Diciott'anni
«Ho diciott’anni… e sono libera.»
Aldo non si mosse, salvo un’impercettibile oscillazione del cappello, che mi sembrò scendergli di poco sulla fronte.
Seduta sulla panchina, lei aspettava.
Gli orecchini di acquamarina le donavano molto, perché avevano una particolare sfumatura che si avvicinava tantissimo al colore dei suoi occhi liquidi. Mosse piano la mano destra e aprì la borsetta di pelle marrone appoggiata sulle gambe. Tirò fuori il fazzoletto ricamato, quello con la sua iniziale, e asciugò veloce le lacrime che ultimamente uscivano spesso, da sole. Non stava piangendo, l’oculista aveva detto che i condotti lacrimali avevano subito una qualche lesione ma lei non voleva sentir parlare di interventi, i suoi fazzoletti sempre profumati andavano benissimo per arginare il problema.
Mi accorsi che Aldo stava sbirciando, anzi, proprio le guardava le mani. Finalmente inclinò lievemente la testa, sembrava volersi appoggiare sulla spalla imbottita del cappotto vermiglio che lei portava aperto. Le diceva qualcosa ma io non riuscivo a sentire, bisbigliava. Poi lei sorrise guardando avanti, verso il prato ancora bagnato come i suoi occhi che brillavano di pura emozione. Aldo si alzò sotto il suo sguardo rapito ma non andò lontano, giusto quattro passi per chinarsi e raccogliere un paio di margherite, quelle piccole che crescono spontanee e ce ne sono tante in primavera.
Tornò a sedersi e lei abbassò il viso.
Sapeva che cosa stava per succedere. Stava seduta e aspettava i suoi fiori. Senza nemmeno sfiorarla Aldo infilò le margherite nel fermaglio che le raccoglieva ordinatamente i lunghi capelli, e lo fece senza esitare.
E allora lei si sentì bella.
«Ho diciott’anni… e sono libera.» lo disse decisa, stavolta.
Si cominciava a sentire nell’aria quel profumo dei pini che riempie i polmoni di buono – “respira profondo che fa tanto bene”, mi diceva la nonna all’uscita da scuola – e ho inspirato più forte, così, per istinto, fermandomi al massimo per qualche secondo; e poi via tutta l’aria, a restituire quel buono che mi aveva saturato il petto e a salvare il bottone centrale della mia camicetta nuova.
Aldo le si era avvicinato un tantino, giusto quel poco per sfiorarle la gamba con i pantaloni blu un po’ demodé – ma come si veste? – e lei lasciava fare. Era questo quello che voleva? Poi le ha messo il braccio insicuro intorno alle spalle, quasi senza appoggiarlo, lei ha inclinato la testa verso destra e ha appoggiato piano la guancia.
Io sapevo quello che stava per succedere.
A me è successo prima dei diciott’anni, e il ricordo era tanto dolce, lontano ma dolce. Mi veniva da ridere al pensiero, perché in quarta elementare ero fermamente convinta che avrei dato il mio primo bacio a dodici anni. Eh sì, proprio così. In quel periodo con Gaia e la Clo passavamo le ricreazioni e i pomeriggi insieme a pianificare questa nostra prossima, elettrizzante esperienza. E così una mattina – eravamo affacciate alla finestra della IV B che dava sul bel cortile – con una sicurezza che solo allora sono riuscita ad avere sul mio futuro, ho esclamato:
«Io il primo bacio lo darò a dodici anni. Come Candy Candy, nella puntata di ieri ha baciato Antony, l’avete vista?»
Gaia era perplessa ma la Clo, come sempre, aveva esagerato rincarando la dose delle aspettative:
«Io invece voglio farmi fotografare nuda ma con la faccia coperta, così non mi riconoscono»
Gaia era ancora più muta.
«Ma sei matta?» ero sbottata.
La cosa era finita lì. Non so se la Clo abbia realizzato il suo sogno, ma quel primo bacio io l’ho avuto per davvero. A dodici anni, come Candy Candy.
Ed eccomi qui, quasi per caso, quasi a rubare il momento dolce e sublime del primo bacio di un’altra, a rivivere come spettatrice tutte le attese di quel momento magico e intimo che ti fa sentire donna, forte, potente come non mai.
Aldo sollevò piano l’altra mano ad accarezzarle il viso sfiorandolo appena, come nei film¸ le voltò piano la testa e inclinò la sua, trovando finalmente nuove labbra già pronte. Mi sembrò il bacio più lungo della storia del cinema. Le lacrime che ora continuavano ad uscirle erano diverse, erano turbamento, felicità, speranza di tutto il bello che sarebbe arrivato. Era questo che lei voleva.
Una goccia sul braccio. Il vento, in pochi minuti, aveva riportato in cielo le nuvole e in me la chiara consapevolezza di trovarmi lì per una precisa ragione. Dopo un nuovo, largo respiro, non troppo per via della camicetta, mi sono avvicinata alla loro panchina.
«Ciao nonna, sta piovendo.»
Restò ancora un attimo attaccata alle labbra del signor Aldo e poi si girò verso di me. Non volevo lasciarle il tempo di parlare, di riconoscermi anche solo per un attimo, di intuire tutta la distanza fra la sua mente e la realtà intorno, fra i suoi novant’anni di oggi e suoi diciott’anni di ieri, quelli dell’incontro con mio nonno, l’unico uomo della sua vita, il grande uomo di tutta la vita, ormai da tre lustri non più fra noi.
«Li senti i goccioloni? Guarda, la tua borsetta si sta bagnando. Dobbiamo rientrare nonna, non abbiamo l’ombrello. E poi piove anche per il signor Aldo, anche lui adesso si ritira, ecco che arriva Larisa per accompagnarlo a casa.»
La aiutai ad alzarsi, e anche lui si alzò. Stavano attaccati, sottobraccio. Larisa portava due ombrelli, dalla finestra della cucina aveva visto che il tempo era di nuovo cambiato.
Mentre Aldo si allontanava spedito con la sua badante abbracciai la nonna, stringendola a me sotto l’ombrello. Lo guardava rapita, sperando in ultimo gesto di quell’uomo che le aveva rapito il cuore e i sensi. E dopo pochi passi Aldo si fermò, si voltò, e con il sorriso furbetto di un vecchio di vent’anni le gridò:
«A presto!»
Le lacrime della nonna scendevano con la pioggia che già ci aveva inzuppate e i suoi occhi brillavano come il sole delle giornate più belle.
Immagine generata con DALL-E
“Half face of an old lady with green eyes, white hair and a daisy in her hair. a tear falls but she is smiling. in the style of Renoir”