A me mi pareva il paradiso

Un rumore fortissimo nelle orecchie e tutte quelle piume bianche davanti agli occhi. 

Uno pensa che le cose complicate devi stare a guardare a lungo per capirle, come quel coglione di Matteo che a scuola si girava tra le dita maciullate, il cubo Rubik per ore, Lo devo capire diceva, Lo devo capire e poi lo risolverò, ripeteva e ogni tanto si fermava per strappare le pellicine attorno alle unghie con i suoi incisivi da castoro.

Io pensavo solo che era coglione forte e mi andavo a prendere un caffè e mi scocciavo pure di aspettare quel mezzo minuto che ci mettevano le macchinette per mischiare acqua di merda e polvere solubile.

Quando ho visto tutto quel bianco e le piume che mi cascavano davanti e si poggiavano ovunque mica ci sono stato a pensare, l’ho capito subito che ero finito in paradiso ed ero contento. Così non dovevo più stare a sentire quella parola, così non dovevo più fare finta di essere un altro, così non dovevo più ficcare la lingua in bocca a Margherita, che le volevo bene, ma puzzava sempre di tabacco bruciato. Stavo in paradiso e fanculo tutti.

Ho aperto gli occhi e mi sono ritrovato sdraiato con un tubo nel naso e un altro paio nelle vene del braccio destro. Chi cazzo mi aveva riportato giù? I nomi voglio, ho urlato, chi cazzo vi ha detto che volevo tornare qua! È venuto un ragazzo, un tipo carino sbarbato, mi ha detto di calmarmi che andava tutto bene e che era felice che mi fossi svegliato. Oh ma chi ti conosce, ma felice di che. È arrivato un altro tizio, con baffi arricciati all’insù, che mi ha tenuto fermo mentre mi dimenavo e urlavo perché quei tubi mi davano fastidio, e volevo tornare dall’altra parte. Quello carino ha cambiato la busta di plastica che collegava uno dei tubi alle mie cazzo di vene e io non avevo più forze per lottare con lo stronzo che mi teneva fermo. 

Mi hanno lasciato da solo, rincoglionito come un drogato, con un sapore freddo, quasi di acciaio, in bocca. 

Ho cercato di ricordare come fossi arrivato in paradiso, magari c’era un modo per tornarci, ma mi veniva in mente solo Margherita che ballava nel suo completino Shein scadente sotto luci blu e verdi, ricordo di aver pensato che era un miracolo che non prendesse fuoco per l’elettricità statica, ricordo di aver guardato le sue cosce nude e aver pensato che a me il cazzo non mi tirava per niente a guardarla e nemmeno a guardare i porno anche se mi costringevo a dirmi che quello mi doveva piacere: tette e culi e occhi di femmine. 

Con Matteo porca puttana sì che spingeva contro le mutande. Bastava che mi guardasse o che mi sfiorasse con quelle sue mani grandi e macchiate di inchiostro e il sangue del cervello se lo beveva tutto il cazzo. Glielo avevo chiesto io di prenderci un caffè? O me lo aveva chiesto lui? Non me lo ricordo mica. Però poi è successo quello è successo e io gli ho detto che non volevo più e invece lo volevo ancora.

Io me lo urlavo e mi prendevo a cazzotti l’uccello e mi dicevo Cristo Luigi lo vedi che hanno ragione a chiamarti finocchio. E piangevo nella mia camera sotto le coperte e mi odiavo perché piangevo i.

Picchiavo il pisello, che non obbediva e tutti quelli che mi chiamavano come non volevo essere chiamato, perché gli uomini a cui tira il cazzo per le donne picchiano.

Mi ricordo di Margherita che mi si avvicina e mi mette le mani dietro la nuca e poi una scende giù verso l’ombelico e io le dico Dopo, dopo, in macchina, piccola, ora qui così proprio non mi va, mi capisci? Ricordo un kebab orribile e pieno di cipolla preso dal paninaro sulla statale.

Mi sa che me lo sto immaginando o forse no ma c’era un messaggio di Matteo, Penso che mi piaci tanto, c’era scritto o una roba simile e io gli ho risposto, Mi sa che mi piaci pure tu e poi mi era venuta voglia di toccarmi e gliel’ho detto e allora si è toccato anche lui e ci siamo mandati i video mentre ci toccavamo e ci pensavamo. Poi mi sono fatto schifo e ho vomitato nel cesso Io devo scopare Margherita e mi devono piacere i culi e le tette e gli occhi delle femmine. 

Entra di nuovo il tizio carino e sbarbato, dice che c’è una persona, se me la sento di ricevere visite e dico di sì, tanto ormai sto qua. È mia madre, ha gli occhi rossi e abbottati di lacrime, cerca di abbracciarmi e mi accarezza e dice figlio mio che bello, madonna il figlio mio, che scanto che mi ho presa.

Allora io le dico che le voglio bene ma che ero più contento di stare in paradiso e lei spalanca gli occhi e non mi accarezza più e mi chiede Quale paradiso? Quello con tutte le piume ma’. Non ci stanno Gesù Cristo, la Madonna e i santi ma’, ci stanno solo tante piume bianche e silenzio. Ma quale paradiso mi chiede lei. Avete fatto un incidente con la macchina, forse ti è venuto un colpo di sonno o forse hai cercato di scansare un motorino, non è che si è capito bene e tu c’avevi quel piumino d’oca che ti ha regalato la nonna a Natale e si è scoppiato quello nel botto. Quelle erano le piume, Luigi, devi dire grazie che sei vivo, mi hai capito a mamma? Che la macchina si è cappottata dal suo. 

Mamma piange che lei a Margherita voleva bene e diceva che insieme eravamo tanto belli come lei e papà da giovani. Mi viene da piangere pure a me.

E il telefonino mio ma’? Dove sta il telefonino mio?

Si è scassato, ma non ti preoccupare mo’ del telefono, lo ricompriamo, mo’ stai tranquillo e riposati poi torna tutto apposto, torna tutto come prima.

Va bene ma’.

Lei si allontana ed esce, poggia i baci sulle dita. Io piango, perché a me mi era sembrato proprio il paradiso. 

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae piume bianche volanti su un cielo azzurro”