Ho ucciso i miei gatti

Te lo confesso, anche se in realtà, non li ho uccisi proprio io. Si sono lasciati morire di fame:  possiamo parlare di depressione felina? 

Quando sono andato a letto, quella volta, avevo riempito le loro ciotole d’acciaio, quelle che avevi  comprato tu. 

Ricordo solo la vicina, la Maria, e la sua voce stridula mentre apre le imposte di camera mia, i  pompieri che dicono che c’è puzza di morto, ma io che ne so? Non ho ucciso nessuno e di certo  io non sono morto. Respiro e ricordo. 

Mi ricordo di quando ci hai abbandonati: me, Origene e Ilde. Dalla sera alla mattina, puf!, ti sei  volatilizzato, senza lasciare nemmeno un bigliettino di addio: non me lo meritavo, forse? Lo so che le cose tra di noi non andavano bene da tempo, sicuramente da quando avevi scoperto che avevo ripreso a bere la mattina, una birra al posto di ogni caffè che bevevo al giorno, in totale erano dieci. Dieci tutte prima delle cinque di pomeriggio, quando tornavi tu dal lavoro – se così vogliamo chiamarlo. Ma io che potevo farci? La tua promessa era stata quella che avresti pensato a tutto tu.  

«Ci penso io, ci penso io! Fidati un po’ di me» così mi ripetevi quasi ogni giorno. Non c’erano più soldi in casa, a stento riuscivo a mangiare, quelle poche volte che riuscivo ad alzarmi dal letto. Nemmeno una cazzo di sigaretta potevo fumarmi e i gatti. Quei cazzo di gatti che pisciavano in ogni dove, pure sul letto mentre dormivo o speravo di esser morto. Mi lasciavi i tuoi mozziconi, stronzo che non sei altro: li sbriciolavo, ne ricavavo quanto più tabacco possibile, nemmeno stessi pescando oro, e lo giravo nei biglietti nuovi della metro, ché tanto non avrei più ripreso. 

Quel letto pisciato da quei gatti di merda, è lo stesso letto in cui scopavamo, o  meglio mi scopavi, dicevi di amarmi, in cui i nostri corpi madidi di sudore e di umore avevano la  pelle d’oca, diventavano due rose con le spine, ma quelle spine non facevano male, almeno  quelle. Non dirmi che te ne sei dimenticato? 

Beh, insomma, se avessi saputo che razza di stronzo sei, col cazzo che mi sarei affidato a te  e a casa tua, alla fine mi hai lasciato nella mia pozza di merda, giorno e notte, nemmeno mi  salutavi più, quando non avevo più la forza di aprire le palpebre, quando non capivo nemmeno se  fosse giorno o notte. 

Quindi, ora, io sarei un omicida. Un molestatore. Un bastardo. Un vigliacco che ripiega la propria rabbia sugli animali, poveri indifesi.

Questo è quello che ha scritto il giornale, oggi; ti rendi conto che ha dedicato un articolo a qualcosa che non è stato intenzionale? 

Io li ho sempre accuditi con l’affetto necessario. E sono sicuro di aver seguito le tue indicazioni su  come dar loro da mangiare. E quando sono andato a letto avevo riempito le loro ciotole con il  giusto dosaggio di brodirat per farli dormire. 

Il dosaggio doveva essere esatto affinché si addormentassero, un po’ come Hitler fece coi figli nel suo bunker, o forse non era lui. Ma sì, che era lui. Volevo solo che dormissero un po’, alla fine, che male c’è.

Almeno avrebbero smesso di pisciare e di cagare ovunque, pure sul tavolo della cucina. 

Quella stronza di Sonia dice che vuole denunciarmi per maltrattamento animali, voglio vedere  cosa avrebbe fatto lei se se ne fosse andato Antonio, al posto tuo. 

Alla fine… Vedi… Io speravo solo che seguendo i tuoi consigli tu saresti tornato da me. Proprio tu  avevi detto che i gatti sarebbero stati meglio da morti, piuttosto che in mia compagnia. 

Ora mangio la notte, vomito il veleno per topi che ho ingerito per addormentarmi, mi addormento di colpo a mezzogiorno dopo la sesta birra mentre c’è Forum su Rete Quattro.

Quelle sì che sono  cause per cui lottare, mica la mia. Io non l’ho fatto apposta. 

Torna, dai. Ci riproviamo, alla fine non è successo nulla di male, se non l’ho fatto di proposito, no?

Immagine generata con DALL-E
“a cat eats from a steel bowl, realistic oil painting”