Leggere, scrivere, leggere
C’è un amico che ammiro molto: legge tantissimi libri e non ne scrive nessuno.
E quando, dopo aver discusso dei titoli che più ci hanno conquistato, dal suo appartamento mi sposto nel mio, penso alla mole di libri che mi circonda. Casa ne è infestata.
Stipo testi negli armadi, creo pile di romanzi che cascano sul letto. Mediamente, ne leggo un paio a settimana. Otto al mese. Novantasei in un anno - diciamo un centinaio. E mi chiedo: quanti ne leggerei se non scrivessi? Leggo in metropolitana e nelle pause di lavoro, sul tapis roulant della palestra; leggo se sono triste, lo faccio quando sono felice.
Ma se non avessi la necessità di scrivere, sarei così affamato di scrittura?
Cercherei di afferrare il perché di una storia e del modo scelto dall’autore per raccontarla? Mi chiederei cosa l’ha costretto a ficcarsi in certi guai? E quale emozione chiave l’ha guidato, quante volte ha riscritto il primo capitolo: la notte riusciva a prendere sonno?
Ci sarebbe in me quella urgenza di capire?
Si potrebbe dire che guardo tanti film senza l’ambizione di volerne realizzare uno, ma questo non risolve la questione. Per un film servono risorse e conoscenze che non possiedo. La scrittura invece è una cosa che può fare potenzialmente chiunque. E poi il cinema, che è arte di visione e di ascolto, ha molto in comune con la narrativa. Forse guardo tanti film perché mi sono d’aiuto.
Un episodio accaduto a lavoro mi è venuto allora in soccorso.
A volte mi trattengo coi clienti per parlare di libri. Con una in particolare l’appuntamento è quasi quotidiano. Lei – donna adorabile e concreta – dopo aver chiacchierato con me ha parlato con una seconda persona nelle vicinanze.
Le ha detto che con Daniele si parla di libri, con lei si parla di vita vera. Credo che questa affermazione, utile a stemperare la tensione lavorativa, nasconda una credenza diffusa: che i libri appartengano al campo dell'astratto e siano ben lontani da quello concreto della vita nella quale ogni giorno, con fortune alterne, ci imbattiamo. Con una certa sicurezza mi sento di sostenere che i libri sono la vita vera.
Ponendo l’esistenza sotto una precisa lente di ingrandimento, la chiariscono. Sono quindi strumenti di vita e rivelano verità che, personalmente, da solo forse potrei soltanto intuire e il più delle volte trascurare. Se rifletto ad alcuni titoli letti di recente, come Invernale di Voltolini, La sindrome di Ræbenson di Quaranta, Ultracorpi di Francesca Marzia Esposito, capisco di aver afferrato parti di me grazie a loro. I libri ci rendono più attenti a ciò che abbiamo intorno e dentro di noi, e aiutano a comprendere noi stessi e di conseguenza gli altri. A tracciare le coordinate del gioco dell’esistenza.
Ci insegnano a stare in silenzio, ad ascoltare. A guardare qualcosa cercandone il suo cuore profondo. I libri ci svelano i principi dell’amore. Ci spingono a perdonare. L’amore – e il dolore – di mia madre senza i libri non avrei potuto comprenderlo. E avrei dimenticato mio padre più in fretta. I libri rendono realmente più intensa la nostra esperienza di vita, mettendoci in contatto coi suoi misteri.
E questo è il tesoro più importante di cui ci fanno dono.
Il bisogno di scriverne è solo uno degli innumerevoli straordinari effetti scaturiti.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto nello stile di Dalì di una stanza piena di libri ovunque”