Si erano conosciuti su Tinder

Si erano conosciuti su Tinder, stavano insieme già da due anni.
Lui non sopportava che di lei per prima cosa avesse visto il culo. 
Lei non si faceva problemi ad avergli visto inizialmente il pacco.

Era la legge dell’app, la fiera della carne esposta ed esibita, dell’incontinenza di un desiderio fisico e sessuale che non si diceva se non lì, tra un messaggio e l’altro, tra un album piccante e l’emoticon in fiamme. Diamine, nessuno avrebbe usato l’applicazione per conoscersi davvero, figuriamoci per innamorarsi poi, chi dice questo non può che essere un cazzaro, sull’app ti iscrivi perché ti senti solo, perché davvero sei solo, perché relazionarti ti fa una paura cane, sei solo perché ti spaventi degli altri, dell’amore degli altri, perché dubiti della tua capacità di amare e se poi dovessi invece innamorarti lo sai che sono cazzi. C’è il tema della fedeltà che non hai messo in conto o proprio perché l’hai considerato adesso stai lì, online in un sito di incontri anziché al parco, a fare colpo in un locale.

Hai paura dello sguardo, di quello dell’altra che si poggia sul tuo, per non parlare del tuo che incontra quello dell’altra, è la fobia di essere visto e vedere, del colpo di fulmine a cui fai finta di non credere ma sai che così ha funzionato con i tuoi, è bastato uno sguardo, un sorriso ripetuto nel tempo più o meno breve di una tratta ferroviaria, doveva essere la Caltanissetta-Palermo negli anni Novanta.

Per paura hai aperto l’account nascondendo finanche il tuo viso con un’immagine profilo che del tuo di profilo non restituisce proprio nulla, non gli zigomi definiti, il mento ispido, quel naso che andrebbe rifatto. L’AI ha elaborato un volto di teenager per sostituire quel tuo sguardo sornione, una faccia pulita a metà tra Justin Bieber e quell’italiano di cui scordi sempre il nome, un belloccio famoso per Prisma

 

Eppure era vero che l’idea di una storia d’amore nata su Tinder ti innervosiva parecchio, una variabile che non avevi considerato, che certamente avevi sbagliato a non considerare. Le avevi visto il culo, tondo, non un filo di cellulite a guastarlo, e avevi subito pensato che una botta e via l’avrebbe meritata – d’altronde la descrizione del profilo era chiara, cercavate divertimento, mica altro.

Dopo averle visto il pieno e il vuoto penetrabile del suo corpo era toccato a te svelarti. Non che ne avevi vergogna, pudore, l’avevi fatto chissà quante volte con altre ragazze, c’era pure del gusto perverso forse, ma pur sempre del gusto, in quello scambio di figurine calde, dei vostri corpi barattati per altri, in questo farsi vedere nell’intimo disvelandosi a cominciare dal sesso. 

 

Non una foto del viso, quella temevi e tremavi a mandarla, la paura di essere riconosciuti da un’amica, una lontana parente, un’alunna – quell’app ne è piena –  che conosce un altro te, quasi casto, l’uomo perbene, il giovane supplente preparato che perderlo sarebbe stato un peccato. 

La perversione di un uomo normale si tiene alla larga da sguardi indiscreti, si filtra attraverso un display, un profilo fake, un banale nickname. Renderlo pubblico, questo tuo essere bestia, animale, farebbe di te un lurido porco.

Decisamente peggio per le donne, sarebbero troie, puttane. Quindi è preferibile tenerlo per sé questo rapporto col corpo ma anonimamente gridarlo sull’app ché se non lo dici poi alla fine implodi e meglio non immaginare il resto.

 

Non c’è niente di più liberatorio di Tinder – ti aveva detto lei una sera e tu avevi annuito, certo non proprio convinto, con una qualche agitazione in corpo si direbbe piuttosto, l’indice a battere ossessivo sul tavolo, lo sguardo frenetico che non sa dove posarsi, quel tremore scomposto da animale consapevole di essere stato ingabbiato. 

Se n’era accorta di questo tuo stato, aveva intuito le nascondessi qualcosa. Non aveva capito cosa però, aveva frainteso  tra l’altro. 

