Due gocce d'acqua

Bastano due gocce d’acqua e questa città si blocca. 

Alberto indica il cielo mentre lo dice a suo figlio. Nicola guarda in basso e la luce del telefono gli brilla negli occhi. È intasata persino la corsia di emergenza dalle code dei furbetti che avevano provato a rubare il posto agli altri e si erano inesorabilmente ritrovati impilati in una coda anche loro.

«Sai cosa mi ricorda» chiede Alberto a Nicola. Nicola scuote la testa; allora Alberto si siede meglio sul suo sedile senza staccare le mani dal volante, inspira e tira su gli occhiali da sole che erano scivolati sulla gobba del naso, «Mi ricorda un trombo».

 

Voglio una vita che non è mai tardi

Di quelle che non dormono mai.

 

«Sai cos’è un trombo» chiede poi, per destare l’interesse di suo figlio. Lui non parla, scuote di nuovo la testa e invia l’ennesimo messaggi. Di nuovo il rituale di Alberto prima della risposta, «Un coagulo» breve attesa. «Sono le piastrine del nostro sangue che si incollano ai vasi danneggiati per impedire emorragie. Sai come si formano, le piastrine?»

No.

«…Esistono queste cellulone che si chiamano megacariociti, e infatti mega in greco vuol dire grande, e carios è la cellula. Nascono nel midollo osseo e poi si differenziano in base a degli stimoli esterni, come la rottura di vasi sanguigni…»

Ora sorride, ma Nicola guarda ancora in basso: «Non è fighissimo, questi detriti di cellule che si appiccicano sulle vene danneggiate per salvarci la vita», guarda dritto davanti a sé.

In effetti, oltre al rosso delle luci di posizione del retrotreno delle auto si vedono pochi altri colori. Il cielo è grigio perché riflette l’asfalto e l’asfalto è l’anima del Raccordo, che poi è l’anima di Roma. Anzi, la sua vena principale.

«Ti piaceva tanto sapere queste cose quando eri bambino». Nicola guarda avanti mentre lo dice.

«… non sono più bambino».

«La curiosità è importante anche a cento anni. Bisogna essere curiosi».

«Se lo dici tu».

«Domani ho un audit su questa roba e ho dovuto imparare la malattia come fossi un medico».

«Non so cosa sia un odi».

«Una visita che facciamo noi del reparto qualità per assicurarci che lo staff stia gestendo bene lo studio».

«Ah».

«Domani lo facciamo per uno studio sulla trombosi venosa profonda molto promettente, come questa mattina di traffico…»

«Ah».

In effetti, Alberto non se l’era mai ammesso, ma immaginava Roma proprio come un enorme trombo. 

Sbuffa, litiga con la radio da qualche giorno. Da quando ha iniziato a fare quel casino con le frequenze, a togliere Vasco e mettere Inforadio che proprio non c’entra niente. 

«La morsa di gelo che avvolge l’Italia intera non da segni di attenuamento, previste nevicate forti anche a bassa quota, Firen-»

«L’ha rifatto» indica il cruscotto e parla con suo figlio, «Questa bastarda, non capisco cosa abbia». Tocca pulsanti a caso, non c’entrano niente con la buona funzionalità quanto più con quella forma di controllo che Alberto si era imposto già prima della laurea. Gli sembra impossibile che una macchina possa disubbidirgli. Meccanico dei miei maroni, quando si lasciava andare del tutto.

 

Voglio una vita spericolata,

Voglio una vita come quelle dei film

Voglio una vita esagerata

Voglio una vita come Steve McQueen

Voglio una vita che non è mai tardi

Voglio una vita, la voglio piena di guai.

 

«Vedi come fa, ormai?» gli occhi alla radio. «Mi salta i pezzi belli». Nicola mugugna, non toglie mai gli occhi dal telefono e lì dentro si nasconde ancora. 

Alberto volge gli occhi alla strada, resta un inerme e immobile mare di luci rosse se guarda davanti. Nel senso opposto di marcia, invece, le luci sono ferme alla stessa maniera, ma sono bianco latte e somigliano molto di più al riflesso di un cielo che non a un coagulo all’interno di una vena.

