Una cosa senza senso

Siamo lì nella stanza con quel tizio. Gli sanguina il naso e ha dei denti rotti, credo. Si vede da come muove la bocca che sono rotti. Si tiene la mandibola con una mano. È zitto, sembra sotto shock, seduto sul divano, immobile.

Io mi sento ancora il pugno pulsare e la sensazione della sua barba bianca e corta sulla pelle.

Quando l’ho colpito ho sentito quel contatto e mi è sembrato di sfondare qualcosa di già rotto.

Qualcosa come schiantare con un pugno il corpo di un pesce morto.

Il Vanni va su è giù per la stanza e continua a dargli dello stronzo. Il Vanni è pericoloso quando perde la testa. Non capisco se si stia scaricando o caricando, ma è fuori di sé. Non è cattivo, ma è il classico tipo che non sopporta che gli vada storto un piano.

Soprattutto quando si tratta di scopare. Non lo sopporta. Non lo sopporta proprio. Stronzo dice, e butta per terra tutto quello che trova.

Il Mario lo guarda e fuma. Gli dice di piantarla, tra una boccata e l’altra, prima che i vicini chiamino la polizia.

Io mi limito a scuotere la testa. In questa storia ci sono troppe cose che non vanno. Non ha senso. Non ha senso, una roba del genere. Mi girano anche i coglioni a menargli a uno fuori di testa. Non mi sento in colpa, no. Solo che non ha senso. Prendo la foto di sua moglie che sta appesa ad una parete e gliela mostro. Magari gli torna la voglia di parlare. Magari si riprende. Era lei, vero?  È questa tua moglie? Lui la guarda ma non dice niente. Sto per chiedergli perché al nostro ultimo incontro ci avesse mostrato la foto di un’altra donna, ma il Vanni mi prende la cornice dalla mano e ci sputa sopra, poi la tira in terra e la fa a pezzi con il tacco dei suoi mocassini. Usa lo stesso tipo di mocassini da quando lo conosco. Da quando abbiamo formato la nostra “banda”. Io non li sopporto quei mocassini, perché sono fatti dai cinesi e perché li porta con i pantaloni troppo lunghi, una cosa davvero disgustosa. E poi li lucida. Non butta soldi per farsi accorciare i pantaloni, li porta come un barbone, e poi si lucida i mocassini che compra sempre allo stesso banco del mercato. Quello che lo frega al Vanni sono i nervi. Anche quando scopa, non si gode niente, lo fa di rabbia. Ci sbava sulla bocca alle donne, lecca la figa come un cane assetato. Fa schifo vederlo scopare. Per questo ce lo portiamo sempre dietro, io e il Mario. È il pezzo forte. Dopo che ci siamo fatti una bella chiavata, passiamo la donna a lui, e ci mettiamo a guardare, così ci torna la voglia per farci un secondo giro.  È eccitante vedere una specie di piccolo demonio magro e nervoso scopare una donna. E poi si lava poco. Io ed il Mario ne abbiamo parlato. A entrambi piace la smorfia di disgusto che quasi tutte fanno quando glielo prendono in bocca. E poi è così animale. È senza pietà il Vanni. Mi chiedo se gli sia mai piaciuta una donna, una donna vera dico. Se ci sia mai stato una specie di amore, nella sua vita. Forse sì, forse è andata a finire male, non mi stupirebbe, e questa è la ragione per cui è tanto incazzato con il mondo. Ma magari mi sbaglio. In ogni caso non ne abbiamo mai parlato.

Il Mario si è seduto sul divano vicino al tizio. Gli passa un fazzoletto di carta.

Il Mario sì che è un tipo elegante. Porta sempre lui i fazzoletti e i goldoni. D'altronde è anche quello che mette i soldi. Lui la donna ce l'ha. Ma gli piace trasgredire. Dice che con la moglie non ci fa niente da un pezzo.

Qualche pompino, magari, per non farla sentire troppo trascurata. Dice che lei si accontenta. Che le va bene così. Del resto un pompino va sempre bene. Soprattutto se sei al mare con la famiglia e i nipotini e non ti puoi sganciare per andare a puttane o in un bordello. Fai il pieno di tette, culi e peli che spuntano dagli slip e poi scarichi in bocca a tua moglie la voglia che ti è presa, di notte, mentre tutti dormono. È quasi solo a questo, alla lunga, che serve essere sposati. A parte avere qualcuno che ti lava e ti stira la roba.

