Disse Giuliana

Corrado Demastro, funzionario del ministero delle politiche sociali con delega al reclutamento e smistamento all’addestramento del cittadino con disabilità, disinformazione e disinibizione. Ometto distinto, con un esubero di capelli ammassati e impomatati in stile Bela Lugosi in Dracula, camicia bianca a maniche corte dentro pantaloni grigi regular che evidenziavano le gambette tornite.

Si presentò a casa della signora Longari a mezzogiorno per notificarle che sua figlia Giuliana aveva passato le selezioni e era stata ritenuta idonea per servire il Paese.

Si fermò un minuto sul portico, godendo del refrigerio di quell’ombra dopo aver passato ore in macchina nel traffico capitolino e poi nel disastro delle viuzze campagnole, a tratti sterrate, in continua competizione con giganteschi trattori che non rallentavano mai e mandrie e greggi e clan di bestie di varia natura che provavano il desiderio improvviso di attraversare non appena scorgevano la piccola Opel rossa a gasolio senza filtro antiparticolato Euro -2 del funzionario.

Respirò a fondo l’aria impregnata di sugo fritto e muffa, si aggiustò la camicia, diede una riordinata alle scartoffie spiegazzate in una cartellina e allungò la mano verso ciò che sembrava un campanello. Si accese una lampadina senza plafoniera sulla porta. Demastro la spense e cercò un altro dispositivo che potesse aiutarlo a palesare la propria presenza agli abitanti della casupola, una maniglia da sbatacchiare, un gong azionato da un monaco tibetano, ma nulla, sembrava che la signora Longari, ex signorina Uccello, non si aspettasse visite per il resto della vita o evitasse il contatto con i suoi compaesani.

Tentò un approccio diretto con la porta e improvvisò un toc toc confidenziale sbatacchiando appena le nocche carnose di una manina fresca di manicure.

Nessuna risposta.

Scese su un tappeto di soffice sterpaglia croccante e fece il giro dell’abitazione in cerca di un ingresso secondario.

Mentre si affacciava a una finestra sul retro cercando di scorgere qualche attività all’interno, fu colto di sorpresa dalla vedovella che tornava dal pollaio con una cesta di ovette ancora calde.

«Desidera?» si informò lei con tono perentorio nonostante il tono di voce stridulo e innaturalmente alto.

«Buongiorno, signora… Longari, giusto? Sono il funzionario Demastro, ci siamo sentiti al telefono la settimana scorsa per concordare un incontro con la vostra figliuola… Giuliana, se non sbaglio» rispose lui dando un’ulteriore occhiata ai suoi appunti accatastati nella cartellina.

«Sì, Giuliana» confermò lei, senza alcuna intenzione di concedere un briciolo di confidenza.

«Quindi, lei è la signora Longari, che da signorina si chiamava Uccello…»

«Sissignore»

«… e ha chiamato sua figlia “Giuliana” … immagino… come la nonna?» ipotizzò Demastro con sincera curiosità.

«No»

«Capisco, allora in riferimento a quella cosa simpatica dell’uccello?»

«Sono io Uccello»

«No, dico, quello di Mike… immagino…»

«L’uccello di questo Naik non lo conosco»

«Bene. Allora, dove si trova Giuliana… Giuliana Longari?»

«Sta dentro, adesso la vado a chiamare, se abbiamo finito la conversazione».

L’impiegato Demastro si chiese se la donna considerasse lecito e implicito che lui la seguisse in casa, quindi s’incamminò mantenendo una certa distanza, con cautela.

Giuliana era una ragazza esile, dimostrava meno dei suoi ventitré anni, aveva un atteggiamento composto e non sembrava molto loquace.

Demastro la trovò subito perfetta.

«Signorina Longari, le faccio i miei complimenti, lei è stata selezionata per un compito di fondamentale rilevanza e sono lieto di condurla nel luogo deputato allo svolgimento del suo ruolo, che mi permetta, rappresenta la manifestazione più alta della nostra ormai perfetta forma di democrazia» dichiarava pomposamente allargando un braccio verso l’esterno come per indicare un’immaginaria platea.