Motori che, malgrado la sosta, ronzano nell’aria i prodotti di scarto della combustione della benzina. L’auto di Alberto no, quella ha imparato una lingua nuova per comunicare con il conducente e soffia quando usa il GPL, per distinguere da quando usa, invece, benzina. «È ‘na ventola» gli aveva spiegato Arturo, «Te costa più mettella a posto che abituatte che la macchina tua è poliglotta».

«Ma in che senso». Quello si era lavato le mani a un panno cencioso, l’aveva posato sul carrellino degli altri attrezzi unti di lavoro e olio di gomito, e poi aveva sputato per terra. «Che nun te la posso ripara’ io, serve l’assistenza e te ce vojono quindici giorni pe fa’ arriva’ il pezzo nuovo.” Si era preso una pausa, “Che volemo fa’, ingegne’?»

Alberto si era chiuso nelle spalle e ora usa quella politonia della sua auto per capire se stia andando a benzina o GPL.

È in quel momento che Alberto lo realizza, però. Quando ripensa ad Arturo il meccanico, al suo ti attacchi al cazzo velato dal panno cencioso: la macchina non soffia, ronza. Va a benzina! 

Guarda il contachilometri: 487km

«Nicola sai che mi imbestialisco, hai fatto gas ieri?» suo figlio mugugna. «Il pieno?” mugugna di nuovo.

«Hai messo la macchina a benzina, però, per quanto tempo?»

«Pe’ forza papà» apre le mani come stesse recitando il Padre Nostro, «Me l’hai lasciata a secco.”

«Per quanto tempo?»

«Non lo so, mi sono scordato di azzerare».

Alberto guarda le luci rosse delle auto davanti, non si è mosso nessuno e sembra passato così tanto tempo. Non ricorda nemmeno più se stesse ancora in prima o se avesse messo folle per qualche strano motivo dei suoi.

«So’ andato da Chicco, poi abbiamo fatto un giro in centro… saranno quaranta chilometri in tutto: andata e ritorno».

 

Oppure non c’incontreremo mai

Ognuno a rincorrere i suoi guai

 

«Nicola ma sei un guaio, dai, però». Arrende entrambe le braccia al centro delle gambe, Nicola lo guarda perplesso. «Rimaniamo bloccati qui senza carburante, mi costi trecento euro di carroattrezzi, ma dai».

Nicola sbuffa, sfotte queste manie di suo padre, poi torna al suo telefono. Lo accende, verifica lo stato di carica. Apre il cruscotto e tira fuori un cavo; lo attacca alla presa dell’accendino e poi al suo telefono.

«Sì certo, tanto ne abbiamo a vendere di energia». Alberto stacca la presa dall’accendino.

«Ma sei fuori?»

«Nicola quanti chilometri hai fatto ieri…?»

«Ma che ne so, una quarantina… Quasi».

«Quasi, quasi,… Sai che ero quasi diventato Presidente del Consiglio… Nella vita ci vuole precisione Nicola, accuratezza».

«Va bene, ma parti, che si sono mossi davanti».

 

Voglio una vita maleducata

Di quelle vite fatte così

Voglio una vita che se ne frega

Che se ne frega di tutto sì.

 

Le auto che si muovono lo fanno di soppiatto; strisciano sopra l’asfalto stando attente che ogni centimetro di gomma aderisca per bene. Precisione, una voce, accuratezza.

Una compagine di metallo che avanzava convinta verso lo stesso obiettivo, perdendo pezzi qua e là, come i megacariociti, e acquisendone di altri; rossi, scarlatti, un pugno nell’occhio. E proprio a quello servivano

Quando l’ingorgo sparisce le macchine iniziano a correre come ci fosse un premio da acchiappare, smettono di esistere le regole del codice della strada quando si sblocca il Raccordo; Alberto si mette al centro delle tre corsie e attiva il cruise control: «120 e arriviamo al prossimo distributore spendendo meno possibile».