Il Mario è un’agente immobiliare. Io non mi sono mai sposato. Non ho avuto tempo. Vivo da sempre in una casa che i miei avevano comprato appena dopo le nozze. Quando mio padre è morto ho vissuto lì con mia madre finché non è venuto il momento di metterla in un ospizio.  È ancora lì, che vegeta,  e ogni tanto la vado a trovare. È tutto quello che ho voglia di dire su di me, ora. 

Quello che m’importa, quello che solo m’importa adesso, è capire perché quel tizio ci ha presi per il culo. Voglio sapere che cosa gli passava per la testa quando ha messo quell’annuncio. 

Ci aveva fatto perdere un sacco di tempo. A quest’ora potremmo essere al club a metterlo in culo a un bel travone o a chiavare una bella signora in un appartamento elegante, mentre il marito scatta le foto o ci filma masturbandosi.

Mi avvicino al tizio e lo prendo per la giacca e lo tiro su dal divano. Lo guardo negli occhi. Sono senza espressione. Non mi vede nemmeno, penso io, e lo lascio ricadere sul divano.

«Perché? Dicci perché l’hai fatto! Perché ci hai presi per il culo? Cosa pensavi di ottenere?

Non era per soldi, e lo sapevi. Volevi farci fare solo la figura dei coglioni, vero?»

Lo scuoto per le spalle e riesco ancora a dargli una sberla, mentre il Mario mi allontana da lui.

Il Vanni intanto è andato in cucina e sta distruggendo sistematicamente tutti i piatti e i bicchieri che trova.

Suonano alla porta. Il Mario va in cucina a fermare il Vanni, mentre io torno dal tizio e gli dico che deve andare alla porta e dire che va tutto bene, che non è successo niente di male. Senza aprire. Gli dico che se dice qualcosa lo ammazziamo. Suonano ancora. Il campanello sembra entrargli in testa e fargli tornare un po’ di lucidità. Sembra rendersi conto anche lui che è meglio non far precipitare le cose. Hai capito, gli chiedo ancora io. Mi fa cenno di sì e si alza. Lo accompagno alla porta.  È la vicina. Dallo spioncino vedo solo una cicciona cadente con addosso una vestaglia.
«Sto bene, signora. Non è successo niente. Sta solo mettendo ordine e mi sono cadute delle cose.»
«Ma è la una, dice lei. Non può fare tutto questo rumore quando la gente dorme.»
«Scusi. Non succederà più» le dice lui, e se ne torna in salotto senza aspettare una risposta.

Io controllo che la donna riporti le sue ciabatte a casa propria e poi vado a vedere che cosa combinano gli altri. 

Il Mario sembra essere riuscito a calmare il Vanni, che si sta fumando una sigaretta guardando fuori dal balcone. Il freddo della notte entra nella cucina e ci fa fare grandi sbuffi dalla bocca mentre discutiamo sul da farsi.

Buttiamolo giù dalla finestra, dice il Vanni. Penseranno che si è suicidato. Non dire stronzate, dico io. Mica vorrai andare in galera per questo stronzo. Ma il Vanni lo sa anche lui che non si può fare. Si sta solo scaricando. Ora sono più tranquillo, perché vedo che rompere tutte le stoviglie gli ha fatto bene. È uno di quei tipi che devono rompere tutto quello che c’è da rompere e per tutto il tempo necessario, per potersi calmare. Fortuna che l’ha fatto in cucina e non con la faccia di quel tizio.
«Non c’è più niente da fare, qui» dice il Mario.
«Andiamocene e basta. La lezione gliel’abbiamo data, no?»
«No» dico io, «voglio sapere perché ci ha presi per il culo.»
«Che te ne frega?» mi chiede il Mario.
«Voglio saperlo. Perché non ha senso. Non ha senso quello che ha fatto. Voglio la verità.»

«E pensi che te la dirà?»
«Proviamo a parlarci con calma» dico io controllando lo stato dei nervi del Vanni e cercando di capire dalle sue reazioni cosa pensa del mio proposito «Proviamo a farlo parlare. Prima non gli abbiamo dato il tempo. Ti giuro che non posso andare a dormire se prima non gli ho cavato fuori la verità. Questa cosa non ha senso.»

