
Benzina
Finiamo per cenare al bar del distributore di benzina perché la macchina s’è rotta che eravamo in autostrada. Dico a J. che questi posti mi piacciono, che sono quasi contenta che la macchina s’è rotta. Lui non dice niente. Odia gli imprevisti, J. Questa cosa della macchina l’ha distrutto anche se la macchina è la mia. È successo qualcosa al motore, non so bene cosa, fatto sta che non parte più. Al bar del distributore di benzina ci siamo solo noi, io e J. Si chiama Paloma, il bar. I tavolini e le sedie sono di plastica rossa, un po’ sporchi. Alla radio c’è una vecchia canzone Cajun e il tramonto è rosa. C’è odore di benzina e di carne grigliata, del sudore dolce di J. e del suo profumo. Eravamo diretti al Grand Motel Étoile Magique, prima che la macchina si fermasse. L’ho scoperto su una vecchia rivista di viaggi: vasche da bagno a forma di cuore, pareti color panna, letti giganteschi, una piscina. Ho detto a J.: «non sarebbe bellissimo andarci?» e lui ha detto di sì, «Certo», poi però la macchina s’è rotta e a J. penso che non gliene frega più niente del Grand Motel Étoile Magique. La cameriera ci porta i nostri hot-dog. Avrà una sessantina d’anni, i capelli biondi. Credo sia la moglie del meccanico. Porta una minigonna di jeans e una maglia gialla, degli stivali bianchi col tacco. J. sbadiglia, la cameriera sorride. Dice che le piace il mio accento. Mi chiama amore. J. le chiede se può portargli della salsa barbecue, e lei ci chiede che ci facciamo da queste parti, nel mezzo del nulla. Le dico che stiamo attraversando il paese in macchina, che ci siamo appena sposati anche se non è vero, che sono un’attrice del cinema in cerca di un po’ di pace. La moglie del meccanico che lavora come cameriera trattiene il fiato, sorpresa, e J. sorride. Della salsa barbecue non sembra importargli più molto perché il suo hot-dog l’ha quasi finito.
Mi chiede in che film ho recitato, la cameriera, e io le rispondo: "La Dolce Vita”. Lei dice che lo guarderà di sicuro, che ce l'ho proprio la faccia da attrice. Sento J. che mi guarda, che infila una mano sotto il tavolo e mi stringe piano il ginocchio, che mi accarezza il piede nudo. Forse stanotte faremo l’amore nella macchina rotta, o forse lo faremo dietro uno dei distributori di benzina.
Dopo cena beviamo lattine di birra rossa e mangiamo pop-corn salati da un secchio enorme guardando nel buio, io e J. Maria – la moglie del meccanico si chiama Maria –, Maria ha detto che possiamo dormire nell’ufficio sopra il bar, nella branda su cui ogni tanto suo marito riposa nel pomeriggio. Se ne sono andati a casa e ci hanno lasciato le chiavi del negozio, Maria e il benzinaio. La macchina sarà pronta domattina, ma a quanto pare il Grand Motel Étoile Magique ha chiuso nel 1993. Ha chiuso anche il luna park. Io nemmeno lo sapevo, che c’era un luna park.
Mi chiede se sono triste e io gli rispondo di sì, che volevo fare il bagno in una vasca a forma di cuore, bere alcolici fluorescenti dai fantasiosi nomi tropicali. Mi chiede anche se a nostro figlio ci penso mai, e io gli rispondo di no, che voglio una camera dalle pareti color panna e un letto dalle lenzuola zebrate, che voglio giocare a blackjack al casinò e poi tuffarci in piscina ancora vestiti. Lui dice che in quel motel col nome francese ci possiamo comunque andare anche se è abbandonato e brutto e nelle piscine melmose ormai ci nuotano solo quelle amebe strane che ti mangiano il cervello in ventiquattro ore. «Solo per vederlo» dice, e io lo bacio. Sa di birra rossa e pop-corn salati. Facciamo sesso lì, sotto il lampione della pompa di benzina. Facciamo sesso, poi rubiamo qualche barretta di cioccolato e una bottiglia di vino bianco, il che non è molto gentile da parte nostra, ma J. dice che va tutto bene, che figurati se se ne accorgono. Ci sdraiamo sulla branda scomoda dove qualche volta il meccanico riposa nel pomeriggio e finiamo tutto il vino bianco e le barrette di cioccolato che abbiamo rubato. J. mi accarezza i capelli, mi bacia le unghie. Sulla parete c’è un calendario erotico di Maria da giovane aperto sul mese di agosto. Ha una farfalla celeste tatuata sul culo, Maria, l’ombelico sporgente. Indossa un cappello da cowgirl e nient’altro.
Parliamo del nostro viaggio, io e J., di chi eravamo prima di conoscerci e di un film brutto che però a noi è piaciuto, di tatuaggi e di ombelichi. Dico a J. che spero non ci trovino mai e lui mi chiede di cantargli una canzone così gli canto una ninna nanna. Ci addormentiamo con la luce accesa.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto ad olio che ritrae una vasca da bagno a forma di cuore in una camera di un motel”