«Naturalmente lo sforzo della nostra brava collaboratrice verrà ripagato con un congruo assegno di inabilità al lavoro che la brava mamma potrà intestarsi in quanto tutrice legale. Adesso vorrà che le esponga i dettagli dell’attività che sua figlia andrà a svolgere e le condizioni degli alloggi, creda meravigliosi, dove…»

«Sì, sì, poi mi dettaglia e mi condiziona su tutto, prima però mi faccia capire bene quando arriva l’assegno e di che cifra stiamo parlando»



Arrivarono all’ingresso del maestoso pantheon verso l’ora di cena, appena in tempo per poter apprezzare la bellezza di quella costruzione prima che il tramonto lasciasse il posto alla sera. Ogni volta che i suoi occhi si posavano su quella meraviglia ingegneristica, si risvegliava un nervo sotto la palpebra, un tic che indicava una commozione incontenibile, era felice come un gattino che ha appena straziato una lucertola.
Giuliana invece guardava ogni cosa senza mai cambiare espressione, attenta solamente a mantenere la compostezza che la madre le aveva imposto, “ricordati Giulia’, educazione, gentilezza, statt’ zitt’ più che puoi, è così che si viene scelti”.

Il funzionario accompagnò la ragazza all’interno dell’edificio che conteneva anche gli alloggi dei prescelti, una zona ristoro, gli uffici dei vari portaborse governativi e un grazioso negozio di souvenir che vendeva abbigliamento e oggettistica recanti slogan che inneggiavano il Presidente.

Demastro ritenne superfluo illustrare alla fanciulla le attività ricreative che la Patria offriva ai suoi orgogliosi collaboratori, visto lo scarso interessa che mostrava verso qualunque cosa, quindi la accompagnò nei suoi alloggi e la affidò alle cure di una signora dal trucco straordinariamente pesante e l’alito che faceva pendant.

Le stanze da letto erano singole, piccole e austere, con lettuccio addossato a una parete, di fronte al quale si trovava una cassettiera per riporre gli indumenti e soprattutto sostenere il peso di un televisore di grandezza eccessiva per le dimensioni della stanza, che trasmetteva solo talkshow e rassegne stampa parziali dedicate ai titoli di apertura dei quotidiani filogovernativi. Accanto al letto c’era un comodino e sopra la semplice spalliera di metallo, una sobria composizione di fotografie dentro cornici a giorno, che ritraevano il Presidente in vari momenti della sua giornata: il Presidente che cavalca a pelo uno stallone selvaggio nella sua tenuta, il Presidente che parla con una tigre e essa risponde, il Presidente che nuota nel triangolo delle Bermude e recupera l’antico vaso, il Presidente che accoglie nella sua residenza Dio che però ha un’espressione contrariata.

Giuliana dormì il sonno dei giusti e la mattina successiva venne accompagnata all’interno della zona bianca, il centro dell’arena nel quale si svolgeva il dritto e il rovescio, ci si nettava le terga con carta bianca e si affrontava prima di domani una sfida fuori dal coro, da quarta repubblica, insomma.

Il palco centrale era completamente circondato da telecamere e dispositivi collegati alla rete per trasmettere l’evento in diretta universale, sia sul web che su ogni canale televisivo. Dicono che su Marte vada via il segnale in alcuni momenti ma probabilmente ciò accade a causa del continuo contrasto mai risolto tra le frequenze governative e quelle di Radio Maria.

Il pubblico non era ammesso, tutto ciò che era consentito vedere e sentire passava attraverso una leggera differita di tre minuti, giusto per non correre il rischio di confondere le persone con messaggi poco chiari o contrastanti, si trattava di una cortesia istituzionale.

Il dibattito cominciò dopo qualche minuto di sigla.

Il palco era organizzato come uno studio televisivo, un enorme tavolo di forma ovale al centro, circondato da sedute di metallo, luci di colore blu elettrico dei riflettori rendevano le persone simili a alieni, diversi monitor alle spalle dei protagonisti erano accesi e mostravano televendite di materassi, poltrone e pentole. Il moderatore era un altro altissimo funzionario governativo che entrò impettito con una ventiquattrore in mano, assicurata al polso con un paio di manette e la scaletta della quasi-diretta nell’altra mano. Seduti vicino a Giuliana altri cinque fortunatissimi connazionali col ruolo di dissidenti, selezionati dai funzionari del Ministero dello Spindoctor, in base alle idee politiche, l’estrazione sociale e la capacità di mantenere il necessario contegno affinché il pubblico non venga offeso da espressioni inappropriate e proposte non costruttive.