Torniamo in salotto. Il tizio è sempre sul divano. Guarda fisso il muro di fronte. Io mi siedo su una sedia di fronte a lui, mentre il Mario gli si siede accanto e gli da un altro fazzoletto di carta, perché l’altro è tutto zuppo di sangue. Il Vanni fuma e cammina al di là del tavolo.

Guardo la foto della moglie ai nostri piedi, coperta di vetri rotti. È in bianco e nero. Una bella signora, con gli occhi e i capelli scuri. Una specie di sorriso ironico, qualcosa tra la malinconia e il rimpianto, ma pur felice. Ma forse è solo la situazione a farmi pensare così. Sicuramente era una bella scopata. Una di quelle che ci piace ricordare, quando ci troviamo a casa mia a giocare a carte o a vedere le partite del Milan. Di solito inizia il Mario, il fatto che paghi sempre lui al ristorante e la benzina, i goldoni e le trasferte, gli dà il diritto di essere il primo. Se c’è un marito o un compagno, può essere che la coppia preferisca iniziare a farsi guardare. A volte è il marito o il compagno che la spoglia per noi, e ce la fa vedere. Molti si eccitano così. Soprattutto le donne. Adorano farsi trattare come un oggetto di scambio. Almeno quelle che frequentiamo noi. Ma secondo me tutte. Il Mario ha un cazzo davvero notevole. E le sa far godere. Io sono più per il petting, perché non mi piace scopare con il goldone. Ma come si fa a farlo senza. Chissà che cosa ti puoi prendere. Il Vanni lo farebbe anche senza, ma nessuna donna con una vita normale lo farebbe con lui senza protezione, e posso capirlo. So che a volte paga le puttane per farlo senza. E le puttane che te la danno senza sono giusto quelle che non hanno niente da perdere, non so se mi spiego. Ma il Vanni dice che ormai ha quasi sessant’anni, e se si prende l’Aids per lui è lo stesso. Si muore in dieci anni, dice. E a me cosa vuoi che mi resti? E poi si fa una bella risata delle sue, tutte catarro e polmoni marci.

Qualche volta invece di fare a turno le prendiamo insieme. Una cosa tipo che uno se la scopa e gli altri se lo fanno succhiare strizzandole le tette. Abbiamo anche provato il panino, ma era troppo scomodo, e sia a me che al Vanni si smosciava. Anche se metterlo in culo mi piace un casino. Al Vanni non gli fanno differenza i buchi. 

Guardo quella foto che tengo tra le mani e m’immagino la scopata che mi sarei fatto con quella bella dama di rango, così nobile. Chissà come, e se, si sarebbe lasciata andare. Alcune restano ferme e si lasciano prendere senza fare nulla, senza nemmeno gemere. Sarà timidezza, o una specie di patto segreto con il marito, che la vuole vedere nei panni della puttana pentita o della monaca violentata, non so. Mi prende quasi il rimpianto, per la scopata che ci siamo persi.

«Allora prima hai detto che è morta, vero?»
«Sì» risponde il tizio, con un filo di voce. 

«Quando? Da quanto tempo?»
«Dieci anni» dice lui. Io e il Mario ci guardiamo. L’età della foto potrebbe anche corrispondere. Ma così è ancora tutto più pazzesco. Guardo quell’uomo negli occhi e cerco di capire che cosa gli passa per la testa.

Mi ricordo del suo annuncio e del nostro primo incontro, al bar sotto casa mia, tutti e quattro, qualche mese prima, quando era ancora estate e il Vanni puzzava di sudore da far schifo.

L’annuncio era di quelli classici a cui rispondiamo sempre. In realtà è il Mario che se ne occupa, perché né io né il Vanni abbiamo la connessione in casa. Sono annunci di coppie mature o meno che cercano un’avventura, un fuori programma. Coppie non necessariamente annoiate, che hanno voglia di divertirsi, realizzando una fantasia trasgressiva. Roba del genere. Il Mario risponde sempre a tutti, ma pochi fanno sul serio.

E non tutte le coppie se la sentono di mettersi nelle mani di tre tizi sconosciuti, ma noi abbiamo il nostro patto, e se non è con tutti e tre non se ne fa niente. L'amicizia per noi ha ancora un valore.

