Inizi
Quando scrivo mi piace fumare tabacco rollato. Il bicchiere di plastica che riempio di acqua prima di iniziare a scrivere con il passare delle ore si inzuppa dei rimasugli di filtri sbavati e ingialliti. Dovrei comprare un posacenere e tutte le volte che mi appresto a scrivere mi prometto di comprare un posacenere. Mi diverto a trafiggere il bicchiere con la sigaretta accesa e le combustioni della plastica mi fanno pensare alle combustioni di Burri il pittore e pensare a Burri il pittore mi fa pensare all’amico Antonio D’Apollo detto il Burri. Abbiamo lavorato insieme per sei mesi in un villaggio turistico. Dopo poche settimane dall’inizio della stagione gli era stato affibbiato questo soprannome perché quando trombava gli si rompevano sempre i preservativi.
Quei preservativi rotti, che mostrava per vantarsi della sua virilità, avevano ricordato ad uno studente di un’Accademia di belle Arti che lavorava come scenografo per gli spettacoli serali, le plastiche bucate del Burri. Da quel momento Antonio d’Apollo divenne per tutti Antonio d’Apollo detto il Burri.
Ho spesso pensato di scrivere una raccolta di racconti erotici attingendo dalle bassure del sesso dei villaggi turistici. Quando facevo l’animatore ho incontrato vergini in cerca di un qualsiasi pisello pur di terminare la vacanza estiva con l’imene rotto. Ho incontrato signore di mezza età fuggire dai propri mariti durante la notte per potersi fare sodomizzare, nei camerini dello squallido teatro del villaggio, dall’animatore conosciuto la mattina in spiaggia. Ho visto molti piselli cercare un po’ di gloria in orge e festini a tema, sempre male organizzati e di certo poco gloriosi. Ho assistito a violenti pestaggi e curato nasi sanguinanti perché quando c’è di mezzo la figa succede sempre qualche casino. Sarebbe di certo buon materiale per una raccolta di racconti erotici.
Prima di dedicarmi a tempo pieno alla scrittura, oltre alla stagione estiva come animatore turistico, ho fatto molti lavori: il pony sushi per un ristornate giapponese, il cameriere per un kebabbaro pakistano, il postino in bicicletta per una green startup, lo spacciatore. Per un paio d’anni ho anche lavorato per una società di trasporti di opere d’arte. Tirando le somme voleva dire fare il facchino di opere d’arte, che voleva dire fare il facchino sapendo che se disgraziatamente rompevi qualcosa ti rovinavi la vita. C’erano le assicurazioni del caso, ma chi si fida delle assicurazioni? Trasportavamo soprattutto arte moderna e a proposito di Burri mi è capitato spesso di trasportare dei Burri che ho trasportato fino a quando al capo non gli è esploso il cuore nel petto. Quando gli è venuto l’infarto, il capo lavorava trasportando opere d’arte per dodici o venti o trenta ore di macchina al giorno, dall’Italia alla Francia e dalla Francia all’Italia, dall’Italia al Regno Unito e dal Regno Unito all’Italia, dal nord Italia al sud Italia e dal sud Italia al nord Italia. Il capo, che è sopravvissuto all’infarto, trasporta opere d’arte da ventidue anni per pinacoteche, musei, gallerie e collezionisti, facendo andata e ritorno da Milano a Parigi e da Parigi a Milano, da Milano a Londra e da Londra a Milano, da Milano a Napoli e da Napoli a Milano. Il cuore non ce l’ha fatta, ma gli abbiamo salvato la vita io e gli altri facchini di opere d’arte. Eravamo a bordo autostrada e abbiamo improvvisato una rianimazione che gli ha salvato la vita. Ho recentemente incontrato il capo all’inaugurazione di una mostra d’arte contemporanea e mi ha raccontato di aver ripreso il suo solito tram tram dall’Italia alla Francia e dalla Francia all’Italia, dall’Italia al Regno Unito e dal Regno Unito all’Italia, dal nord Italia al sud Italia e dal sud Italia al nord Italia. Il capo è uno di quegli uomini che si sono costruiti da soli. Guidava le ambulanze a Napoli, poi si è trasferito a Bergamo e dal fare il magazziniere per la pinacoteca della città è diventato unico titolare dell’azienda che oggi si occupa del trasporto e degli allestimenti di importanti opere della storia dell’arte. Il capo è uno stacanovista che trasporterà opere d’arte da Milano a Parigi e da Parigi a Milano, da Milano a Londra e da Londra a Milano, da Milano a Napoli e da Napoli a Milano fino a quando il cuore non gli esploderà di nuovo nel petto.
É stato in quel periodo, dopo aver lasciato il lavoro come facchino di opere d’arte, che ho iniziato a scrivere poesie. Scrivevo a matita su un piccolo taccuino e ricordo che quando cancellavo con la gomma, stropicciavo il foglio e quindi strappavo il foglio dal taccuino.
Iniziai con lo scrivere una poesia sull’infarto del capo.
Scrivevo durante la notte con l’abat-jour accesa sulla scrivania. Più che illuminare ciò che scrivevo mi impediva di addormentarmi ancora prima di averci almeno provato a scrivere qualcosa che avesse un senso. Non ricordo di aver scritto in quel periodo qualcosa che avesse un senso e ad ogni modo quel taccuino si è perso negli anni e così ho perso anche la poesia sull’infarto del capo. Scrivevo in una stanza di un appartamento che condividevo con degli amici. Anche loro si sono persi negli anni. Quando ho iniziato a scrivere mi sono immaginato di diventare uno scrittore impegnato nello scrivere sui grandi temi dell’esistenza, magari legato ad una sedia come Leopardi e invece mi ritrovo oggi sdraiato a letto, con il computer incastrato tra le pieghe del piumone Ikea, a scrivere mediocri racconti e a pensare che è davvero arrivato il momento di comprare un posacenere.
Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop
“dipinto ad olio di un bicchiere di plastica usato come posacenere con delle sigarette di tabacco rollato dentro”