un'immagine che mostra un divano con una bottiglia di birra infilata tra due cuscini, un pacco di salatini, salatini sparsi e un cuscino blu sulla sinistra

Grazie per il suo tempo

Tra i vari pensieri che può avere un maschio etero sulla trentina c’è di certo la questione amorosa.

Agostino si alzava al mattino, scrutava le sue prime rughe sul contorno occhi, tirava e stendeva i lembi di pelle, si spazzolava i denti, sciacquava con il collutorio senza alcol al mentolo, faceva i suoi soliti gargarismi e pensava che, da qualche parte, in una delle tante case della sua regione, c’era una ragazza single che seguiva le stesse abitudini. Agostino era senz’altro un uomo metodico, ma non gli piaceva definirsi statico, sedentario o ossessivamente votato alla routine. Eppure, di fatto, si può dire che lo fosse. In quel periodo era reduce dal licenziamento. Il contratto presso la fabbrica di prodotti chimici in ambito sanitario era scaduto e non gli era stata proposta nessuna proroga, così si ritrovò a casa con una borsa rigida piena di detergenti per le mani, un assegno di disoccupazione e una buona, per così dire, dose di demotivazione.

Essendo pieno inverno, le giornate erano spesso uggiose e melanconiche, e ogni buon proposito di alzarsi dal letto col piglio giusto veniva smorzato in partenza da una coltre di nuvole grigie e da un’abbondanza di spessi banchi di nebbia. Dunque si ritrovava a poltrire a casa senza alcuna intenzione di vestirsi bene per provare a uscire. Si cambiava solamente dopo aver fatto la consueta doccia mattutina e anziché rimettersi in pigiama, indossava una comoda tuta felpata. Se ne stava a guardare i talk show in onda sui primi canali, a cercare una nuova occupazione fra gli annunci dei siti delle agenzie e, dopo una ricerca spesso fallimentare perdeva una buona mezz’ora su tre diversi siti di pornografia gratuita. Apriva i tre siti e cercava le sue categorie preferite: anale, rosse e mamma + figlia. Dopodiché si alzava dalla sedia, andava in bagno a prendere il suo lubrificante commestibile alla fragola, dei cleenex, e si assicurava che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave, anche se abitava da solo in un bilocale. Non si poteva mai sapere. Abbassava il volume, perché le pareti erano di carta, e cominciava ad aprire una finestra dopo l’altra scegliendo accuratamente i video più adatti al suo stato d’animo o al suo desiderio sessuale. Magari si ritrovava ad aprire sette, otto o nove video diversi. Con la mano sinistra muoveva il mouse, con l’altra si lasciava andare al piacere. Spesso però rimaneva deluso dai video che lui stesso aveva selezionato e cliccava sopra la x, avendo a disposizione solamente non più di due o tre video.

Mezz’ora per decidere i porno, tre o quattro minuti per venire.

Questo era il suo programma del mattino.

Dopo pranzo usava stappare una birra, sbocconcellare dei salatini e guardarsi attorno, contemplare le pareti di una casa che vedeva ogni giorno e, semplicemente, pensare. Ma Agostino non ragionava sulla sua vita, piuttosto rimuginava sul suo status. I pensieri non erano altro che parole in sovrimpressione, messaggi rapidi e incontrollabili che la sua mente lanciava come frecce. In fondo alla bottiglia di birra, alla confezione di salatini, o nei punti ciechi delle sue pareti, fra i fori delle tapparelle abbassate da cui penetrava appena la luce del giorno,

Agostino cercava una risposta facile a una domanda complicata: perché sono ancora solo?