Gli unici annunci che non ci interessano sono quelli sadomaso. È di una noia bestiale. Stare lì a torturare una donna dalle tette piene di lividi e dalla figa smandrappata quando potresti farti una bella scopata senza pensieri. Anche i bisex non ci piacciono, anche se al Vanni non gli dispiace sodomizzare un uomo, ma solo con oggetti o vibratori. Lui ha il gusto delle cose violente, così quando richiesto, se ne occupa lui. Ma nessuno di noi metterebbe il cazzo nelle mani di un altro uomo, nemmeno in cambio delle sua donna. Nemmeno se fosse bellissima. Fa parte dei nostri patti.

Così alla fine dell’estate, in un periodo di gran magra, che quasi si andava solo al club per scopare, il Mario ci dice che abbiamo un appuntamento con un tizio, che ha scritto un annuncio sul solito sito.

Di solito ci si trova al bar per conoscersi. Al primo appuntamento viene quasi sempre solo l’uomo, per sicurezza, si capisce, e quindi fin lì non c’era proprio nulla di strano.

Il tizio era un signore distinto, mezza età, come ne abbiamo conosciuti tanti. C’era una cosa che mi aveva colpito, però. Di solito ci fanno delle domande. Come se si volessero assicurare di alcune cose. Il rispetto, la pulizia, il non essere violenti, cose del genere, cose normali per una situazione così particolare. Lui non ci chiese niente.

Ci parlò solo della moglie, per tutto il tempo. Di quanto era bella. Di come era spiritosa. Del suo carattere forte. A me era sembrato che ce la volesse un po' vendere. Ricordo di aver pensato che probabilmente era un cesso.

Ma a noi vanno bene anche i cessi. È la situazione che è eccitante. Certo, meglio una bella figa, ma non tutti quelli che sposano una modella poi la offrono volentieri a tre sconosciuti, non so se mi spiego. Qualcuna ci è capitata, ma ci siamo abituati a non sperarci troppo. E questo parlava e parlava della moglie, del suo carattere, del suo corpo, dei suoi capelli, che erano meravigliosi, e dei suoi occhi.

Il Vanni stava già perdendo la pazienza, anche perché aveva finito il crodino e non si osava a chiedere al Mario di pagarne un altro.

Quando gli ho chiesto di fissare un appuntamento con la moglie, per tagliare corto, prima che il Vanni dicesse qualche sproposito, lui ha detto solo che gli avrebbe fatto piacere rivederci ancora una volta da soli, così, per capire se facevamo sul serio, per capire chi eravamo.

Siamo rimasti d’accordo di vederci la settimana dopo. Anche se non era proprio la prassi, a volte capita che la coppia prenda tempo, prima di finalizzare. Magari lui deve raccontarle le sue impressioni, o convincerla a fare il passo. Queste sono il tipo di cose per cui c’è una grande differenza tra coltivare una fantasia e il realizzarla.

Ora sono davanti a lui, che cerco di capire cosa diavolo c’è dietro il suo comportamento, non ho più voglia di picchiarlo, anche se mi fa ancora rabbia. Sembra uno scarafaggio, con quel naso tumefatto, incassato nel divano con le mani giunte che stringono il fazzoletto con cui ogni tanto si tampona. Continua a muovere la mandibola come per fare andare a posto l’articolazione. Gli ho dato un gran pugno, prendendo in pieno la guancia e di taglio il naso e rompendogli la cartilagine. Un bel lavoro, senz’altro. E di cui non mi pento.

Giusto per farlo parlare un po’, per farlo rilassare gli chiedo di cosa è morta la moglie. Il Mario mi guarda come se non capisse dove voglio arrivare con quella domanda.
«È stato un tumore. Un tumore al seno. L’hanno operata, ma poi le ha preso al cervello. Negli ultimi mesi era diventata demente. La portavo in giro in carrozzina. Le era sempre piaciuto andare in giro per la città.»

Sento che la tecnica giusta è farlo parlare. All’improvviso è loquace. Guardo il Mario come per dirgli, hai visto? Intanto il Vanni sbuffa forte per far sentire quanto trova insopportabile quella perdita di tempo. Lui è per la vendetta, non per le spiegazioni. Io e lui siamo agli antipodi. Per questo è mio amico, nonostante tutto.

