Ex e Karma
Questa mattinata sembra avere dei problemi di buffering: mi muovo come un pupazzo a molla quasi completamente scarico, mentre esco di casa per andare a fare colazione al bar: il caffè bello ristretto, il cornetto al cioccolato, gli sconosciuti che come me mangiano e si rifocillano di caffeina – e, se è possibile, non hanno per niente voglia di comunicare, men che meno con me – completano il mio rituale di risveglio. Senza (ad esempio, se qualcuno mi parla prima delle dieci, o prima di aver mangiato, o prima di aver mandato giù il caffellatte) sono capace di fare un esposto all’AIA come lesione dei diritti umani.
Il barista ormai è abituato alla mia presenza, mi serve ciò che voglio senza neppure chiedere.
Faccio il calcolo mentale delle cose che devo fare: incontrare due clienti, compilare le fatture di questa settimana e quelle arretrate della scorsa, fare la spesa, passare in farmacia.
Esco dal bar e mi accoglie un’aria fredda che tra qualche ora si riscalderà fino a farmi illudere che non sia ancora autunno. Lascio scivolare gli occhiali lungo la fronte, di modo da proteggermi gli occhi da questo sole che non è fortissimo, ma sono sveglio da venti minuti e ogni raggio di luce sembra avere sulle mie retine lo stesso effetto che ha su un vampiro. Controllo l’ora e decido di passare in farmacia.
Le strade della mia provincia sono percorse perlopiù da donne, pochi uomini quasi tutti che si muovono a passo svelto, a volte col cellulare all’orecchio: sembrano sapere esattamente cosa fare, dove andare, come se avessero un perfetto schema da seguire e rispettare. Le donne no: hanno spesso un aspetto stanco e sembrano muoversi come se stessero seguendo un senso istintivo che le rende consapevoli di ogni minima azione senza che debbano portarci l’attenzione.
A pochi metri dalla farmacia incontro Sara.
Sara: pettuta frequentazione dei miei diciotto anni, un seno florido, grande, imponente e reale attorno al quale prendeva forma una ragazza minuta, dagli occhi verdi, con un particolare talento nel fare litigate stupide, fortunatamente compensato da una sapiente abilità nel sesso orale – lento, profondo, salivato, insomma, una di quelle che a diciott’anni guardi con un mistico senso di commozione: Oddio ma le piace proprio, come nei film porno!
È impegnata a infilare un passeggino in auto, mentre sgrida un uomo che tiene per mano un bambino in lacrime. Onestamente, farei finta di non vederla se i nostri occhi non si incrociassero indugiando in modo così evidente. «Ciao» mi dice, lasciando stare il passeggino.
«Ciao» la saluto. La grandezza del seno è stata raggiunta dalla pancia, che potrebbe contenere al suo interno un bambino o un un eccessivo accumulo di lipidi – in questo caso meglio non fare nessun accenno, così, per rimanere sul sicuro ed evitare ogni possibilità di figura di merda. “Come va?”
«Bene, bene e tu?». I capelli arruffati, tinti abbastanza tempo fa da far notare la ricrescita bianca, le rughe innaturali per una ragazza che oggi dovrebbe avere ventisei anni, i vestiti sciatti: è una composizione estetica di decadenza, aliena la sua individualità per diventare stereotipo, l’icona più ovvia per rappresentare quel deperimento che a noi gente insensibile fa esclamare cose tipo: «Mamma mia, che fosso che mi sono scansato!».
Sara mi scaricò dicendo che non ero alla sua altezza, che lei poteva avere ragazzi più belli e più simpatici. Mi presenta il marito: stempiato, con la pancetta, un volto segnato da rughe di stanchezza, probabilmente le stesse con cui è andato a letto ieri sera. Gli stringo la mano: molle, quasi senza vita, appiccicosa come se avesse la colla di pesce al posto del sudore.
Sara mi scaricò dicendo che valevo molto meno di lei, che lei poteva avere chiunque e una che può avere chiunque mica si mette con uno come me, sarebbe da pazze. Io, a quell’affermazione, mi limita a mandarla a tirare i soffocotti – cosa che ha sicuramente eseguito con particolare perizia.
Scambio qualche parola col marito, senza riuscire a controllare i muscoli del viso che mi fanno contrarre le labbra sino a comporre un sorrisetto stronzo e soddisfatto che proprio non riesco a togliermi dalla faccia.
«Ti vedo bene» dico ad un tratto a Sara – sono finto come una banconota da dodici euro e cinquanta.
Quante sono le frasi stupide che possiamo dire a gente che abbiamo cancellato dalla nostra vita?
Ci penso dopo, quando Sara è ormai alle mie spalle che prova di nuovo a far entrare il passeggino nell’auto: parliamo sempre delle persone del nostro passato, quelle che ci hanno segnato, quelle che abbiamo amato, che abbiamo amato sino ad odiare, quelle che ci hanno fatto del male, quelle che ci hanno fatto crescere, quelle che ci hanno fatto passare alle droghe pesanti, quelle che ci hanno fatto marcire il fegato, quelle per cui abbiamo scritto poesie e canzoni, quelle che ci hanno fatto rimpiangere di non saper suonare, quelle che volevamo prendere a pugni, quelle che volevamo baciare sino a farci seccare labbra e lingua, quelle che avremmo voluto baciare sino a prosciugarne completamente i genitali.
Eppure ci sono delle persone che sono esattamente nulla: Sara è una di queste. Non mi ha lasciato neppure un segnetto, se non il ricordo dei suoi seni stretti attorno al mio cazzo. E, malgrado si tratti di un ricordo tutt’altro che spiacevole, cerco di capire come diavolo sia possibile che di lei mi resti solo questo: una volta abbiamo riso insieme? Una volta siamo rimasti ad ascoltare una canzone degli Smiths in silenzio? Una volta abbiamo parlato di un film? Probabilmente non è accaduto un bel niente di questo e se è accaduto era così privo di valore che non ha senso ricordarlo.