Lele, che era uno dei pochi colleghi con cui era riuscito a legare davvero, gli diceva che secondo lui era una questione di autostima, di penuria di pensieri positivi. Lele era un giovanotto spigliato, sui ventitré, che lavorava in fabbrica per pagarsi il master di marketing digitale. Aveva i capelli rasati a pelle ai lati, un paio di occhiali sottili e tondi alla moda e un piercing sotto il labbro inferiore. Aveva dei lineamenti fini, sbarbato, e con grandi occhi azzurri. Alla luce del sole, attorno alla pupilla gli si creavano minuscole onde violacee. Andava a trovare Agostino una o due volte a settimana, dopo il turno pomeridiano, quando staccava alle dieci e gli portava rotoli di carta igienica e budini alla vaniglia. Era il suo modo per prendersi cura di lui e di, diciamo, vendicare il suo licenziamento.

Era un bravo ragazzo.

Un giorno in cui Lele era di riposo, prese il suo computer portatile e andò a casa di Agostino per fargli compagnia e, al tempo stesso, studiare per il master. Per verificare che Lele stesse effettivamente imparando Agostino si propose di aiutarlo con un test.     «Mettiamo che io sia un imprenditore digitale, che abbia sviluppato un’app di incontri rivoluzionaria e che voglia pubblicizzarla.

    «Okay»

    «Come dovrei fare?»

    «Punterei a mostrare al pubblico uno dei maggiori punti di forza della tua app, per cominciare. Una cosa che la differenzia da tutti gli altri competitori»

Agostino rifletté sulle sue parole, poi lanciò un’idea.

    «La mia app di incontri ha un servizio clienti eccezionale, su misura del singolo individuo e che trova la tua anima gemella attraverso lo studio di persone reali e non solo di un algoritmo»

    «Come Love Time?»

    «Love Time?»

    «Sì, è un’app appena uscita. È sulla bocca di tutti. Ad oggi, dopo solo due mesi, conta tre milioni di utenti, ed è ancora in crescita»

    «Spiegami un po’»

    «È semplice: scarichi l’app, ti iscrivi, inserisci i tuoi dati personali (altezza, peso, colore degli occhi, colore dei capelli, gusti personali in fatto di cibo, orientamento politico, orientamento sessuale, moda, musica, film, libri e chi più ne ha più ne metta. Più dati fornisci più l’algoritmo macina e più gli assistenti, che sono persone che hanno una formazione adatta a quel tipo di ruolo, hanno la probabilità di trovarti l’anima gemella»

    «Ma è pazzesco!»

    «Puoi dirlo forte».

Nei giorni seguenti, Agostino non fece altro che pensare a quella nuova applicazione. Fuori dalle mura del bilocale, gennaio ricordava all’intera città che l’inverno è una stagione che si prende il suo tempo. Il sole tardava a svegliarsi, come un bambino che vuole dormire altri cinque minuti prima di prepararsi per andare a scuola, e quando ormai si faceva mezzogiorno e il calore scaldava il terreno, si erano già fatte le quattro e il sole lasciava spazio alla prima luna, alla fresca folata di vento che portava via le nuvole. Ma persino il vento rallentava il passo, e le nubi si fermavano un po’ di più, come quell’amico che viene a trovarti di tanto in tanto e che dice “ora devo andare” ma continua a parlare.

Agostino alzava le tapparelle prima di cena, quando il bagliore della luna era più sopportabile dei raggi solari. Quella sera, dopo aver prosciugato la terza birra, stava giocando con l’ombelico, spaparanzato sul divano, con il mento appoggiato al petto e il sedere sprofondato nel cuscino del sofà. Vorticava l’indice nell’ombelico e si stupiva della lanugine, si domandava da dove venisse e perché si formasse proprio in quel piccolo buchetto del nostro corpo. Pensò a Love Time e gli sopraggiunse la domanda ricorrente: perché sono ancora solo? Così, fu colto da un flusso di pensieri, sicuramente favoriti dall’alcol. Lele gli diceva che doveva essere positivo per piacere alle donne, di essere sicuro di sé. Allora si alzò dal divano, soffocò un rutto e andò a guardarsi allo specchio. Si trovò di fronte a un uomo sulla trentina che ne dimostrava almeno quaranta, con una pancia rigonfia e con una striscia pelosa dall’ombelico fino al pube. La pelle del viso sfibrata, i muscoli affaticati e mollicci. Pensò: come faccio ad attrarre una donna in queste condizioni? Certo, fossi almeno carismatico, o perlomeno… fossi consapevole delle mie capacità, delle mie qualità. Avessi almeno una cosa attraente. Ora che mi guardo, però, neanche io sarei attratto da me. Una donna non vuole un uomo perfetto, credo, vuole un uomo che si vuole bene.

