Racconto breve per un natale

Spalancò gli occhi. 

Da quanto sono qui?

Di nuovo quella fitta, il cuore aveva preso la rincorsa. Intorno, buio pesto e silenzio assoluto. Si sollevò un pochino, per svegliarsi meglio. L’odore pungente di quella catapecchia le faceva schifo. 

Da quanto non usciva? Era stata attenta a non farsi vedere da nessuno. L’ultimo ricordo era di una stanchezza improvvisa. Si era buttata su una vecchia coperta, usata da chissà quante persone prima. Le arrivavano voci da fuori, qualcuno rideva. Pescatori. Il mare intrappolato nelle nasse, pronte a essere buttate di nuovo per fare man bassa di gamberi, entrava nelle sue narici dilatandole a dismisura, le pareva. Attraverso la finestra rotta, con gli ultimi raggi di sole, si era insinuato un venticello tiepido che l’aveva cullata e trasportata in sonno profondo. 

Di nuovo quel dolore. Sul tavolino sghembo un cartone di latte stava lì da chissà quanto. Tanto di sicuro, a considerare le zaffate rancide. Eppure riusciva a distinguere un aroma dolciastro, qualcosa di antico e familiare, che la faceva sentire al sicuro. Richiuse gli occhi, in un dormiveglia ninnato dal rumore lieve delle onde, là fuori. Nel sogno confuso quel profumo la portò verso immagini conosciute. Voce di donna – sua madre? –, una figura di spalle con i capelli lunghi e le mani veloci a mischiare insieme cose buonissime. Poteva sentirne il sapore. Era il pane grande che quella signora mescolava con del latte fresco e la mollica diventava ancora più morbida. In un attimo quella pappa si trasformava in una ciambella calda e lo zucchero a velo le scendeva sopra, copriva il tavolo, le sedie della cucina, la televisione accesa e si stendeva sulle piastrelle azzurre del pavimento. Aprì la bocca, pronta a raccogliere quel bendidio che pioveva dal soffitto incantato.

Spalancò gli occhi. 

Cos’è stato?

Un rumore, proprio fuori dalla porta, sulle assi rotte. Il cielo stava cambiando colore e cominciava a distinguere i contorni di quella baracca puzzolente. 

Shh, stai zitta, immobile, non farti scoprire. La lingua di fuori cercava al risveglio quella meraviglia che il sogno le aveva portato, insieme con il ricordo della sua vita passata. Quella che aveva lasciato quando, in qualche modo, si era persa. La tirò dentro e si mise in ascolto. Nessuno. Restò su un fianco, incollando i ricordi della donna che le aveva fatto da mamma. Le mancava tanto, soprattutto in quel momento. Si accorse che le faceva bene pensare a lei, riusciva a distogliere i pensieri che continuavano a riportarla al branco.

Di nuovo uno spasmo, giù in basso, e un calore fortissimo. Tirò su la testa, giusto per sbirciare sotto. Un liquido arancione l’aveva sporcata tutta e scivolava sulla coperta lurida, aggiungendo il suo odore alle trame della lana grigia. Fra le cosce, una poltiglia appiccicosa esalava un effluvio amaro, metallico.

Nessuno l’aveva preparata a quel momento – chi mai l’avrebbe pensato, a quell’età? – ma lei sapeva. Quello che stava per succedere le avrebbe portato sofferenza, sangue e qualcuno di cui doversi occupare, almeno per un po’. Mai avuto tette tanto grandi e gonfie. Con quelle ce l’avrebbe fatta a fare subito da madre, a sentirsi utile per il tempo concesso. Prima di.

Il peso, laggiù, si faceva insostenibile. La voglia di gridare le spaccava la testa, e a stento tratteneva i versi, strozzandoli in gola.

Con il branco non era stato così, con il branco aveva gridato tanto. Allora sì, avrebbe voluto che qualcuno la sentisse, che l’aiutasse, la proteggesse.

Era stata ferita, violata. Per giorni, vagando terrorizzata sulla spiaggia, aveva sentito addosso l’odore della violenza e della propria paura. 

Con l’ennesima ondata di dolore, qualcosa uscì dal suo corpo. E poi di nuovo. 

Che cosa sono?, si chiese prima di perdere per un attimo i sensi. 

Spalancò gli occhi. Non c’era tempo da perdere. Alla propria fatica avrebbe pensato dopo. Si tirò su, sul fianco sinistro, e avvicinò il muso a due cose sporche. Con le poche forze fece il possibile per leccare via quel pasticcio che avevano addosso. Spuntarono degli occhietti chiusi. E una pelle liscia, fragile. La cosa marrone se ne stava immobile, quella tutta bianca si alzava e abbassava piano, al ritmo di un respiro veloce.

Capì al volo che una delle sue figlie avrebbe continuato a tenere gli occhi chiusi. 

Cercò di sistemarsi meglio, quell’altra doveva attaccarsi alle mammelle, solo così ce l’avrebbe fatta. La avvicinò piano, si appiccicò a lei, la guidò verso il suo latte. 

La svegliò un tripudio di odori nuovi. Vide due uomini e una donna, in piedi lì davanti, che sapevano di sale e di pesce. Le si tesero i muscoli e finalmente vomitò il ringhio che aveva tenuto per troppo tempo. Controllò subito dove fosse la cosa tutta bianca, nessuno deve toccarla! 

La piccola era ancora lì, con lei. E accanto alla coperta scoprì una ciotola grande, piena di acqua fresca.

Dicendo parole che suonavano impregnate di zucchero a velo, la donna mostrava i denti come le persone quando sono felici, e questo fece fermare il tremito che la scuoteva da dentro. Sapeva di buono. Dopo tanto tempo la giovane mamma annusò odore di casa. 

Uno degli uomini passò alla donna un sacchetto. Quella lo prese e lo rovesciò per terra, senza avvicinarsi troppo.

Gamberetti. I pescatori erano rientrati.

Immagine generata con DALL-E
“shrimps fall from an overturned plastic bag onto a damp floor; realist painting