Di fronte allo schieramento dei semplici cittadini in dissenso troneggiavano tre Ministri delle Impari Opportunità con sei portaborse al seguito, completavano la compagine: un cugino di primo letto del Presidente, proprietario di un gruppo editoriale, due sorelle e un fratello acquisito del Presidente con vari ruoli amministrativi nel Partito, due zii del Presidente offertisi di portare i muffin per tutti, quattro ex fidanzati delle sorelle del Presidente inquadrati in varie posizioni di rilievo nelle emittenti di Stato, la figlia seienne del Presidente che è anche amministratore delegato dell’azienda che cura le dirette social, il lattaio il cui figlio va a scuola con la figlia del Presidente e le fa copiare i compiti in classe di disegno. Pochi rappresentati dello Stato Maggiore del Governo, seduti a un tavolo con un gruppetto di semplici dissidenti politici, al fine di dare risposte concrete al pubblico votante, anche a quello più critico.

La vera, la più alta, la più pura rappresentazione di Democrazia e libertà di espressione.

 

Il moderatore aprì le manette che lo legavano alla valigetta ed estrasse un foglio di pergamena in pelle d’orso della tenuta del Presidente (cacciato, ucciso e scuoiato a mani nude dal Presidente stesso) recante le sagge parole che un giorno vennero pronunziate dalla Nonna presidenziale e che divennero negli anni un monito prezioso e mai divisivo per il sacro italico popolo. Egli si schiarì la voce e diede inizio alla quasi-diretta recitando con aria solennemente annoiata:

«Disse Ella», si fermò per un istante creando un certo pathos,

«Apprezzo i giovani che contestano, seeeeeee… lo fanno civilmente.»

Commozione, svenimento di un cameraman, occhio lucido di un parente presidenziale.

«E adesso, a lei la parola onorevole Pollorigido.»

Un ometto alto, stempiato e allampanato si spolverò il rado piumaggio sulla testa e esordì delicatamente con una severa ma giusta invettiva contro i costumi moderni, decretando il collasso imminente della società civile nel caso in cui il Presidente non riuscisse a mettere un freno al malcostume dell’inculaggio tra uomini, pratica deprecabile, antiestetica e contraria a ogni precetto religioso alla base della costruzione del tessuto sociale di una sana nazione in un sano equilibrato mondo nel quale si riconoscono i cittadini onesti, e sani, di questo glorioso Paese. Ammettendo per altro la possibilità di coesistenza con le animale femmine che per motivi insondabili coltivano vizio, depravazione e leccaficata. In codesta maniera, con grande magnanimità, si rende altresì palese, limpido e chiaro quanto questo Governo sia moderno, di larghe vedute e comunque due lorde insozzatrici della morale sono indiscutibilmente più gradevoli di due energumeni sollazzatori di falli altrui. Con questo discorso non si propone un auspicabile trattamento dei soggetti malati di gaytà ma si vuole solo esprimere coraggiosamente una verità della quale nessuno ha il coraggio di parlare, ma che questo Governo sente l’urgenza di rivelare: gli invertiti sono insopportabili.

Un discorso articolato e ben argomentato al quale tutto il parentado del Presidente prestò un’attenzione commossa, sottolineandone la bellezza con alcuni minuti di applausi e virili pacche sulle spalle, bene, bravo, dove finiremo se non si sa più dove infilar le cose, santo cielo!

Toccò quindi allo schieramento dei dissidenti.

Un ragazzotto paffutello dall’aspetto trasandato prese la parola e cercò le parole più gentili e educate possibili per esprimere la propria perplessità: «ma quindi le donne non le tormentate perché vi fate un sacco di film mentali eccitandovi all’idea di come fanno sesso tra loro?»

Dalle poltrone presidenziali si levò immediatamente una protesta disperata: maleducati, ci state infangando, non avete capito il discorso, ci decontestualizzate, ci volete censurare!

Il moderatore dovette ammonire gli ignobili dissenzienti e cedere il microfono a una presidenziale.

Parlò una Sorella e spiegò con quanta fatica erano riusciti a concludere accordi con il Crudelistan, prestigioso Stato alleato che contava settantamila cecchini addestrati dalla nostra meritevole Guardia del Presidente, tutti pronti a sparare a vista su ogni essere vivente con l’intento di compiere l’ignominiosa azione di migrare, anche al di sotto del mezzo metro o in braccio a un nemico più grande, o nel ventre di esso.

Si alzò una pericolosa sovversiva sui novantacinque anni, ex maestra elementare con problemi legati alla demenza senile e prese ardimentosamente la parola «quindi avete assoldato dei sicari per assassinare le persone, ivi compresi neonati e donne incinte?»

La Sorella presidenziale ebbe un mancamento di fronte a tale ripugnante accusa: maleducati, ci state infangando, non avete capito il discorso, ci decontestualizzate, ci volete censurare!

