Mi merito il meglio

Quando i miei cugini si fissano su qualcosa, non c’è modo di togliergliela da quelle teste impomatate. Certe case, come questa, sono uno specchietto per le allodole. Noi dovremmo saperlo bene, visto che siamo nel settore da sempre.

Capita di fare degli errori, specie con le ville in campagna: in quelle zone non bisogna per forza passarsela bene per avere una casa indipendente. Voglio dire, costano poco più di un appartamento. Perciò qualche volta un ladro prende delle cantonate, entra in una casa e scopre che non c’è niente di interessante da rubare. In casi come questo, si deve accontentare di qualche collana d’argento e poco altro.

Noi siamo concentrati sui furti nelle ville di provincia. Ogni banda che si rispetti deve avere una propria specializzazione, è un modo per non pestarci i piedi a vicenda, ma anche per essere più efficienti e concreti. Nel lavoro, come in tutto, devi saperti organizzare, soprattutto in un campo competitivo e pieno di dilettanti improvvisati, come quello dei furti ai privati. 

Il nostro reddito proviene tutto da lì. Un paio di noi arrotondano con qualche altra attività più o meno legale, ma si tratta perlopiù di hobby personali. Una volta alla settimana ci riuniamo per parlare di come vanno le cose e per scambiarci informazioni.

Frequentare i bar e le piazze di paese per noi è vitale, perché si scoprono sempre cose utili: nuovi arrivati da tenere d’occhio, un imprenditore che ha appena comprato una casa, un defunto che ha lasciato al nipote una piccola fortuna, il dottore che è in vacanza alle Maldive con la moglie. Ecco perché adoriamo la provincia, qui la gente sa tutto di tutti.

La nostra è un’attività a conduzione familiare. “Il Cencio” è mio cugino ed è veloce come un fulmine. Vi giuro che potrebbe svuotarvi casa in meno di un’ora, è uno dei migliori sulla piazza. Gli avevano anche proposto di aggregarsi a qualche banda più strutturata, di quelle che si muovono soprattutto in città e dove c’è un team di specialisti per ogni cosa: appartamenti, ville, aziende, automobili, carburante, ecc. Ma per lui quelli sono degli esaltati e preferisce continuare con noi. Secondo me, anche perché con loro non potrebbe permettersi certi colpi di testa; qui invece fa quello che vuole e la fa da padrone.

Poi c’è mio cugino: “Il Corto” non supera il metro e cinquanta; riesce a passare dai posti stretti e ad arrampicarsi ovunque, tanto che da piccolo lo chiamavamo “Scimmia”. Solo che a lui non piaceva e così l’abbiamo cambiato. 

“Il Lercio” è mio fratello, ma in realtà è il più curato e alla moda di noi. Si è guadagnato il nomignolo grazie alla sua passione per le puttane di strada: più sono brutte e trasandate, più gli piacciono. La sua barba è sempre rasata al millimetro, si veste come un dirigente d’azienda e si mette le scarpe laccate perfino per lavorare. Nell’organizzazione dei nostri colpi mio fratello è fondamentale perché ha un aspetto rassicurante, le signore gli sorridono e gli uomini lo guardano con ammirazione. Sembra uscito da un film di Hollywood ed è un vero talento con gli impianti elettrici e la tecnologia.

Ed infine ci sono io, il più giovane della compagnia. Per questo mi chiamano “Il Pupo”. Ho cominciato a rubare da bambino, come tutti loro, imparando da zio Paco. È stato lui a convincere mio padre a unire le forze. Guidava una Mercedes nera che mio padre gli invidiava e si era comprato una villa pazzesca, con la facciata color salmone e le statue greche bianche in giardino; così nell’estate del 1988 ci trasferimmo da loro, quando io avevo quattro anni.

Zio Paco portava i capelli raccolti in una coda di cavallo, le basette lunghe, le tute acetate con i colori più sgargianti e fumava le Marlboro rosse in ogni momento della giornata. Qualche sera, però, tirava fuori un sigaro da una confezione di legno, se lo strofinava sui baffi soddisfatto e mormorava tra sé e sé “Mi merito il meglio!”. Era il suo rituale per le occasioni speciali, significava che un colpo era stato un grande successo e che ci attendeva un racconto dettagliato. 

Mio padre non aveva lo stesso carisma, ma era affidabile e fedele: Paco era Batman e mio padre era il suo Robin. Presto siamo riusciti anche noi ad avere una villa con la facciata color crema e dei pavoni liberi in giardino al posto delle statue greche. 

Non appena noi maschi raggiungevamo l’età giusta, circa sei anni, zio Paco ci dava lezioni su come identificare le ville, su come neutralizzare i cani da guardia e su come organizzare le vie di fuga.

Paco credeva che ci fosse un solo modo giusto per fare le cose: il suo! E in effetti funzionava. Tutti noi sognavamo di diventare come lui ed ecco perché, quando i nostri vecchi decisero di ritirarsi dal giro, scegliemmo di chiamare la nostra banda “Montecristo”, in onore dei suoi leggendari sigari.

