L'unica cosa vera
Dico sempre di averlo conosciuto al matrimonio di Marco, ma in realtà ci eravamo incontrati qualche mese prima a una cena di Natale della loro azienda. Mio fratello mi aveva chiesto di accompagnarlo dato che Monica era in viaggio di addio al nubilato a Cuba, con le sue amiche. Anche a me era stato esteso l’invito, ma avevo finto di non potermi organizzare con il lavoro.
Eravamo in quella fase della vita in cui se qualcuno ci diceva di aspettare un figlio non sapevamo se congratularci o fare loro le condoglianze, e il matrimonio a me faceva lo stesso effetto: a guardarli insieme, Monica e Marco parevano due adulti bambini, che si sposavano solo perché i trenta erano dietro l’angolo, ma avrebbero continuato a comportarsi da ragazzini ancora per un bel po’ di tempo.
Io invece, pur avendo ancora venticinque anni, mi sentivo una donna di mezza età già al secondo divorzio, disillusa nei confronti dell’amore. Avevo passato la cena controllando il telefono ossessivamente nella speranza che Angelica mi scrivesse qualcosa. Nei giorni precedenti era un miracolo se rispondeva ai miei messaggi e rimandava sempre il momento in cui sarebbe venuta a Genova a trovarmi per le vacanze. A dire il vero, la voglia di vederla era svanita, ma volevo una conferma definitiva. Quando il caffè e gli amari erano stati bevuti e i colleghi di mio fratello erano impegnati in conversazioni lavorative, l’avevo chiamata fumando una sigaretta fuori dal ristorante. Con molta onestà mi aveva detto che si era vista qualche volta con un ragazzo della sua città, e che non se la sentiva di vedermi. Non ero innamorata di Angelica, ma il fatto che frequentasse un uomo mi ferì. Mi disse che avremmo potuto rivederci una volta tornate a Torino. «Prendiamo un caffè, mi farebbe piacere» disse. Tornata a casa dalla cena, ricevetti una notifica su cellulare: @leo.ferrari ha messo mi piace alla tua storia. Scoprii così che ci seguivamo già su Instagram, per via di conoscenze in comune. Per me, però, ci siamo conosciuti al matrimonio, perché è li che ho cominciato a dare peso alla sua esistenza. Ed è quella sera che siamo andati a letto la prima volta.
«Ciao Luce» mi aveva salutata così. Sapeva che non mi chiamavo davvero così, ma aveva sempre sentito tutti usare quel soprannome e lo aveva fatto anche lui. Era stato coniato da un amico di mio fratello quando eravamo adolescenti, per prendermi in giro visto che passavo tanto tempo al buio in camera, e mi era rimasto appiccicato addosso, diventando anche il mio nickname sui social. Se non conoscevi la storia, lo avresti associato a qualcosa di bello. Era strano sentirlo uscire dalle sue labbra. Da Natale mi aveva messo mi piace costanti, ma non si era mai sbilanciato a mandarmi un messaggio. Quel giorno di inizio giugno era la prima volta che parlavamo. Io stavo abbastanza in disparte, un po’ perché non conoscevo gran parte degli invitati, conoscenze di Monica, un po’ perché mi sembrava di attirare fin troppo l’attenzione, con il vestito color ottanio scelto dalla sposa, che lasciava scoperti i miei tatuaggi sulle braccia e sulla schiena. Lui ne aveva approfittato per rimanere da solo con me.
«Tu non sei fidanzata?» mi aveva chiesto Leonardo dopo i primi due bicchieri. Mi aveva fatto ridere la scelta delle parole: formulare una domanda che implicava una negazione poteva portare a fraintendimenti nella risposta. Per cui decisi di essere molto chiara.
«Assolutamente no»
«Perché assolutamente? Sei contro il matrimonio?» rise lui.
«Sono contenta per mio fratello, ma mi fa ansia l’idea. Significa crescere, diventare adulti. Avvicinarsi alla morte» credo fosse attratto da questo. L’illusione di qualcosa di speciale, di diverso da tutto il resto.
