasi mai nulla». Sandra giocherellava con la punta del coltello: «A volte qualche volpe si mangia una gallina, di notte. E il giorno dopo si mettono d’accordo e la vanno a cercare, per ammazzarla. Così non lo fa più»

Pietro deglutì. Sentiva la testa leggera, i pensieri turbinare sopra di lui senza controllo. E tuttavia non voleva lasciare che cadesse il silenzio:

«E dimmi… hai conosciuto qualcuno nella valle? Qualche amico?»

Sandra scosse il capo mollemente, senza smettere di sorridere:

«Le persone quassù sono un po’ strane. Credo sia una questione di ossigeno. Un giorno ti salutano e ti invitano a casa. Ti chiedono di andare alla messa con loro o a quelle ridicole pesche di beneficienza. Tu sei gentile e ci vai, non dici mai di no. Poi all’improvviso non ti parlano più e ti tengono a distanza. E questo capita perché in realtà, vedi, siamo diversi.

Siamo inconciliabili. E loro fanno solo finta di accettarti ma è per farti sentire esclusa più tardi,

capisci? Per questo sono felice che siate venuti! Noi siamo simili, voi mi capite. Tu mi capisci, Pietro», il sorriso si piegò in una specie smorfia:«ma non parliamo di me, dimmi di voi, piuttosto! Quand’è la data? Avete scelto la chiesa? Oh, sono tanto, tanto felice per voi!»

«In realtà… »

«Perché vedi» lo interruppe Sandra «ti devo confessare una cosa. L’altro giorno, quando ho ricevuto la vostra lettera, non sapevo come reagire. Ero confusa, scioccata, è stato tanto, troppo… e sul momento ho finito per fare una cosa stupida, imperdonabile. Lo sai no, come sono quando divento emotiva?»

Pietro annuì, sbatté le palpebre e si passò una mano sul collo.

«Pietro, caro, tu mi conosci così bene. Io alle volte faccio l’errore di guardare le cose solo dal mio punto di vista. Ma la vostra lettera è stata… è stata come un’epifania, capisci?

Stamattina era tutto molto più chiaro. Ho capito. Ho visto tutti i miei errori, Pietro. Il mio egoismo, la tua solitudine… Ho sbagliato tanto, vero Pietro? Sono stata orribile con te. Una donna orribile. Devi esserti sentito molto solo, non è vero? Ma certo che sì, lo so, è stata dura. Io non ho pensato a te. Ma avrei dovuto. Ti ho messo io in quella situazione. Dovevo capire che avevi bisogno di me». Lo sguardo di Sandra si perse nel vuoto per un attimo.

L’uomo strinse i pugni per dissimulare il tremore delle mani.

«Però adesso è passato, Pietro! È tutto passato! Io sono così felice che stiate insieme! E voglio stare con voi, capisci? Io vi amo ancora, Pietro, tutti e due. Amo te e amo Clara. Lo capisci? Eh, Pietro? Pietro! Non mi rispondi?»

Il proiettile trapassò il cranio di Sandra con uno colpo secco. La testa le ricadde in avanti nel piatto e in pochi secondi il sangue si allargò sulla superficie della zuppa. La faccia era scomparsa dentro al liquido.

Pietro scoppiò in lacrime.

Clara appoggiò la pistola nella mano destra della sorella, abbandonata sul tavolo. Tolse i guanti e li infilò nella borsa. Si sedette accanto a Pietro. Gli accarezzò la testa, i ricci scuri, le spalle che sussultavano sotto il peso dei singhiozzi:

«Lo sai che era necessario»

«Ma ora… ora noi… lei è… » Pietro non riuscì a formulare una frase. Rabbrividiva all’idea di guardare davanti a sé ma non poteva farne a meno. Quel corpo immobile senza faccia. Pensò che magari non era lei. Che non l’avevano fatto davvero.

«Pietro, tesoro» disse Clara con quell’inflessione della voce che usano le madri indulgenti: «pensa a tutto quello che abbiamo passato. Le minacce, gli insulti, gli appostamenti. E la tua bella moto nuova, chi credi abbia appiccato il fuoco? E nessuno ha potuto farci niente. Aveva perso la testa, amore mio. Non ci ha lasciato scelta»

Ma Pietro continuava a piangere sommessamente e a fissare il cadavere di Sandra:

«Ma… ma forse noi… noi potevamo… potevamo provare a parlarle… Lei sembrava… magari stavolta…»

Clara si irrigidì. Si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto:

«L’abbiamo fatto un centinaio di volte. Ha sempre negato. Quando era abbastanza lucida da non farneticare, si intende! Ha cercato di far passare noi per i cattivi» disse puntandosi un dito al petto «quando siamo delle vittime, lo siamo sempre stati!»

L’uomo sembrava perso in un’altra dimensione. Il suo volto aveva abbandonato ogni espressività. Gli occhi tremolavano gonfi ma il pianto si era interrotto.

«La verità, Pietro, è che parlare con lei non ha mai funzionato. E’ scappata senza sentire ragioni, e poi… il resto lo conosciamo. Non avrebbe mai capito il nostro amore. Non lo avrebbe mai permesso»

L’uomo si voltò a guardarla e Clara scorse nel fondo scuro dei suoi occhi tristi un empito di tenerezza. Allora si alzò, gli si avvicinò e se lo strinse al petto: «Ora non possiamo più correre rischi»

A quelle parole Pietro si riebbe. Si asciugò gli occhi, cinse i fianchi della compagna e appoggiò le labbra sul suo ventre.

Mentre Clara attendeva in macchina, Pietro sistemò la cucina e bruciò la lettera, osservandola annerire piano. Il soggiorno era avvolto nella luce di un sole splendente. Il pulviscolo giocava con il profilo dei fiori immobili come salme.

Guardò ancora una volta il fermo immagine di Sandra, in quella posa grottesca fossilizzata dalla morte. per la prima volta dopo tanti anni, sembrava in pace.

Chiuse la porta di casa dietro di sé e l’ultima cosa che vide prima di entrare in auto fu la macchia bianca del gregge che pascolava nel verde alle pendici del monte.

Immagine generata con DALL-E
a group of calves at a fair with a Ferris wheel in the background, painted in the Hopper style