Del Mario mi fido meno.  È uno di quelli che prima o poi te la mette in culo. So che prima o poi ce la metterà in culo. In qualche modo, in un qualsiasi modo. E allora sarà dura farlo stare buono, al Vanni. Ma c’è ancora tempo per pensarci.

Intanto io devo capire che cazzo gli è saltato in mente a questo tizio che ho di fronte, di mettere un annuncio per incontri erotici, proponendo a degli sconosciuti una moglie morta di cancro dieci anni prima. Lo devo sapere. Ogni minuto che passa lo voglio sapere sempre un po’ di più.

«Non mi sono mai rassegnato al fatto che sia morta» continua lui, «per me è sempre come se da un momento all’altro dovesse entrare dalla porta con le sue borse e i suoi occhi inquieti.»

«Voi siete sposati? Siete mai stati sposati?»
Nessuno gli risponde. Il Mario ci tiene molto a tenere separata la sua vita coniugale dai suoi vizi, com’è ovvio, quanto a me e al Vanni, meglio stendere un velo pietoso. Ci guarda come se l’assenza di una riposta fosse la prova che non possiamo capire.

All’improvviso mi ricordo che la seconda volta che ci siamo visti, in un altro bar del mio quartiere, voleva a tutti i costi raccontarci del loro viaggio di nozze. Era una cosa stupida, ma al momento mi era sembrata senza importanza. Diceva che erano andati a Parigi in macchina. Con la macchina che aveva prestato loro un cugino. Diceva che lei adorava Parigi. Che lui aveva sempre pensato che lei fosse un po’ parigina. Ricordo, adesso, che aveva addirittura chiesto al Vanni se capiva cosa intendesse con “parigina”. Al Vanni lo chiedeva, che non è mai stato fuori da Milano e che tutti gli anni va una settimana in vacanza ad Alassio, perché ha una sorella che lo ospita e perché lì c’è un bordello che gli piace tanto. Adesso che ci penso in tutti gli incontri che abbiamo avuto con lui, tre in tutto, ha sempre solo parlato della moglie, descrivendoci la sua personalità, la sua bellezza, la sua intelligenza. Credevo esigesse rispetto, rispetto per lei, non che stesse cercando di far resuscitare una morta. Morta da dieci anni. Alla fine del secondo incontro ci eravamo così rotti i coglioni che gli abbiamo detto che o la cosa si faceva presto o tanti saluti. Lui ci ha chiesto ancora un po’ di tempo, un po’ del nostro prezioso tempo, così aveva detto, facendo grugnire il Vanni, e ci aveva promesso di portarci una foto della moglie la settimana successiva. Quando se n’era andato il Vanni aveva dichiarato che il tizio era sicuramente un frocio, e che lui gli avrebbe rotto il culo con una scopa, se non saltava fuori questa sua cazzo di moglie meravigliosa.

La verità è che ci aveva messo l’acquolina in bocca con le sue descrizioni della bella parigina, anche se non aveva mai fatto nessun accenno ai suoi gusti sessuali e a cosa fosse disponibile a fare nel letto. Io e il Mario, dopo aver portato a casa il Vanni, in auto, parlammo a lungo e con eccitazione della cosa. Avevamo dei dubbi, chiaro, ma il gioco valeva la candela, poteva essere davvero una cosa speciale. Ci siamo abituati al fatto che a volte capiti. E questa poteva essere una di quelle volte. «Diamogli un’altra possibilità» aveva detto il Mario.

Il tizio si alza e va in camera sua, chiedendo permesso. Lo lascio fare, mentre il Vanni lo segue per controllarlo. Non penso che chiami la polizia, ma non si sa mai, e sono contento che il Vanni dimostri un po’ di lucidità, anche se è meglio stare attenti, prima che lo massacri. Mi volto verso la porta del corridoio e controllo quello che succede, mentre il Mario mi chiede cosa facciamo.

