Risolvere i problemi

Ci sono state delle perplessità fin da subito. Per esempio uno dei ricordi più vecchi è all’asilo: in fondo al corridoio una compagna sta chiudendo la porta della sezione, chissà perché all’asilo le classi le chiamavano sezioni, questa compagna chiude la porta e mentre la chiude dice «siamo tutti amici», con tono convinto.
C’era rimasto di stucco perché non aveva nessuna intenzione di essere amico di tutti. Certo era una cosa che le maestre dicevano spesso ma, com’è ovvio, non l’aveva mai presa sul serio e gli faceva strano che qualcuno la prendesse per altro che una cosa che si dice e basta. Aveva fatto qualche domanda e era emerso che anche altri compagni pensavano che si era tutti amici. Lui era amico solo di Riccardo e Mattia e questo perché Riccardo e Mattia condividevano i suoi interessi altrimenti non lo sarebbe stato, tutto ciò era piuttosto naturale, ma con ogni evidenza questa cosa dell’essere tutti amici riscuoteva seguito e da qui le perplessità. Si trattava di capire, primo, quale fosse il punto e, secondo, almeno per ora nascondere le sue perplessità. Aveva la sensazione vaga e precisa, come sempre quelle dei bambini, che la cosa gli avrebbe attirato guai.
Infatti qualche tempo dopo una circostanza in fondo simile gliene aveva attirati. Sentiva sempre parlare al telegiornale di Destra e Sinistra, così si era deciso a chiedere alla maestra quale fosse la differenza. Gli era stato risposto che le persone di Sinistra stanno con i poveri e deboli mentre quelle di Destra con i ricchi e forti. Gli era sembrato ovvio che allora si dovesse essere di Destra. La maestra era impietrita, i genitori convocati e lui rimproverato. Non si era azzardato a chiedere quale fosse il senso di volere essere nel numero dei poveri e deboli anziché in quello dei ricchi e forti.
La madre gli aveva regalato La Bibbia illustrata per i più piccoli e a lui piaceva da matti, erano storie stupende, avrebbe voluto sapere inventare anche lui storie così, erano quasi meglio di Harry Potter. Lo zio lo portava sempre a messa e anche lì si divertiva un sacco con tutte quelle canzoni e quelle risposte strane, e le preghiere poi! il suo gioco preferito era cercare di dirle sempre più velocemente senza confondere le parole.
Lo zio non era davvero lo zio, ero il fratello della nonna e gli voleva molto bene, non lo sgridava mai e anzi quando la mamma o la nonna erano noiose le zittiva subito. Avrebbe voluto che lo zio vivesse con loro e gli dispiaceva che non andasse d’accordo con suo padre. Anche questa era una cosa a cui pensare.

Era stato lo zio a spiegargli cosa fosse un rompicapo. Facevano insieme La Settimana Enigmistica e gli aveva detto che un rompicapo è un gioco che ti tormenta finché non lo finisci e per finirlo bisogna dare la risposta giusta, era come «sciogliere un nodo». La scoperta era stata molto utile, ora aveva una parola per spiegare il disagio di certe situazioni: erano rompicapi.

Ha familiarizzato con il concetto di problema alle elementari e si è accorto che vuol dire più o meno la stessa cosa di rompicapo, anche se a lui interessava poco sapere con quanti soldi Luigi torna dal mercato dopo avere comprato cinque mele, ma gli dicevano che doveva rispondere e lui rispondeva. Era quel che si dice un bambino molto diligente, attento e rispettoso di compagni e insegnanti. L’unico episodio spiacevole era stato quando una compagna di classe “sfortunata” gli aveva proposto di giocare con lui di nascosto in cambio di figurine Pokémon e siccome lui aveva calcolato che gli interessavano di più i giochi di nascosto che le figurine Pokémon aveva accettato. Quando una bidella li aveva trovati nascosti nei bagni ne era nata una faccenda seria, entrambi erano stati puniti, erano stati coinvolti genitori e psicologi. Aveva ricevuto rimproveri e punizioni senza aprire bocca se non per dirsi dispiaciuto, e lo era, per quanto non capisse la ragione di quel putiferio. Un altro problema su cui arrovellarsi.
Col tempo si è reso conto che un elemento centrale nella soluzione dei rompicapi era l’educazione. In questo deve essere stato uno dei pochi casi in cui le lezioni di Educazione Civica abbiano portato a un reale incremento di conoscenze. La materia, associata a Storia, illustrava numerose occorrenze discriminate sulla base di opportunità e inopportunità: si deve fare la raccolta differenziata, non si devono sterminare i popoli, si deve essere gentili, non si devono invadere continenti per depredarli, eccetera. Era un sollievo avere a disposizione criteri e esempi sulla base dei quali dirigere il comportamento e gli aveva dato dispiacere rendersi conto che all’asilo così come nel caso della bimba “sfortunata” aveva detto o fatto qualcosa che non si fa. Si era quindi ripromesso di attenersi in maniera scrupolosa a “un forte senso civico”, cosa che anni più tardi gli ha reso facile conseguire la patente di guida.
Questo tuttavia non è bastato a dissipare ogni dubbio e metterlo al riparo da circostanze incresciose. A Scuola hanno guardato Germania Anno Zero e mentre i compagni sembravano trovare l’azione di Edmund evidentemente sciagurata, per lui la vicenda era meno chiara. Allo stesso modo, una sera che al Telegiornale era stato riportato l’affondamento di un barcone con ottanta vittime, di cui la metà bambini, all’afflizione dei genitori ha replicato che sarebbe stato necessario stimare quanti di quei bambini col tempo sarebbero diventati individui la cui scomparsa sarebbe stata auspicabile, e benché la sua osservazione fosse stata misurata la madre si era messa a piangere e il padre gli aveva dato una sberla.