Il Raccordo è un posto magico e il traffico appare e scompare alla stessa velocità. Ora viaggiano a 120 all’ora e Alberto tira un sospiro di sollievo. Sa che la macchina da ferma non consuma, anche se accesa, ma meglio muoversi a fare questi dodici chilometri.

«Quanto dista Nic?»

«Che?»

«Il distributore… di GPL».

«Che ne so io, mi hai staccato il caricatore».

«Attaccalo», Alberto sbuffa prima di accondiscendere alla velata richiesta del figlio. Nicola sorride, sistema il ciuffo biondo che cura con maniacale impegno da settimane dietro l’orecchio. Attacca il cellulare e poco dopo dice monotono: mancano tredici chilometri, e rivolto verso l’auto, pensi di reggere.

Suo padre ride. «Metti un po’ di musica…»

«No, fa i capricci più di te quand’eri neonato… mi ricordo quella volta che ti era venuta la febbre e sono stato tre notti in fila a farti gli impacchi freddi sulla testa con tua madre che diceva che erano sempre troppo freddi, ma tu piangevi tanto».

«Non erano capricci, stavo male… e comunque, ero neonato, come posso ricordare?»

«Hai ragione… comunque ho preso tre giorni liberi per starti vicino ora che mamma aveva impegni di lavoro».

«Davvero?» Alberto fa sì con la testa. “Eri mio figlio… cioè, sei, mi è venuto spontaneo farlo».

«Non l’hai più fatto poi».

«Sono una merda, lo so», gli occhi guardano avanti. «Mi sono fatto prendere dal lavoro e le promozioni in azienda, mi hanno chiuso in una bolla di vetro: vedevo fuori, ma non potevo interagire con voi».

«Che vuol dire?»

Il mare grigio si tinge di rosso di nuovo. Alberto preme il freno e la macchina rallenta fino ad arrestarsi; una nuova sosta.

 

Who knows?

Not me

I never lost control

You’re face to face

With the man who sold the world

 

«Ti piacciono I Nirvana?»

«E per chi credi siano questi capelli…?»

«Sai a quanti anni è morto».

«Siamo coetanei».

«Da qualche giorno, sì».

«Sai che anche io quando ero più giovane e avevo i capelli volevo che mi crescessero lunghi?»

«No».

«Be’ è così, e pensa che volevo somigliare a Jimmy Page».

«Ascoltavi i Guns?”

«Io e tua madre ci siamo conosciuti a un loro concerto».

«Non lo sapevo».

«Già».

«Il rock è morto dopo Kurt, comunque».

«Non è vero, dai ce ne sono stati di bravi dopo». Nicola si gira e guarda il padre.

«Tipo?» è una sfida, ma sorride Alberto. Anche Nicola.

«Eh, ma non mi vengono così su due piedi, ma se apro spotify te ne trovo dieci bravi dopo i Nirvana».

«Vai, trova». Nicola si butta sul telefono, ma non per nascondersi. Scorre la lista delle canzoni, legge i nomi ad alta voce e suo padre risponde che non sono poi così bravi questi cantanti che lui dice.

Dalla fila centrale il Raccordo è un film di Kubrick, le nuvole che si poggiano lievi sono pan di spagna e i pochi alberi intorno errori di battitura in un paesaggio artificiale. Alberto si infastidisce con il fischio delle moto che usano la corsia di emergenza per evitare il traffico; in Tangenziale, i più arditi, passano tra le due file di auto, ma sul Raccordo le file sono tre e la corsia di emergenza un’alternativa troppo più comoda e sicura. Poi capita che ti fermi la Polizia, o i Carabinieri e tu ne esca con una sonora multa e un paio di punti detratti dalla patente. È usanza del posto ridere di chi incombe in simili sventure, tanto che gli automobilisti rallentano per assicurarsi il massimo del piacere da quel tipo di scene.

L’altro tipo di scene per cui si rallenta, e la causa del traffico quella domenica mattina, sono gli incidenti. Il dolore altrui, insomma, fa rallentare il mondo: ora per sfottere, ora per apprezzarne a pieno la profondità. 

 

«Ma hai visto che botta ti hanno dato dietro?»

«Dove?»

«Sulla ruota posteriore, lato guidatore».