Per questo tipo di persona sei speciale se non urli con le braccia tese in aria, spingendo a spallate le altre ragazze che provano a prendere il bouquet al volo. Al quinto o sesto bicchiere avevo deciso di non badarci. Non era mio compito giudicare il perché fosse attratto da me, lo era e potevo lasciarlo fare. Quando mi prese la mano, seduti al tavolo, non mi tirai indietro. Quando mi baciò, nascosti da occhi indiscreti dietro agli alberi, potevo quasi pensarmi felice. Sorrideva continuamente e l’idea di essere io a far scaturire quei sorrisi continui mi scaldava. Mi chiese di andare da lui e accettai. Quella notte crollammo subito dopo aver fatto sesso. La mattina dopo era andato a comprarmi la colazione al bar, cappuccino e focaccia. Gli parlai della mia scelta di trasferirmi e del fatto che sarei ripartita alla fine dell’estate. Gli chiesi cosa significasse per lui vivere ancora a Genova. Gli avevo chiesto se aveva mai pensato di andarsene.
«Non credo, non ricordo di averci mai pensato» aveva aggiunto, «È bellissimo parlare con te, sei così vera. Dove ti eri nascosta tutto questo tempo?»
«A casa mia» avevo risposto io. Lui rise.
«Avrei voluto conoscerti prima» mi aveva resa molto triste, perché sapevo che non fosse vero. Non ci stavamo conoscendo. Lui sembrava non rendersene conto e avevo paura che riuscisse davvero a convincersi.
Il weekend dopo ero partita per andare a trovare degli amici e festeggiare con loro un concorso che avevo vinto. Avevo pubblicato la notizia del premio in una storia, poi avevo preso il treno, mi ero messa le cuffie e avevo dormito. Al mio risveglio, avevo trovato tre chiamate di mio fratello che mi chiedeva se fossi arrivata, un messaggio di uno degli amici che mi diceva di essere già fuori dalla stazione ad aspettarmi e alcune notifiche di Instagram. Leonardo mi aveva mandato una fire reaction. Ci eravamo sentiti saltuariamente quella settimana, ma ancora non ci eravamo rivisti a causa del lavoro. Eravamo d’accordo di incontrarci al mio ritorno. Dopo il fuoco mi aveva scritto: Sono fiero di te.
La domenica ero tornata in anticipo ed ero andata di nuovo a casa sua. Era uno di quei giorni caldissimi in cui si cerca di stare fermi il più possibile, perché al primo movimento si inizia irrimediabilmente a sudare. Avevamo passato il pomeriggio a guardare vecchie serie tv e fumare canne. Quando il sole aveva cominciato a calare e a filtrare dalle persiane abbassate a metà mi aveva detto: «Guarda che strano questo fascio di luce».
Si era alzato ed era andato a prendere un deodorante spray, per spruzzare appena nell’aria trafitta dal raggio di sole. Il deodorante si era appiccicato al pulviscolo e brillava, polvere nell’aria. «Che strano. Che bello» disse, tornando a sedersi a fianco a me. Fu l’unica cosa vera che gli vidi fare. Quel giorno non eravamo riusciti a fare sesso, perché fumare gli aveva fatto quell’effetto. Lui continuava a sorridere ma era facile capire che la cosa lo turbava.
«Fino a Natale stavo con una ragazza, lo sai?» gli dissi. Lui rimase in silenzio. «Non voglio parlarti della mia ex. Solo, non ho bisogno di un pene dentro per godere»
«Perché me lo dici?» chiese. «Non capisco se questo dovrebbe tranquillizzarmi o spaventarmi»
«Nessuna delle due cose, è solo un fatto» avevo risposto.
