Fay

Avevano parcheggiato lungo il parco, nei posti blu, perché Greta indossava le parigine con il tacco alto. Con quelle scarpe, le sue gambe bianche e lunghissime sembravano ancora più sottili, due rametti sul punto di spezzarsi sotto il peso della pelliccia e della sciarpa invernale. Era minuscola. Procedeva guardando per terra, in silenzio. Era appesa al braccio di Edoardo, le unghie conficcate nel suo piumino. Si ancorava sempre a lui, quasi avesse paura di volare via, e a lui aveva sempre fatto molta tenerezza. Questo gesto significava per loro affetto, cura. Bisogno. L’aveva conosciuta due anni prima a una festa aziendale, la figlia di Verdetti, il grande capo. Lui neanche ci aveva mai parlato prima con Verdetti, lo aveva visto qualche volta passare e si era sempre tenuto alla larga, con il timore reverenziale di chi preferisce non farsi notare. Invece Greta lo aveva notato ed era andata a presentarsi, sfacciata come una bambina, che di una bambina si portava addosso anche tutte le insicurezze. 

«Sei sicuro che non siete mai stati insieme?» chiese Greta senza alzare gli occhi. Doveva aver raccolto tutto il suo coraggio per formulare quella frase e la parola insieme le era uscita in un sussurro. Edoardo inspirò lentamente, aspettava quella domanda, per la millesima volta, l’aveva riconosciuta nel suo silenzio. Fecero altri quattro passi. 

«Sì, siamo sempre stati solo amici».
Greta strinse più forte il braccio di Edoardo.
«Puoi dirmelo se non è così. Dovresti».
«Però è così». Edoardo si fermò davanti a un portone di legno, le alzò il mento con la mano e lo obbligò a incontrare il suo sguardo. Poi le diede un bacio sulla fronte.
«Siamo arrivati».
Suonò al campanello con le iniziali F. L. e aspettò il rumore che indicava l’apertura. Spinse il portone, fece passare Greta. Lanciò un’ultima occhiata al parco e se lo richiuse dietro.
Fay li aspettava sulla soglia, si stava asciugando le mani con un canovaccio.
«Scusate, stavo ancora finendo di preparare» disse, sorridendo.
«Piacere, Greta».
«Finalmente ci conosciamo, piacere mio» rispose Fay sorridendo. «E finalmente rivedo pure te, ormai sono anni davvero» esclamò, rivolta a Edoardo.
Fay indossava dei jeans larghi, un maglione bianco e scarpe da ginnastica. Aveva gli stessi capelli di sempre, più lunghi, chiarissimi. Fece strada a Greta verso la sala.
«Fa impressione vedere che abiti ancora qui» disse Edoardo, aiutando Greta a togliersi la giacca. La lanciò sul divano. Lei lo guardò storto e andò a sistemarla. 

«Te l’ho detto quando l’ho trovata che questa era la casa giusta» urlò Fay dalla cucina. «Poi, con il mio lavoro, è come se ancora studiassi». Rientrò in sala con tre calici e una bottiglia. «Vino?» Gli ospiti annuirono, quindi Fay riempì i tre calici di rosso e ne porse uno ciascuno. «Salute» disse, sorridendo a Greta. Si portò il bicchiere alla bocca e lo svuotò. Greta invece si bagnò appena le labbra e posò il bicchiere sul tavolo. «Lo lascio un pochino decantare, è molto forte» disse. Anche Edoardo aveva finito il suo e andò a riempirlo nuovamente. 

Greta si stava rilassando. L’aria era intiepidita dai termosifoni e dal vino, i suoi muscoli erano meno tesi e teneva lo sguardo alto. Rideva con Fay, scherzavano insieme. Prendevano in giro Edoardo e i suoi modi di fare. Lui stava al gioco, lasciava che si conoscessero.

«Ci siamo fatti tante di quelle canne in questo parco che mi stupisco di come siamo riusciti a laurearci» rise Fay, guardando fuori dalla finestra. La bottiglia era finita e si alzò per prenderne un’altra. Greta ne approfittò per dire a Edoardo «Avevi ragione, è simpaticissima» e lui le sorrise, tirando indietro la testa per svuotare il bicchiere. Fay arrivò in soccorso con un nuovo Barolo e la cena. 

«Spero sia commestibile» rise appoggiando la pirofila sulla credenza vicino al divano. «Dobbiamo arrangiarci un po’ perché purtroppo non ho un tavolo» si scusò.
«Abbiamo cenato accampati in questo salotto per anni, è un’esperienza da provare» disse Edoardo a Greta, passandole il piatto che Fay aveva riempito di pasta. 

Mangiarono e bevvero e risero. Greta si sentiva a suo agio, faceva mille domande senza aver paura della risposta come al solito. Voleva sapere come fosse Edoardo durante l’università e Fay, con l’animo da narratrice in grado di tenere tutti appesi alle sue labbra, le raccontava degli anni passati, delle feste, degli esami, delle canne, degli amici. Greta chiese a Fay del suo nome. 

