Quei due là

Quei due là siedono limitrofi su una panchina in pietra, lungo il molo dei murazzi. Il Po li accompagna con rumori d’acqua che si infrange, immerge e risolleva, a diverse modulazioni, sul suo pelo. Un motivo che non si ripete mai esattamente e che pure è in grado di cullare, in qualche modo, chi permetta al silenzio di frapporsi tra il proprio udito e il resto del mondo. Quando ciò accade, è la natura ad infilarsi tra gli umori, a determinare, o risvegliare, una qualche fissità nella memoria.

«Ultimamente scrivi racconti che trattano di incontri.» Una voce fuori campo, un timbro che riconosco, eco del passato, mi interrompe. Decido di risponderle, contravvenendo al normale flusso narrativo.

«Forse perché credo che l’incontro sia occasione di cambiamento, anzi spesso incontriamo qualcuno proprio perché qualcosa ha già cominciato a cambiare in noi, e l’altro lo rende semplicemente più manifesto. Forse ho bisogno di cambiamento, di un incontro speciale, e raccontarne è un po’ sperare che possa avvenire.»

«Forse. E gli addii invece?» La domanda mi lascia un istante in silenzio. Il tempo sufficiente affinché qualcosa si raggrumi in gola. Mando giù, è amaro. Butto fuori la mia risposta, per non soffocare.

«Ecco, gli addii avvengono quando non c’è più possibilità di cambiare o non se ne accettano le conseguenze, del cambiamento intendo. Lo precede un periodo durante il quale si è fermi, ancora insieme eppure insoddisfatti, entrambi. In realtà, anche gli addii avvengono perché qualcosa è già cambiato, anche se fuori, per lo più, tutto sembra immutato. È dentro che le emozioni non si muovono più sincrone tra i due. Qualcuno, silenziosamente, si rassegna a quel cambiamento. Riesce a staccarsi.»

«Altri invece in silenzio si disperano ancora, e rimangono là come almeno uno di quei due.» La voce sfuma parlando, ed in quello sfumare comprendo che ha concluso. Il fiume è tornato.

Così è per quei due là. Non parlano, né si guardano neanche, non del tutto. Quell’asimmetria delle emozioni si ribalta sui gesti. L’imbarazzo assedia e trattiene, nelle mura di chissà quale orgoglio o delusione, le parole che potrebbero, “ma non è detto”, far breccia per riavvicinare chi è già lontano, distaccato, con la mano protesa a seminare briciole per terra ai passerotti, unici a rallegrarsi rimpinzandosi lo stomaco, in quella circostanza tanto magra e che è ciò che rimane di quei due là. Si tratta della ragazza, della sua mano, del suo volto appena coperto dai capelli, chino sui volatili, che pare abbia dimenticato chi ha di fronte. Rassegnata al non c’è più nulla da fare se non concedere un po’ d’amore a quegli altri esseri che le si avvicinano vinti più dalla fame che assecondati dalla fiducia.

Lui le fissa quel gesto. Lo accompagna, e chissà per quanti giorni, quante volte, ancora continuerà ad accompagnarlo, in assenza di lei, nella propria mente.

Piccoli rituali a cui attaccarsi per non voler dimenticare, propiziandosi stelle e altari affinché l’altra faccia altrettanto. “Ma non è detto”, gli sussurrano nuovamente i suoi stessi pensieri e così si spengono in lui le parole, la speranza, e la disperazione gli scolora il viso. 

Quei due là si riducono a riprodursi nei ricordi di altri due, che oramai non esistono e non lo sanno ancora. Come tanti altri passati di là, stentano a credere stia accadendo, eppure il fiume non riesce più a sovrastare il loro silenzio divenuto assordante persino per un osservatore. Non li si riesce più a guardare con la stessa discrezione, qualora ci fosse stata, riserbo è il termine più vicino, di chi li ha sorpresi, decidendo di scriverne. 

Tutto ciò perché quei due là…

«…siamo noi.» Io e l’altra voce, unisoni. 

Immagine generata con DALL-E
a hand of a person sitting on a stone bench gives crumbs to a bird, painting”