Mare. Chi non lo capisce, non legge i libri giusti.

E poi, eccolo lì. Un giorno. Tra i tanti. Che si sveglia. Che si stiracchia, che si allunga. Che si stropiccia gli occhi bevendo un caffè. Che decide cosa prepararsi per il pranzo. E poi, decide di sorprendersi. Di meravigliarsi. Di andare oltre e darsi un senso. Ed ecco che allora se ne va al mare. È inverno. La stagione dei lamenti. Delle continue lagne perché si ricorda con nostalgia l’estate, che poi, quasi tutte le volte, quando questa arriva, hai smesso di aspettarla. Cùcù sembra farti. Sorprendendoti alle spalle. Ed è così. In tutte le cose. Quando si abbandona la speranza, quelle appaiono. Puff. E come per una insondabile e misteriosa magia, tutte quelle cose desiderate, cercate e non trovate, ti si avvicinano e ti si siedono di fronte, come a dirti: –

«Hai visto? Sono qui. Te lo dicevo che prima o poi, sarei arrivata.».  Ma non puoi fingere. Quelle, se simuli una dimenticanza se ne accorgono, e non si lasciano mica trovare. Quelle, tutte quelle cose, lo sanno quando le aspettiamo, sanno benissimo quando le vogliamo, ed allora se ne rimangono nascoste fino al momento in cui, finalmente, ci scordiamo di loro.

Un po’ come l’amore. Anche lui, come un bambino, non si stanca mai di giocare a nascondino.

Il Mare non è solo un fatto. Un luogo. Un posto o un evento. È un amico. Una persona cara. Lontana. Lontanissima. Saggia. Che ha imparato negli anni a forgiarsi, a tendere l’orecchio ed ascoltare ciò che ha da dire la gente, il più delle volte ascolta chi nella vita non ha mai il coraggio di raccontarsi, di aprirsi, chi non ha la pretesa che qualcuno ad ascoltare ci sia. 

Il Mare è come un Nonno. È il Nonno che resiste all’incessante scorrere del Tempo. È il Nonno allenato alla vita. Il Nonno che non teme più il vivere e che a suo modo ha imparato a farlo. È solitario. Di quelli che in testa portano un cappello color nuvoloni in procinto di scoppiare in una fragorosa pioggia, e che le braccia le terrebbe dietro la schiena con le mani che si intrecciano, e di tanto in tanto, passeggiando si lascerebbe scivolare di bocca un Mah

Ma, per quanta solitudine possa portare addosso, è attento. Non sta ad osservare il generale delle questioni, ma si concentra nei particolari. Da peso ai singoli attimi, a quei piccolissimi dettagli che solitamente vengono trascurati dalle persone distratte, quelle che vanno di corsa, che pensano in cuor loro che la vita è solo un insieme di traguardi ed obbiettivi raggiunti, convinti che l’importanza stia alla fine, errando, in quanto la verità sta nel mezzo. Nel viaggio. Nei passi. Non nell’insieme di questi. Ogni passo è degno di attenzione, meritevole di precisione. 

Sa abbracciare, il Mare. E non solo quando gli vai incontro correndo, perché anche tu hai bisogno delle sue braccia antiche e infinite. Lui, il Mare, abbraccia più forte quando non lo tocchi. Non lo insegui. Non pretendi. E soprattutto sa quando è il momento buono e giusto per un abbraccio. Sa quando è davvero necessario che ci sia. Allora, al Mare, si va. Si cammina. Si guarda il cielo con il naso all’insù, e ci si lascia strappare via di dosso tutti quei pensieri negativi che servono a poco. Che non sono necessari al vivere. Ci si siede. Su di uno scoglio, accanto al Mare e si tace. Si rimane in silenzio, condividendolo con quel Nonno, che è il Mare che aspetta solo il momento buono per poter parlare.

 

Ciao. Si, scusa. Hai ragione. Me ne dimentico sempre. Eppure, me lo hai detto. E non una volta sola. Ma poi, che dire, ci si dimentica sempre ciò che ci è più comodo non capire fino in fondo. È umano. Ma tu, non lo puoi comprendere fino in fondo. Eppure, il tuo fondo è profondissimo. Quanti metri ci vorranno prima di toccare il tuo punto più vulnerabile? Quello che così tanto gelosamente tieni nascosto sotto le tue onde. 

Tu, in fin dei conti, sei Mare. Sei, sempre. Sei per sempre. Esisti, sempre. Quanti anni hai davvero tu? Qualcuno te lo ha mai chiesto? Forse un bambino, mostrando quanti anni ha nelle proprie manine ti ha rigirato la domanda. E tu lì, sei rimasto in silenzio?

Ma tu, Mare, non sai che cos’è la paura. Quella vera, intendo. Quella che provano gli uomini.  

Quella, alla fine, più ridicola: l’insicurezza. 

Tu, di questa non ne hai traccia nel tuo essere. Sicuramente sai di cosa parlo. Ne hai viste così tante. E quante storie che senti. Ma non se ne trova una briciola tra quel tuo continuo ondeggiare. Eppure, ora ricordo. Si, mi ricordo perfettamente. Me lo hai detto. «Non parlare.» mi hai detto. Aggiungendo anche un «Te ne prego.» e dopo aver detto questo dal blu delle tue labbra, sei rimasto nuovamente in silenzio. Quel silenzio che in musica prende il nome di “pausa” ed è importante quanto le altre note, tutte quante messe insieme, che è il tuo invito all’ascolto. Ma è proprio qui che mi perdo e mi confondo. È paura. Di nuovo quella maledettissima paura che l’uomo possiede nella pancia, tutta aggrovigliata. Mi chiedo, che cosa potranno mai udire le mie orecchie se tu smetti di parlare. Ti muovi tra pentagrammi di silenzi. E chiedi a me di non aggiungere parole al nostro saluto? Mah.

Forse sono soltanto troppo giovane. Sarà forse per questa mia condizione che il silenzio lo capisco poco. O non lo tollero mai abbastanza. Per paura. Quella solita insicurezza della quale tu, per tua grazia, non fai esperienza.

Allora, farò così. Oggi che sono qui, sorpresa dal tuo incontro in questa stagione pigra che cerca calore sotto le coperte e con gli occhi al buio, giocherò. Come si fa da bambini. Impersonerò un adulto. Uno un po’ stanco della vita, perché ne conosce a memoria i bordi e i margini e non si lascia più sorprendere dagli imprevisti. Che se li prevedi, gli imprevisti, non lo sono più. E rimarrò a bocca chiusa. Anzi, cucita. Ti guardo. Non parlo. Non un fiato. Nemmeno un leggero fischiettio per avere qualcosa a girarmi nella testa. Che cosa? Come dici? Si, è un sorriso. Dai, che lo sai. Ah, ora dici che dovrei dirlo? Si, va bene. Mi fai sorridere. Che è molto diverso dal ridere. Si, hai ragione. Ora l’ho capito. Non hai usato parole, ma ti ho sentito. Sai che cosa? Rimango un altro po’ qui. In silenzio. Vuoi? 

E poi, eccolo lì. Un giorno tra i tanti. che degli altri, non ha proprio niente.

Immagine generata con DALL-E
“an abstract oil painting of the sea”