Nell’istante in cui ebbe quell’intuizione, il suo corpo ebbe uno spasmo. La sua pelle gli stava lanciando un segnale: doveva provarci.

Inserì i dati fondamentali a superare i requisiti di accesso. L’app non discriminava nessuno. Lui caricò due fotografie, una in primo piano e una a busto intero durante una partita amatoriale di rugby con i colleghi della fabbrica. Aveva una bella espressione soddisfatta e di fatica, con il pollice su e la palla sotto l’ascella. Riempì le caselle di peso, altezza, caratteristiche estetiche essenziali, schieramento politico, cibo preferito, luoghi che gli sarebbe piaciuto visitare, film preferito, gruppi o cantanti del cuore. Lasciò pochissimi campi liberi. Etero, ricerca di un partner monogamo.

Via.

Era felice come un bambino con lo zucchero filato, speranzoso come un giocatore di poker che ha in mano le carte vincenti. Aveva già ottenuto tre compatibilità. Una ragazza di ventisette anni di Pordenone, una donna di quarantaquattro anni, separata, senza figli, di Udine e una ragazza senza l’anulare della mano sinistra della sua età con diversi punti in comune. Provò ad approcciare con tutt’e tre. La prima lo liquidò in gran fretta per la distanza. Lei era sì disponibile a trasferirsi per amore, ma lui era fin troppo lontano (Agostino è umbro).

Mentre parlava via chat con la ragazza senza anulare, Agostino sentiva di essere nel posto giusto, di parlare con la persona giusta. Le sue dita battevano sulla tastiera con smania. Era la prima ragazza con cui riusciva a intavolare una conversazione dopo anni e lei non sembrava come le altre. Era affabile, rispettosa e curiosa di conoscerlo. Poi, d’improvviso, il sistema cominciò a rallentare. Le lettere che digitava si aggiungevano con fatica l’una davanti all’altra.

L’app inoltrò una notifica: “Al fine di garantire l’efficacia del servizio, il sistema interromperà la chat per guasto tecnico”. Il display si fece prima nero, poi mostrò una barra di caricamento e poi tornò del colore iniziale, riportando Agostino alla schermata principale. Poi, un’altra notifica: “Hai bisogno di un aiuto? Chiama la nostra assistenza clienti. Per procedere, clicca qui”.

Agostino cliccò e partì una voce registrata.

    «Gentile cliente, questa è l’area di Love Time riservata all’assistenza. Se vuoi segnalare un account fake digita uno. Se vuoi modificare i criteri di ricerca della tua anima gemella digita due. Se vuoi esporre un reclamo digita tre. Per la versione plus digita quattro. Per parlare con un operatore in caso di guasto tecnico digita zero».

Agostino digitò zero. Si alzò dal divano e andò in cucina. Aprì il frigorifero, lo scrutò con attenzione. Il cellulare premuto contro l’orecchio e l’altra mano appoggiata sulla porta.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

Di sottofondo, L’attesa di Fabrizio Paterlini.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

    «Okay», rispose come se qualcuno potesse sentirlo.

    «Love Time è l’unica dating app con assistenza reale supportata dal sistema digitale. Persone vere, vere emozioni»

Agostino si rimise dritto, aprì la credenza e prese la busta di noccioline, che però era quasi vuota.

    «Addirittura lo slogan pubblicitario. Sono avanti, questi.

Il pianoforte cullava l’attesa.