Insieme riusciamo a guadagnare quello che ci serve e anche a toglierci certi sfizi. Il Lercio, ad esempio, la settimana scorsa si è comprato un altro completo di Armani che ha pagato duemilaseicento euro. Che spreco! Soprattutto se considerate che lo indossa solo nei suoi i puttan-tour e per darsi un tono nei bar. Io mi sono fatto il fuoristrada e ho regalato una borsa griffata a mia sorella, visto che quell’idiota del fidanzato non ha abbastanza grana per farle dei regali. 

Il Cencio sta per avere il suo quarto figlio e copre i costi della famiglia al completo senza problemi. Il Corto, invece, sta mettendo da parte i soldi per qualcosa ma nessuno sa cosa sia e si rifiuta di dircelo. Insomma, gli affari ci vanno proprio bene. Purtroppo però i miei cugini si credono migliori di noi per diritto di nascita, perché loro sono i discendenti diretti del Maestro e di tanto in tanto tirano fuori qualche fantomatico segreto che Paco aveva condiviso soltanto con loro. In quei momenti vorrei tanto dirgli che non hanno un minimo di stile e neanche il giusto fiuto per gli affari. Se c’è un degno erede di Paco tra i Montecristo, quello sono io! 

È solo colpa delle loro ignoranti supposizioni se stiamo perdendo tempo con questa casa. Entrare è stato un gioco da ragazzi: il vialetto intorno era completamente buio, abbiamo posteggiato, scavalcato la staccionata, forzato una delle finestre ed eccoci qui nel loro soggiorno. È filato tutto liscio come l’olio: nessuna inferriata, nessun allarme o sensore alle finestre. 

L’interno della casa, così come il prato esterno, è molto curato, tutto è tenuto come si deve e non c’è un solo granello di polvere sul pavimento. Ci sono perfino dei fiori freschi sul tavolo. I proprietari, come ogni venerdì, hanno la cena dai parenti e si sono portati via anche il cane. Questo significa che abbiamo due ore e mezza circa prima che tornino. Un’eternità.

Il Cencio, rapido come sempre, comincia a svuotare i cassetti e gli armadi, gettando tutto il contenuto su letti e divani, per individuare cosa valga la pena prendere e cosa no. Io intanto vado in cerca di contanti, oggetti elettronici e gioielli. Quando faccio il giro delle case, il mio feticcio sono le fotografie: mi soffermo sempre a guardare le facce sorridenti delle persone, è come se mi dessero il benvenuto. Non posso fare a meno di notare quanto le loro famiglie siano diverse dalla mia; nelle loro si percepisce un benessere generale. So che troveranno un modo per riprendersi da questa esperienza, in fondo sono solo oggetti.

Il Corto ci aspetta in macchina, posteggiato davanti alla casa con le luci spente e il portabagagli rivolto verso di noi, così da poter caricare subito le borse e filarcela alla svelta.
«Che vi avevo detto? I proprietari sono dei polli, è un bluff. Qui non hanno un cazzo!» dico ai miei e faccio un calcolo veloce. 

«Un anello Swarovski da meno di cento euro, un bracciale in argento con dei ciondoli, facciamo altri cento euro a dir tanto. Una cassa bluetooth da pochi soldi, un tablet vecchio di cinque anni e cinquanta euro di contanti in tutto. Insomma, una serata sprecata».

Il mio più grande timore, quando entriamo in azione, non è che scatti un allarme o che qualcuno ci veda. È non trovare niente o quasi niente, perché è lì che scatta qualcosa nella testa dei miei parenti e si scatena una guerra infantile contro i proprietari di casa, che ci hanno lasciato a mani vuote.

Allora vedo l’espressione del Cencio che si spreme. Nel corso degli anni gli ho visto mettere in atto le peggiori “vendette Montecristo”, come le chiamano loro. Queste bestie riescono a espletare le loro funzioni corporali a comando. Stavolta il Cencio si è messo ad apparecchiare, con tanto di tovaglioli e posate, dopodiché lui e il Lercio si sono messi a pisciare dentro i calici da vino e hanno cagato nei piatti e perfino nella ciotola del cane. 

Il Cencio si è poi divertito a spaccare tutti gli oggetti che trovava, soprattutto quelli di vetro e di ceramica, sapendo che rimarranno incastrati tra le mattonelle e dietro ai mobili per settimane; non importa quanto bene puliranno, troveranno sempre dei ricordini di stanotte in qualche angolo della casa.

Per finire vedo quel gran signore di mio fratello scendere le scale piegato in due dalle risate e capisco che ne ha combinata un’altra delle sue: ha fatto una capatina in bagno, si è masturbato ed è venuto dentro la bottiglia di shampoo. Mentre lo raccontava in macchina, i ragazzi quasi si strozzavano dal ridere. Che dementi! 

Qui il mio potenziale è sprecato, da oggi dovranno fare a meno di me.

Mi merito il meglio! 

 

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Immagine generata con AI generativa di Adobe Photoshop

“dipinto ad olio che ritrae un uomo con i capelli lunghi vestito con una tuta da ginnastica colorata e un sigaro cubano in bocca”