La mattina seguente, mi aveva risposto a una storia, una pagina del diario di Susan Sontag, chiedendomi di andare al mare dopo l’ufficio. Poi mi aveva proposto di fermarmi a cena da lui: Puoi farti la doccia da me direttamente. Accettai, e rimasi anche a dormire, perché me lo chiese. Voleva ribilanciare quello che era successo e il suo senso di rivalsa mi fece provare un moto di affetto. La sua inesperienza con l’emotività mi disarmava.
Non ne ero responsabile e non volevo esserlo, io ero solo grata di riuscire a provare ancora tenerezza.
La mattina dopo ero andata via senza fare rumore, perché avevo un impegno con la mia famiglia. Quando si svegliò mi scrisse un messaggio, che lessi più tardi. Buongiorno! Mi sono svegliato con questo pensiero: tu sei veramente speciale e io ho tanta tanta paura, lo sai? gli risposi con un cuore. ma sapevo che non bastava. Mi ricordai della tenerezza e sperai che riemergesse in qualche modo.
La penultima volta che ci eravamo visti, la cena era stata interrotta dalla chiamata di Angelica, che mi diceva che sua nonna era morta. Dopo qualche minuto al telefono, in cui l’avevo consolata e poi le avevo promesso di tornare a Torino in anticipo, ci eravamo salutate. Leonardo era rimasto sinceramente colpito.
«Io spero che la mia ex non chiami me se le succede qualcosa» aveva detto.
«Perché?» gli ho chiesto.
«Mi ha fatto un sacco di corna, storia tossica, non riuscivo a lasciarla. Ora non mi andrebbe proprio di sentirla. Cancellare tutto per me è l’unico modo».
Misi via il telefono, poi risposi: «Io non ho mai fatto le corna a nessuno, e a dire il vero anche lei le ha fatte a me. Ma comunque le voglio bene. Per quello che è come persona, all’infuori di me. Una persona deve piacerti per quello».
Dopo quella sera non l’avevo più sentito. Pensai che per lui era importante la vicinanza fisica, non essendo in grado di raggiungere quella emotiva, e visto che stavo per partire non pensava avesse senso mantenerla. Io non mi preoccupavo perché di vicinanza non ne avevo mai cercata. A dire il vero non avevo cercato neanche la tenerezza, era arrivata per sbaglio. Io avevo solo voglia di fare sesso con un uomo, una persona perbene con cui non rischiavo di condividere troppa interiorità. Ed era andata esattamente così. Mi preparavo per tornare a Torino pensando di non rivederlo mai più e invece il giorno prima della mia partenza mi aveva ricontattata. Mi chiedeva scusa per come si era comportato in quei giorni, anche se non sapevo in che senso. Si scusava per non avermi detto nulla. Per me era più grave quando mi diceva frasi fatte e buttate lì per il gusto di dirle e riempire un vuoto, senza sentirle davvero. Senza neanche capirle fino in fondo. In quel silenzio invece ero stata bene. Gli risposi che non c’era problema, che non mi doveva nulla. Mi ha chiesto di non essere fredda e di rivederci.
«Non volevo essere fredda, solo onesta».
Allora avevamo bevuto un bicchiere di vino bianco davanti al mare. Mi disse: «La nostra complicità mi ha spaventato e non sono pronto per un rapporto più serio, per questo sono sparito».
Io sarei ripartita la mattina dopo e non avevo intenzione di tornare almeno fino alla prossima festa comandata. Non avevo mai pensato a un rapporto serio con lui. Non risposi.
Mi disse: «Non ho mai conosciuto una persona vera quanto te».
Mi disse: «Non volevo illuderti»
«Non mi aspettavo niente davvero. Sei una bella persona, sono contenta di averti conosciuto quest’estate. Va bene così» avevo risposto.
Sapevo che non avrebbe capito. Si era avvicinato per provare a baciarmi e mi aveva fatto di nuovo tenerezza. Lo respinsi delicatamente.
«Scusa, è che tu mi piaci davvero» mi disse. Sperai di nuovo, per il suo bene, che non credesse alle sue stesse parole.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto ad olio di un fascio di luce al tramonto che entra in una stanza da una serranda abbassata”