I sovversivi non capivano quanto fosse pericoloso il germe inseminatore di razze aliene, seppur apparentemente innocuo nella forma di uno scimmiotto con le guanciotte tenere, adesso fanno tenerezza ma poi quelli crescono, come i Gremlins, avete mai dato da bere a un migrante dopo la mezzanotte?

«Veramente succede spesso che i nostri alleati cecchini sparino alle loro imbarcazioni di fortuna e li facciano affogare a due metri dalle nostre coste» intervenne una donna incinta dall’aspetto trasandato.

Ma questo era troppo, quegli energumeni dissidenti non lasciavano terminare un concetto, erano arroganti e anche pericolosi, la signora era chiaramente sotto effetto di droghe e si muoveva in maniera anomala e sospetta.

«Non sono drogata, mi muovo a fatica perché sono incinta»

Una scusa sospetta, si vociferava tra i presidenziali.

E comunque la donnetta non mancava di arroganza, manifestando atteggiamenti violenti e minacciosi, se quella ci dà un colpo de panza ci stende tutti. Maleducati, ci state infangando, non avete capito il discorso, ci decontestualizzate, ci volete censurare!

Si parlò di molti argomenti, seri, importanti, fondamentali per la tenuta del tessuto sociale, sempre sotto l’occhio vigile e imparziale del moderatore. Furono necessarie diverse ore per affrontare tutti i temi presenti in scaletta, dalla necessità di studiare gli effetti avversi di un pericoloso vaccino usato dai babilonesi e tutt’ora sospetto, al ruolo dei cartoni animati giapponesi nell’ondata di violenza che travolge i bambini, i quali, invece di usare le armi d’assalto date loro in dotazione come normale materiale scolastico, le usano per spararsi vicendevolmente.

«Ma è saggio insegnare ai bambini a sparare?» chiese la maestra in pensione.

Maleducati, ci state infangando, non avete capito il discorso, ci decontestualizzate, ci volete censurare! Fu la risposta.

La giovane, esile, silenziosa Giuliana assistette a quel magistrale scambio di opinioni cercando qualcosa di educato e molto contestualizzante da dichiarare, ma non riusciva a capire come dire gentilmente a un assassino che è un assassino, a un malato sessuofobico che odia i gay perché forse i suoi genitori lo hanno sorpreso col piffero in mano e lo hanno chiuso in uno sgabuzzino per tre giorni coprendolo di improperi, che se metti in mano un fucile vero ai bambini come fossero piccoli combattenti dell’Isis sei un criminale stupratore d’innocenza, che se paghi uno Stato complice per ammazzare la gente al posto tuo puzzi comunque di sangue.

Però lei voleva essere gentile e contestualizzare. Quindi si alzò e prese la parola. «Onorevoli tutti voi che avete parlato bene, mentre io non lo so fare, per questo vi ammiro e vi invidio. Mi avete insegnato tante cose oggi.»

Ci fu un’ondata di sospiri, i presidenziali erano molto provati dalle aspre e critiche ricevute e l’aria era ormai viziata da un alone di sudore e adrenalina andata a male.

«Ho capito che “invertito” è più bello di “frocio bastardo” che invece è una cosa che dicono i cafoni della mia risma, perché io sono una persona poco acculturata e orfana di padre, e sono pure inabile al lavoro, che vuol dire che sono deficiente, dice mamma. Ma voi non lo direste mai, voi dite diversamente abile, e a me piace che non mi si dica deficiente. Grazie.»

Un presidenziale si accorse di aver perso metà della frase, immerso nelle sue autorevoli elucubrazioni (in realtà era tornato col pensiero all’immagine delle lesbiche e si era concentrato molto sulla questione) e ipotizzò che la ragazza stesse offendendo il suo schieramento. Si protese verso una Sorella e sussurrò: «ma chi sarebbe il deficiente? Con chi ce l’ha?»

«Ssssh fammi sentire, è lei la deficiente, la sto filmando col telefonino, me la voglio riascoltare prima di andare a dormire, è troppo ritardata!»

Giuliana continuò «mi piace che dobbiamo essere civili e non alzare la voce, mi piace che non si deve essere aggressivi, perché neanche io sono felice quando vedo il mio amico Jonas, che ha la pelle nera ma proprio nera, che quando si fa male al cantiere non lo portano neanche all’ospedale e il padrone, che invece è bianco, gli dice che se va in giro a parlare gli dà il resto. Io lo aiuterei perché anche se sono ignorante e non capisco, comunque mi piace la gentilezza.»