Credeva tu fossi geloso della libertà da lei ventilata, geloso di lei ancora online e certo un poco lo eri, non la volevi spartire ora che davvero la amavi. E maledicevi ancora quell’app, perché un vero amore come lo era il vostro non poteva essere nato così, dalla visione di un culo. Come lo avresti raccontato domani a un figlio se fosse arrivato? Entravi in crisi ogni volta pensando alla tua storia che ignorava il romantico. Avresti potuto innamorarti di un largo sorriso, di quel neo sulla fronte o dei suoi occhi smeraldo e invece la prima volta, nel buio della tua autovettura, non l’avevi nemmeno guardata poi tanto, volevi divertirti e lei ci sapeva fare, puoi dirlo. Le avevi proposto un secondo appuntamento, poi un altro, già innamorato della sua bocca calda, di lei bagnata. Così vi eravate conosciuti, così vi eravate amati e vaffanculo il romanticismo. 

 

Ma stavolta non era la gelosia a preoccuparti, era la scuola il problema, a come cavolo dirle cos’era successo a causa di quell’app per lei liberatoria, che invece da giorni ti stava uccidendo. Precisamente da quando, entrando in una nuova aula che ti hanno assegnato quest’anno, mi avevi trovata tra i banchi. E io smaliziata ti avevo sorriso, avevo riso anche, provando una certa goduria nel conoscere il giovane supplente più di ogni altra ragazza nella classe. Vedendomi, eri sbiancato di colpo, un bicchiere d’acqua, un respiro profondo, e via con la prima lezione già tormentata in partenza. 

Bisogna ch’io tranquillizzi i lettori, che metta un freno alle loro allusioni, il giovane supplente l’avevo visto solo in foto, nient’altro; certo era una visione integrale che lo rendeva un figo ai miei occhi ma una volta appresi i miei anni lui non si era spinto oltre. 

Non che ci togliessimo molto, io ripetente in quinta e tu laureato a luglio, studente brillante e pure fortunato, durante la pandemia avevi fatto domanda d’insegnamento in provincia e ti avevano chiamato all’istante. Di te conoscevo adesso lo sporco, le perversioni e certe fantasie imbarazzanti che non si addicono a un docente – ti avevo in pugno, non potevi scapparmi. 

 

Come dovevi dirle che, geloso com’eri, sull’app anche tu ti eri dato da fare in quegli anni d’amore con lei? Come spiegarle che avevi chattato per giorni con una ragazza che adesso scoprivi tua alunna? E che mentre tu implodevi di angoscia io giovane smaliziata sembravo invece godere? 

 

Era stato il preside a chiamarti dopo un paio di giorni, la tua didattica era stata presa d’assalto, in terza lamentavano non avessi trattato l’amore cortese, il Dolce Stil Novo in favore di certe novelle del Decamerone che a scuola si preferisce non farle di norma. Invece sulle pagine boccaccesche insistevi ed io ti capisco, sai, con quale credibilità potresti parlare di saluto negato, donna angelicata e lodi d’amore, tu che come me l’amore non lo conosci affatto? Il Romanticismo l’hai mandato a fanculo, e qualcuno ancora pretende tu possa spiegare Cavalcanti? E c’è ancora qualche madre ostinata a pensare ch’io possa, insieme ai suoi figli, capirlo, oggi, e riuscire ad amarlo, Cavalcanti?

Poi è successo quel fattaccio nei bagni durante la tua ora di lezione, quelle compagne trovate a fare cose sconce, proprio così hai scritto sul registro di classe, che gemevano guardando la foto di un cazzo. 

Del tuo cazzo. 

Quello che avevo fatto girare perché tutte ne beneficiassero un poco. 

Era stata una giornata pesante, quella. La nota e a seguire sospensione ma pure la chiamata alla polizia postale per verificare i fatti. Temevi si potesse arrivare anche a te e tu cercavi le parole per dirlo a lei prima che lo sapesse da altri, che arrivasse una nota al supplente, un licenziamento nel peggiore dei casi. 

Lo sapevi che ero stata io a causare quel disagio e pure non era difficile immaginare il perché, ti volevo e non mi bastava la foto e nemmeno vederti seduto al mattino spiegare cose di cui poco o nulla poteva fregarmi.  

 

Il ricatto ancora funziona e mentre ami lei con un certo dolore, quello che forse si prova nel tradire l’amata, scopi me come bestia, ed io continuo a giocare con te fino a quando mi stanco di questo giocattolo, il tuo corpo animale, costretto, che quando mi sfiora non conosce sentimento ma rabbia soltanto.

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae uno smartphone in fiamme”