Va detto però che in quel periodo la situazione a casa era nervosa. Poco tempo prima era morta la nonna e lo zio aveva stabilito che sarebbe venuto a vivere con loro. Questo aveva fatto esplodere tensioni e dinamiche di cui lui aveva avuto sentore ma mai saputo niente in maniera chiara. Le liti erano all’ordine del giorno e sembrava assodato che non fosse necessario occuparsi in maniera eccessiva delle conseguenze su di lui, da qui la reazione spropositata di fronte a un’affermazione in fondo corretta. Ma questo era il meno: voleva bene allo zio così come ai suoi genitori e non capiva perché entrambe le parti non potessero comportarsi in maniera un po’ più costruttiva. Ne ha parlato con lo psicologo del consultorio scolastico, il quale, dopo essersi accertato che la situazione non desse origine ad abusi fisici su di lui, gli ha risposto che il modo in cui ci poniamo nei confronti degli altri è dettato più da motivi oscuri e profondi, di cui noi stessi non siamo consapevoli, che da principi di ragionevolezza. Lui non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo ma aveva ringraziato per la spiegazione che spiegazione non era, dal momento che, da che mondo è mondo, l’oscuro e profondo non spiega un bel niente.

Come che sia, cresceva, e questo arricchiva i concetti di cui poteva servirsi per organizzare le circostanze in cui si trovava.

Si è reso conto che il fatto stesso di avere davanti così tanti problemi da risolvere era un problema, un rompicapo. Ha accennato la questione all’insegnante di Educazione Tecnica che gli sembrava intelligente e questo gli ha risposto che un tipo con un nome tedesco impronunciabile aveva sostenuto che se qualcosa non ha una soluzione non è nemmeno un problema. Gli consigliava di partire da lì. E in realtà non ci sarebbe stato bisogno del consiglio, la sentenza era stata un’illuminazione, non solo nel suo apporto diretto ma anche e converso: se un fenomeno o una circostanza ammette una soluzione, allora è un problema.
Poco tempo dopo è iniziata la pandemia e il primo lockdown ha costretto tutti in casa per due mesi. La situazione si è fatta presto insostenibile. Per quanto gli volesse bene i comportamenti e le prepotenze dello zio erano oggettivamente inauditi e siccome la madre era incapace di opporsi il padre aveva annunciato che finita la quarantena sarebbe andato via di casa. Già adesso dormiva in taverna, non ne usciva mai e fumava tutto il giorno.
Finito il lockdown ha fatto ritorno a scuola dove ogni volta che si è presentata l’occasione ha ignorato ogni cautela. Nel giro di due settimane ha iniziato a avvertire i primi sintomi e prima che diventasse impossibile nasconderli ai genitori, si è presentato in camera dello zio e ci ha passato il pomeriggio chiacchierando il più vicino possibile.
Nonostante fosse molto giovane ha trascorso due settimane in terapia intensiva e anzi il giornale aveva presentato il caso come quello del paziente più giovane in città, generando un certo panico. Lo zio è morto dopo dieci giorni di ospedale e la situazione a casa è sfiammata in meno di un mese.
Durante una delle prime serate estive, quando si è ritrovato la voglia e il coraggio di cenare in giardino, la madre ha cucinato una paella particolarmente buona e lui si è detto che era davvero un peccato che lo zio si fosse costituito come problema, sarebbe andato pazzo per quella paella: era il suo piatto preferito.
La vocazione all’analisi gli ha reso facile la scelta degli studi superiori: contabilità.

La possibilità di riportare situazioni opache a schemi gli sembrava un prodigio, ma ancora più prodigioso gli sembrava che la maggior parte delle persone non si servisse in maniera sistematica di questa possibilità.

Per quanto si sforzasse, dal momento che gli era stato detto che doveva sforzarsi, non riusciva a capire per quale ragione le persone si perdessero dietro ad aspetti che, non potendo essere definiti in maniera chiara, non esistevano.
Di nuovo questo gli ha causato problemi, soprattutto nelle relazioni. Per lui le cose erano sempre molto chiare mentre per l’altra persona parevano non esserlo mai, e questo a sua volta generava problemi perché questa sua chiarezza e le formulazioni che ne dava provocavano fastidio.
È stato quindi con grande sollievo che ha appreso dell’esistenza di Tinder. In più di un’occasione si era sentito definire “opportunista” e in tutte si era astenuto da ribattere che in senso biologico, cioè nell’unico senso che abbia senso, l’attitudine a riconoscere e agire secondo opportunità è una definizione di intelligenza. Ha deciso quindi di scrivere solo questo nella sua bio: opportunista. Dopo circa un mese ha fatto match.
Si sono incontrati in un bar del centro e è stata lei a andare al punto. Ha spiegato che se entrambi erano lì era perché entrambi avevano un problema, e il problema era che entrambi avevano la necessità di essere lì. Le ragioni a monte di questo problema erano irrilevanti, il punto era cosa entrambi avevano da offrire all’altro: lei era tranquilla, leale e molto disponibile dal punto di vista sessuale. Cercava una figura di riferimento “a cui appoggiarsi e su cui contare”, se lui ci stava era affare fatto.
Circa un anno dopo, proprio lei lo ha accompagnato al suo primo colloquio di lavoro ripentendogli più volte di stare tranquillo, era un uomo di talento e se ne sarebbero accorti. E proprio così è andata.
Sembra che il punto di svolta del colloquio sia stato quando l’HR gli ha chiesto come valutava le proprie capacità di problem solving e lui aveva risposto con un calore, un entusiasmo e una naturalezza che mai si era sentito: “eccezionali!”

Immagine generata con DALL-E
“a boy and a girl are with their heads bowed in front of the teacher, pop art style”