 

Ma è proprio stupida, con gli altri è stato facile ma questa scemotta sta lavorando per noi, ci elogia, ci ama, pensavano estasiati i presidenziali.

«E poi io non vi interrompo perché è giusto non interrompere le persone intelligenti quando parlano, infatti fate bene a insegnare a noi stupidi a lasciarvi parlare. C’erano quei maleducati al comizio del Presidente, quelli erano gente della mia risma, ci ricordiamo tutti. Quelli non urlavano e non dicevano nulla, però a un certo punto hanno alzato dei cartelli e tutti li guardavano, che è come interrompere, no?»

Tutti i presidenziali apprezzarono moltissimo questa difesa non richiesta, sì giusto, ne stavo parlando proprio ieri a cena, dicevo, se tutti si mettessero a sventolare cartelli durante una riunione di lavoro sarebbe il caos! Che diamine! La deficiente ha ragione.

Giuliana parlava già da un quarto d’ora e nessuno sembrava intenzionato a interromperla.

«Poi gli ignoranti si lamentano, eh la Digos arriva e li porta via, non si sa dove e non si sa più nulla, ma quando uno perde il filo del discorso, un discorso importante da fare a tutta la nazione, poi come si fa? Giusto? Io lo so perché a noi poveri di cervello succede che se una cosa ci distrae non ci ricordiamo più cosa dicevamo e… cioè…»

Un silenzio carico di preoccupazione, l’attesa.

«vi scordate ciò che stavate dicendo, quando vi interrompono!» suggerì prontamente uno zio presidenziale, incitandola a continuare.

«Sì, infatti. Poi cosa scrivevano? “Ama il prossimo tuo”» riprese Giuliana, scandendo la frase proprio a favore di telecamera, «e che vuol dire? Che c’entrava con quegli accordi col Crudelistan per sparare ai migranti? Io sono stupida però ho fatto il catechismo…»

Si sollevò un leggero brusio di approvazione, brava la nostra deficiente, timorata di Dio, proprio il tipo di elettore che piace a noi.

«E al catechismo…» sembrò perdersi per un attimo, dalle sedie dei presidenziali qualcuno sussurrò un suggerimento “hai studiato cosa vuol dire Ama il prossimo tuo”, un collega gli rivolse un sorriso complice d’approvazione.

«Sì, al catechismo ho imparato che Gesù mica parlava di migranti, e no, quella era un’altra cosa.»

«E cosa intendeva, ragazza?» lo interrogò una sapiente Sorella.

«In Verità, ecco, vi dico, Gesù parlava di tuuuuutta l’umanità» dichiarò solennemente Giuliana allargando le braccia, come se volesse includere il mondo intero dentro un abbraccio.

Il silenzio adesso era totale, i sacerdoti presidenziali erano in attesa di comprendere quella frase, dicci di più, sapiente deficiente.

«Ma non intendeva l’amore come lo intendiamo noi, no. Non voleva dire che dovremmo amare più gli altri che noi», i saggi approvavano, no infatti, pure io sono sempre stato perplesso su questo punto, vedi che avevo ragione a dire che non intendeva questo? Dicci o sapiente deficiente, dicci…

«Considerate il verbo amare come se fosse sopportare, cioè, provate a sostituirlo. Allora, gli altri invadono continuamente il nostro spazio vitale: famigliari, colleghi, compagni di classe, amici, sconosciuti, ci siamo? Mi seguite?», sììì, continua… «allora Gesù ci suggerisce di sopportare ciò che ci irrita negli altri, non di innamorarci di chi ci arreca un danno o ci fa arrabbiare. Più l’offesa o l’irritazione che ci infliggono è grande, più è grande il nostro impegno e quindi il nostro valore. L’equivoco sta tutto nell’aver frainteso in senso del verbo, capite, fratelli?»

Una sorella presidenziale sollevò timidamente la mano, Giuliana le fece segno di parlare, dimmi sorella, parla pure, non avere timore.

«Ma tu come sai tutte queste cose, saggia deficiente?»

Una vibrazione sembrò scuotere il sinedrio.

Giulia sorrise e il suo sguardo luminoso fece una carrellata su tutti gli astanti, sollevò leggermente un braccio col palmo della mano rivolto al cielo come per invitare l’interlocutore ad avvicinarsi e disse:

«Mt 28,20».

Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“un dipinto ad olio che ritrae una foto di un presidente che cavalca uno stallone senza sella”