«Viene dall’inglese antico, significa fata. Evidentemente anche i miei genitori si drogavano, se no non me lo spiego».
«Secondo me ti si addice» rispose Greta, poi abbassò lo sguardo. «È bellissimo».
Fay sorrise, un pensiero le balenò nelle iridi «Ma se facessimo una canna davvero? Io fumo ancora» disse rivolta a Edoardo. 

«Per me va bene» rispose lui. Fay guardò Greta.
«Io non fumo, ma voi fate pure» disse lei.
Fay si alzò e andò in camera da letto. «Direi che chiamiamo un taxi dopo, che dici?» disse Greta a Edoardo. «Sei ubriaco».
«E dai, non bevo mai. Torniamo in taxi, che problema c’è?» rise lui.
Rimasero in silenzio per un tempo che a Edoardo sembrò interminabile e, mentre Fay trafficava nell’altra stanza, quella in cui erano gli girava intorno alla testa. Era ubriaco.
Lei tornò e accese la canna, che aveva già rollato. Fece qualche tiro, poi gliela passò.
«Tu di cosa ti occupi?» chiese Fay a Greta. «Abbiamo parlato tutta la sera di Edoardo». Aveva gli occhi più stretti e rossi, anche lei era piuttosto sbronza.
«Lavoro in azienda da mio padre, come Edo». Fino a quel momento lo avevano chiamato entrambe Edoardo. Edo era un nome solo suo, era un’ammonizione. Un avvertimento. 

«Ah, ti sei messo con la figlia del capo?» rise Fay guardando l’amico, che continuava a fumare. «Sì, infatti ormai è fregato» rispose Greta al posto suo. E nulla era più sereno in lei, lo sguardo era di nuovo spaventato e rivolto in basso, la schiena curva e tesa.
Edoardo posò la canna nel posacenere e si alzò. Il pavimento gli era sembrato cedere sotto i piedi ma mantenne una certa dignità nel movimento. 

«Vado un attimo al bagno» riuscì a dire in un grugnito.
«Tutto bene?» chiese Fay.
«Sì, è solo che non sono più abituato a bere e fumare. Ho bisogno di un momento».
Nel corridoio per il bagno, che aveva percorso altre mille volte nelle stesse condizioni, in quella che ormai era un’altra vita, sentì Fay parlare a Greta di un qualche video che doveva mostrarle. Era bravissima a destreggiarsi in quelle situazioni e salvare la faccia agli amici. Alle persone a cui teneva.
Arrivò al bagno che ormai il soffitto e il pavimento si erano già ribaltati miliardi di volte e riuscì a stento a inginocchiarsi di fronte al gabinetto che gli salì il primo conato, e assieme a quello l’immagine del Verdetti che lo scrutava, alla festa aziendale, quando lo aveva visto bere in un angolo con la figlia. Lo stesso sguardo accusatorio di quando poche settimane dopo erano assieme al ristorante, il Verdetti, la moglie, Greta e lui. Arrivò il secondo conato e con quello l’immagine di Fay la notte della loro laurea, Fay a cavalcioni sopra di lui, gli occhi chiusi, i capelli biondi che le cadevano sul viso, Fay che rovesciava la testa all’indietro mentre veniva. Fay la mattina dopo, rannicchiata sul divano con una tazza di caffè, la luce del mattino che le sfiorava le gambe nude filtrando dalle persiane ancora abbassate.

Un altro conato, l’ufficio, il Verdetti, i capelli, l’azienda, la vacanza in barca, Fay, gli occhi chiusi, Greta, la notte della laurea, la mattina dopo, le gambe nude, il divano, Fay che dice «Abbiamo fatto una cazzata».

Al quarto conato Edoardo riuscì a vomitare e si sentì immediatamente meglio. Aspettò qualche minuto seduto di fianco al gabinetto, si alzò, si lavò la bocca e la faccia, poi di nuovo la bocca. Tornò in sala che Greta si stava mettendo la pelliccia.
«Amore, Fay ci ha chiamato un taxi» gli disse, porgendogli la sua giacca. Lo guardò per chiedergli conferma che fosse tutto a posto. Edoardo annuì e prese la giacca «Scusate, temo di aver esagerato» disse in imbarazzo.
«Non sei cambiato così tanto, alla fine. Mi eri mancato» rise Fay. Poi abbracciò Greta. «Grazie, mi ha fatto veramente tanto piacere» le disse.
«Anche a me» rispose lei, poi uscì.
Edoardo salutò Fay con un cenno e seguì Greta fuori.

Mentre camminava verso il taxi, continuò a deglutire ingoiando saliva che sapeva di acido, di vomito e delle frasi che non avrebbe mai potuto dire.

Greta rallentò il passo per camminare al suo fianco e quando furono vicini, fece per attaccarsi al suo braccio. «Non ti appendere, per favore» disse Edoardo infastidito. «Sono stanco».

Immagine generata con DALL-E
“a woman’s hand hanging on the arm of a man with a down jacket, oil painting”