«Sono stato io: capitava l’altro giorno che ero in visita all’EUR a questo centro e mentre facevo manovra ho preso un albero».

«Non l’hai portata da Arturo?»

«No, abbiamo discusso dopo che mi ha lasciato la macchina con questo fischio addosso».

«Vabbe’, ti aiuta a capire se va a benzina o meno», Nicola ride di gusto.

«Se non avessi un figlio con la testa fra le nuvole». Ride anche Alberto.

Un suono di vetro, gli pneumatici che bruciano sull’asfalto dopo una frenata. Nicola ha drizzato la testa, non guarda il telefono. Deve prima spostare una ciocca d’oro che gli è finita davanti gli occhi. Comunque, solo nebbia, comunque nulla davanti. Davanti solo nebbia, un placido candore silenzioso.

Nicola continua a fissare la coltre immobile mentre la tagliano e la navigano come fossero esploratori. Alberto risposta la radio su Vasco, guarda avanti. Cerca anche lui di capire cosa fosse. 

«Dov’è il distributore, Nicola?»

«Non so, mi sono distratto».

«Dai, però, fai attenzione. Così non arriviamo mai».

«Oh, mi so’ distratto, che ti faccio? Comunque, ce n’è un altro poco più avanti».

«Quanto?»

«20 chilometri».

«Stiamo girando in tondo».

La radio si accende senza che nessuno la tocchi, Visto il tanto traffico di questa mattina, si raccomanda di tenere la distanza di sicurez-

Alberto la stacca. «Sembra che ci siano i fantasmi in quest’auto». Pensa che menomale non manca molto. Pensa che gli suonano ancora in testa le urla delle gomme che si aggrappano al cemento tenaci, ma davanti a loro c’era solo la nebbia bianca e impersonale, fuori luogo sull’Autostrada del Sole. Alberto ricorda bene anche suo figlio che gli diceva di stare attento, guardare avanti sempre. Pensa che, menomale, non è successo niente, ma anche che d’altronde non c’erano pericoli intorno. Nessuna macchina altra dalla loro contro cui cozzare, il guardrail lontano, la velocità non eccessiva, la corsia di mezzo. Alberto ora tiene due mani sullo sterzo, è facile tenerlo dritto e non devi mai fare curve. «Guarda avanti, pa’», gli aveva detto Nicola. Sono corse via così forte, quelle auto, dopo che l’ingorgo si è risolto che sembrano scomparse.

«Domani ho quell’audit importante, Nic, fammi l’in bocca al lupo».

«In bocca al lupo.”

Rimane tanta strada e Alberto sa che, all’arrivo, il dormitorio dell’ennesima università cambiata da Nicola poi sta in un viottolo pieno di buche lì e a lui toccherà infilarla a caso, forse ammaccarla un po’, pur di parcheggiare, con i parcheggi disponibili a quelli pieni di iniziativa che accettano di appoggiarsi anche dove le strisce non ci sono. Alberto lo sa, Alberto mette sempre le doppie frecce e quando scende dalla macchina ha voglia di fumare anche. Lui fumava prima del trasferimento a Roma.

La puzza di bruciato la nota per primo Nicola però. «Sarà la macchina che fischiava prima», ma si guarda intorno e non vede che il bianco della nebbia, un sottile filo di luce che la attraversa e nessuna macchina attorno. Continua a cercare per qualche minuto, decide che sia di poca importanza «Eccola, pa’», Nicola indica un veicolo fermo, in fiamme, con il cofano divelto e la portiera di sinistra per metà stracciata. Uno pneumatico bucato, un’ammaccatura sulla ruota posteriore, lato guidatore.

«Bisogna che si stia attenti, oggigiorno».

Nicola annuisce, dice di sì. «Hai sentito mamma?»

«No, papà, starà dormendo». La radio si accende.

If it sounds bad, these people are just gonna have to wait

Do you have a smoke?

Oka-

Alberto la spegne. 

«Ci sono i fantasmi in quest’auto».

Immagine generata con DALL-E
“oil painting of a row of cars seen from the dashboard of a car while it is raining outside”