«Non ci ha ancora risposto» dico io, «ma se tu vuoi andartene, vai pure, e portati pure via il Vanni, mi fermo io, e poi ti racconto.»
«Non se ne parla nemmeno» mi dice lui, «adesso la voglio sentire anch’io la verità.»
«Solo che non so se ce la dirà mai. Ti ricordi che quando abbiamo cercato di stringere quello è sparito? Chissà cosa nasconde. O forse è solo davvero pazzo.»
«Per me no» gli rispondo io, «però è vero che quando al terzo incontro abbiamo cercato di finalizzare, si è congedato e non si è più fatto sentire.»
Ci aveva mostrato quella foto, che poi non era quella della moglie, chissà dove l’aveva presa, e aveva cercato di parlarci ancora di lei, ma io avevo detto che poteva bastare, e che volevamo conoscerla di persona. Che la foto ci era piaciuta e che se la cosa gli interessava davvero, noi eravamo pronti. Anche il giorno stesso. O la sera. Ma lui aveva solo detto: “ci devo ancora pensare” e se ne era andato. Dopodiché non aveva più risposto alle telefonate come ai messaggi. Era sparito. Fino ad oggi, quando l’abbiamo visto camminare per strada, dalle parti di un posto dove andiamo a giocare a biliardo. Abbiamo deciso di seguirlo e di fargli il culo. Fin dentro casa sua, se fosse servito. E così è stato. Mentre il Vanni lo teneva fermo ci siamo fatti dare le chiavi e siamo saliti in ascensore, minacciandolo se avesse gridato. Ed eccoci qui, con i piedi sui cocci del ritratto di sua moglie, senza averci capito ancora un cazzo.

Il Vanni torna dalla camera del tizio.
«Che fa» gli domanda il Mario.
«Si è messo sul letto, a sfogliare un album di foto» dice il Vanni.
Ci guardiamo e ci alziamo, senza parlare. Attraversiamo il corridoio, camminando piano, come se non volessimo disturbare qualcuno. Ma senza sapere perché. In pochi attimi siamo intorno al letto. Tutti e tre. Due per lato e uno ai piedi di un grande letto matrimoniale bianco con la testiera in ferro battuto. È la stessa posizione in cui ci siamo trovati tante volte a guardare una coppia scopare, masturbandoci, in attesa di essere chiamati in azione. Il Vanni sta alla destra, il Mario alla sinistra, mentre io mi appoggio ai piedi del letto e cerco gli occhi del tizio, che continuano a guardare le foto dell’album che sta sfogliando. 

Era bellissima. Una donna stupenda. Era ancora bella mentre il cancro se la portava via. La luce, in certe persone, in certe persone la luce è proprio l’ultima a morire. Lo dice come se potessimo capire. Come se fosse una cosa che a noi dovesse interessare. Come quelle cose che si dicono ai funerali, tra parenti che fanno sì con la testa. Io guardo il Vanni, e mi preparo a fermarlo, perché penso che se non l’ha ancora ammazzato, questo è il momento buono. Infatti il Vanni si avvicina a lui, si siede sul letto e poi succede quella cosa. La cosa che non ha senso. Il Vanni gli toglie dalle mani l’album, lo tiene tra le mani senza dire una parola, poi lo chiude, lo depone sul comodino e abbraccia il tizio, facendo un lungo sospiro dei suoi, pieni di catarro. Lo abbraccia facendogli mettere la testa contro la spalla e se lo tiene così, stretto, come non gli ho visto fare nemmeno con le sue nipotine. Lo tiene stretto e non dice niente. Cerco gli occhi del Mario, ma lui non si sbaglia nemmeno a guardarmi. 

Era solo per parlare di lei.  Diceva il tizio sul letto. Era solo per questo che l’ho fatto. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse parlare di lei. Ma non c’è nessuno che abbia mai tempo. Ho letto degli annunci su un giornale, e mi è venuta l’idea. Lo faccio da anni. Non so se a lei faccia piacere. Ma non c’è nessuno che ascolti volentieri parlare di una donna morta. Ho trovato solo voi. Ho trovato solo quelli come voi.

Piangeva, mentre parlava, e noi siamo rimasti lì, con lui,  ad ascoltarlo parlare della sua moglie morta,  fino all’alba. Immobili. Cose tra le sue cose. A impallidire, insieme, nella notte. 

Tutti e cinque insieme, per quel che restava della notte.

Immagine generata con DALL-E
“two men are sitting at the foot of the bed in a dark room, one hugging the other, impressionist oil painting”