L'attesa

Due mosche si litigano la polpa della zucca che il coltello di Dora non è riuscito a staccare dalla buccia. A mezzogiorno la casacca della divisa è tutta puntellata di macchie arancioni, ma una fila di Jack O’Lantern, una candela spenta in ogni gola, se ne sta sui gradini esterni, in mezzo al silenzio dove è più facile dimenticarsi di essere al mondo. Una mosca si sposta sul tetto di un’auto parcheggiata, l’altra continua a riempirsi lo stomaco.
Dora occupa parte del pomeriggio ad appendere nei corridoi fantasmi di carta, i corpi lunghi stuzzicadenti, nella bocca la stessa caverna buia dei pazienti dell’ultimo piano, quelli che non hanno più niente da aspettare.
I ragazzini di Trick or Treat arriveranno alle sei, dopo la cena. Due ciotole di caramelle di zucchero sono sotto chiave nella credenza. Dora ha dato disposizione alle altre di metterle sul tavolo pochi minuti prima dell’incontro e di non perderle d’occhio. Lorella e quelli del padiglione B non la preoccupano, ma Carlo – e soprattutto Antonio – potrebbero inghiottirle senza scartarle e il medico ha chiesto più volte di lasciargli festeggiare Halloween in pace, insieme ai figli. Vuole poter prendere servizio non prima delle ventidue.
Carlo è lì da meno di un anno. Quando è arrivato era scalzo, spettinato e stringeva tra le mani una bambola di pezza con un occhio solo. Lorella ha provato ad avvicinarsi per accarezzarla, ma lui se l’era portata al petto e ha cominciato a tirare calci all’aria, mentre ripeteva “Lucio è mio. Deve dormire”. Antonio se ne è stato per giorni interi a controllarlo, un sottile filo di bava ai lati della bocca e gli occhi, spalancati come quelli di un gufo, che si spostavano dalle mani del nuovo arrivato ai capelli di Lucio, sottili fili di lana color del sole.
«È un disgraziato» sentiva ripetere in corridoio e nello sgabuzzino delle infermiere. «Ha fatto fuori suo figlio fracassandogli la testa a picconate. Poi lo ha fatto a pezzi e ne ha conservato ogni parte nel  freezer. Ha pure messo l’etichetta sui cuki, ma ti rendi conto? Da brividi!»
«Speriamo non ne abbia ricordo» diceva una «altrimenti come potrebbe sopravvivere al senso di colpa?»
«Pazzesco» osservava un’altra di rimando «ha un’aria così mite. Ma chissà cosa c’è nella testa di questi poveri disgraziati.»
Antonio cosa c’è nella testa di Carlo non lo sa e non lo vuole sapere, ma quei fili sottili che pendono dal capo di Lucio gli ricordano le carote, quelle che in estate vai a scovare nei campi, ti attacchi a quei barbigli d’erba e tiri, finché la radice ti resta in mano, coperta di terra e calda, così dolce e croccante quando ci affondi i denti e succhi. Ecco, ora vorrebbe succhiarli, quei fili d’arancio.

Per Carlo, la routine è il suo bozzolo e le sagome che ondeggiano rasente il muro potrebbero destabilizzarlo. Se ne sta immobile con il corpo, ma gli occhi saettano a destra e a sinistra senza sosta, come palline impazzite di un flipper.

Dora non vuole sedarlo. È stata costretta a farlo un paio di volte, quando Carlo schioccava la lingua contro il palato, come se lo zoccolo di una mucca impazzita gli abitasse la bocca. Da piccolo lo faceva spesso. Una sera suo padre lo ha chiuso in cantina e ha inchiodato la porta. Carlo non se li leva dalla testa, quei colpi di martello: continuano a sbattere nel cervello come i rintocchi della campana.

Li sente pure ogni volta che Antonio gli chiede dov’è finita la sua bambola cenciosa.
«È orba e puzza» gli ripete in una cantilena che Carlo vorrebbe poter tagliare, come ha fatto con i piedi di Lucio, perché non scappasse anche lui, com’è accaduto con quel bambino biondo dal sorriso sdentato che si disegna ogni notte nel buio dei suoi occhi chiusi, trascinato da una donna che lo tiene per mano e bisbiglia “lo hai abbandonato… lo hai abbandonato”.
Dopo cena escono dalla mensa, come una lenta processione di formichine, e si fanno sedere sui divanetti in velluto sistemati a semicerchio nella sala della ricreazione. Alle finestre pipistrelli scoloriti e ragnatele d’argento.
Lorella gioca con dei fili d’erba: li mette in fila dal più corto al più lungo, poi dal più lungo al più corto e ricomincia da capo. Antonio apre e chiude la bocca a inghiottire aria che non ha sapore, mentre con l’indice disegna ghirigori sul cuscino di velluto su cui è seduto. Carlo si guarda intorno, ma Lucio non c’è. Ha trovato solo tre dita della sua mano destra nella tasca posteriore dei pantaloni e qualche ciuffo arancio nelle sue scarpe. Allora si controlla le orecchie e i fori del naso, ma di Lucio non c’è traccia. Cerca anche in bocca, ma trova solo un paio di mucche insofferenti.

Il campanello preannuncia passi frettolosi e un brusio di voci.
Lorella distribuisce dolcetti e carezze. Carlo, un punto interrogativo accanto alla porta, stringe un pugno di caramelle, cerca Lucio nelle fughe tra le piastrelle e ha una mandria di mucche in bocca.
Antonio offre una caramella e se ne ficca in bocca tre, insieme a qualcos’altro che teneva serrato in pugno. Fissa Carlo e un sottile ghigno gli si disegna sulle labbra.
Carlo si porta il pugno alla tempia e sussurra «Sono per mio figlio. Solo per mio figlio».
Lorella regala benvenuti. Dora sorride a tutti. Il sussurro di Carlo, piegato a ferro di cavallo, si fa grido: «Sono per mio figlio. Sono solo per mio figlio».
Antonio gli si para davanti. Tra le mani due bottoni di vetro neri. «Questi non li mangio. Mi hanno detto che gli occhi non si digeriscono. Se vuoi, tienili tu.» Un capello di lana, più sottile degli altri, gli è rimasto impigliato tra i denti. Prima di allontanarsi, infila i suoi occhi in quelli spenti di Carlo e bisbiglia «Assassino!»
Il ronzio di voci si interrompe.
«Mio figlio» Carlo ora è un fagotto di abiti vecchi sul pavimento.
Dora si avvicina e gli tocca una spalla.
Il grido ora è un lamento.
«Mio figlio, mio… figlio».
Dora lo accarezza a lungo, poi gli apre piano la mano.
«Non vuoi regalare queste caramelle ai bimbi?» gli chiede.
Carlo si ritrae e scuote il capo.
«Sono per mio figlio» spiega.
«Ok. E dov’è ora?»
«Non lo so. Lo partorisco domani».
Dora deglutisce il gomitolo di aghi che le si è ficcato in gola, stringe la mano libera di Carlo, lo aiuta a rialzarsi, lo conduce al divanetto azzurro e gli si siede accanto.
«Aspettiamolo insieme, allora».
È buio fuori. Le ciotole sono vuote, le orbite delle zucche accendono la sera e la mosca, l’addome gonfio, si posa sull’ala di un pipistrello e si strofina le zampe anteriori.

Immagine generata con DALL-E
“surrealist painting of a halloween pumpkin”