Tutto ciò che l’incontro con Sara mi lascia è questo sorriso soddisfatto, perché non importa quello che hai provato per una donna, se l’hai amata o è stata un semplice parco giochi per i tuoi orgasmi, se però ti ha lasciato lei speri solo in una cosa quando la rincontri: che stia peggio di te. Non deve per forza stare male, avere una vita disastrata o qualcosa di grave, basta che se qualcuno vi mettesse a confronto decreterebbe che, tra i due, quello messo meglio sei te.
Mi specchio di fronte ad una vetrina, sono decisamente meglio di come ero a diciotto anni: ho un buon lavoro, un bell’aspetto, mi considero abbastanza simpatico, faccio perlopiù cose che mi piacciono, ho un discreto successo col gentil sesso e un buon numero di amici con cui fare serate di bagordi quando l’età si fa sentire in modo troppo prepotente. Certo, potrei essere più alto ma ho le spalle larghe, certo potrei essere più in forma ma negli ultimi anni sono dimagrito di trenta chili, ho le occhiaie e la barba lunga perché mi rompo di rasarla… malgrado questo, però, lei sta messa veramente male. Indosso un jeans, una maglietta con l’immagine del batman interpretato da Adam West e una camicia a quadroni. Posso dirlo? Mi sento moderatamente figo.
E la cosa, in modo così stupido immaturo e vuoto, mi fa sentire decisamente meglio. Cammino a mezzo metro da terra sollevato dalla mia vanità e mi sorprendo anche di essermi completamente svegliato. Entro in farmacia e dietro il bancone trovo la farmacista bionda, quella carina. La pelle è ancora tinta del colore dell’abbronzatura che sta cercando di fare il possibile per non abbandonare il corpo e, sotto il camice bianco, indossa un vestitino giallo che le arriva alle ginocchia.
Sia ben chiaro, non sono il tipo che ci prova in questi casi, ma trovo gradevole rivolgermi a lei, osservarla sorridere, notare il modo in cui i capelli sono portarti dietro, in una coda di cavallo che mette in mostra un viso raggiante, dai lineamenti morbidi.
Se fossimo in un film io della farmacista bionda sarei già completamente innamorato. E, invece, tuttalpiù mi piace chiederle di prendermi il Moment act e il colluttorio, facendo una battuta sul tempo, sui vecchi che rompono i coglioni… sapete quel minimo di flirting che non vale nulla ma fa sempre piacere.
Quando si volta per prendermi ciò che le ho chiesto, mi sporgo in avanti per guardarle meglio le gambe: non sono magrissime e sono delineate di modo che si possano distinguere i muscoli. Quando torna sono ancora lì ad osservarle, chiedendomi se fa qualche sport o è più tipo da andare in palestra a fare sala. Sto quasi per chiederglielo, quando scopre il mio sguardo insistente. In quel momento il sorriso che aveva si spegne, mi osserva, punta ogni centimetro del mio corpo e poi mi chiede: « Posso farti una domanda?»
« Certo» rispondo.
«Ma mi spieghi come si fa a trent’anni a mettere ancora la maglia di Batman?»
«Ma è quello degli anni settanta» che è un po’ il mio modo nerd per dire che non è un semplice Batman.
Lei allora solleva lo sguardo al cielo, alza le sopracciglia e batte il conto sulla cassa.
Quando esco dalla farmacia, il Karma è poggiato proprio accanto la porta scorrevole, di fianco al distributore dei preservativi. Ha le fattezza del giudice Santi Licheri di Forum e mi dice: «Hai voluto fare lo stronzo e ben ti sta!»
Io non dico niente, fingo indifferenza ma lui mi segue: «Io ti faccio incontrare una vecchia fiamma e tu l’unica cosa che sai fare è essere contento perchè è diventata un cesso e ha sposato uno sfigato».
«Veramente io non la metterei giù in questo modo, è offensivo».
«Bè» si passa la mano tra i radi capelli, manco fossero una lunga chioma indomabile. «È la vita ad essere offensiva. Ma lo sai che il marito ha il cazzo con la curvatura verso il basso?»
«Veramente? Non so se mi fa schifo o vorrei vedere una cosa del genere. E a lei piace?»
«E che ne so io!» esclama quasi urlando. Poi, con fare più calmo: «Scusa, è che ho smesso di fumare.»
«Aspetta un attimo però» torno indietro di qualche frase. «Mi vuoi far capire che se non avessi pensato a tutte quelle cose su Sara, la farmacista non mi avrebbe trattato come l’uomo più patetico del mondo?»
Il Karma sorride: «Più o meno… a trent’anni vai ancora in giro con Batman, che ti aspetti, che le donne ti guardino e pensino oddio, volevo farmi suora ma ora che lo vedo ho riscoperto i miei ormoni?»
«In effetti…»
«Dove stai andando?»
«In salumeria».
«Vengo con te, che non ho niente da fare stamattina.» Poi prende dalla tasca una gomma, se la porta alla bocca e comincia a masticarla freneticamente. «Non te ne offro una perchè sono gomme alla nicotina. Ma, se proprio devo essere sincero, fanno solo venire voglia di fumare».
«E comunque la mia maglia è bellissima» provo a chiosare.
«Ma sì che è bella, non te la prendere. È che hai trent’anni e vai in giro con Batman sulla panza, è quello il problema…»
Immagine generata con DALL-E
“an oil painting of a 30-year-old boy with a Batman shirt under his sweatshirt that stands in front of the counter of a pharmacy”