Si aprì un’altra birra, ingurgitò due noccioline e distese le gambe sul divano. Mentre aspettava intravide un filo pendente sull’orlo dei pantaloni della tuta. Così pinzò l’estremità tra indice e pollice, affusolò il dito attorno e diede uno strattone. Poi lo gettò a terra.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perd… Click. Buonasera, sono Simona, operatrice otto tre due, rispondo dall’Italia, come posso esserle utile?»

Agostino stava ancora macinando le noccioline, quindi si affrettò a masticare per rispondere. Calò un goccio di birra e si presentò.

    «Buonasera Simona, sono Agostino. Io, ehm, avrei un problema»

    «Sono qui per aiutarla. Mi dica pure»

Aveva una voce accogliente, limpida, gentile.

    «Mi dice che c’è stato un guasto tecnico»

    «Non specifica altro?»

    «Ehm, no»

    «Bene, signore. Mi dà il consenso per accedere al suo profilo e verificare l’entità del guasto?»

    «Certo, certo», e bevve un altro sorso di birra.

Agostino sentì le dita battere sulla tastiera.

    «Dunque… qui segnala un guasto tecnico di tipo B»

    «Sarebbe?»

Dall’altro capo della cornetta, all’orecchio di Agostino arrivò una breve risata.

    «Sarebbe come l’amore: difficile da spiegare. Facciamo prima a risolverlo che a spiegarlo»

    «D’accordo. Purché possa tornare a chattare»

    «In un battibaleno, signore. Mentre siamo in linea sto già provvedendo»

    «Che servizio!»

    «Siamo i migliori!»

Un attimo di silenzio. Agostino ne approfittò per mettersi in bocca una manciata di noccioline. Poi si scrollò dalle mani il sale residuo sui palmi.

    «Bene. Il guasto dovrebbe essere risolto a breve. Potrebbe dirmi cosa vede sullo schermo?»

    «Ehm… », Agostino diede un’occhiata al display, «vedo la schermata iniziale»

    «Questo è strano. Potrebbe provare a chiudere e riaprire l’app?»

    «Certo»

Agostino lo fece. Ma non successe nulla.

    «Molto strano. Signore, le chiedo scusa ma devo trasferire la chiamata a un collega. È un operatore con formazione tecnica. Riuscirà senz’altro a esserle d’aiuto»

    «Certo. Ripeto: purché io possa tornare a chattare»

    «La ringrazio ancora per la disponibilità e l’attesa, signore»

    «Grazie a lei per l’aiuto»

Click.

L’attesa di Fabrizio Paterlini. Agostino emise un sospiro.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

    «Che ore sono?»

L’orologio a muro segnava le dieci di sera.

    «Lavorano ventiquattro ore su ventiquattro? Che roba».

    «Buonasera, sono Gianluigi, operatore sei due sei, rispondo dall’Italia, ha segnalato un guasto tecnico, corretto?»

    «Salve Gianluigi, sì. Esatto. La sua collega mi ha…»

    «Sono al corrente di tutto. Dunque, attenda un istante»

    «Certo»

Agostino passò il telefono da un orecchio all’altro, cambiando mano. Poi strisciò i piedi verso la cucina e si mise a lavare i piatti sporchi nel lavabo. Appoggiò il cellulare sul ripiano vicino allo scolapiatti, attivò l’altoparlante e rimase in attesa. In sottofondo, non riusciva a distinguere nemmeno il respiro dell’operatore. Solo il suo, con l’affanno dell’alcol, sembrava opprimergli il torace. Mentre strofinava un piatto con la parte ruvida della spugna, sentiva le gambe afflosciarsi, i muscoli delle braccia indolenzite.

Da quando era cominciata la telefonata erano già trascorsi trentacinque minuti.

    «Gianluigi?»

    «Sì?»

    «No, niente. Non la sentivo più»

    «Sì, chiedo scusa se non mi sente. Sto provando a risolvere il problema»

    «Certo, certo. Ma, a proposito, qual è il problema?»

    «Posso essere franco?»

    «Certamente»

    «È difficile da spiegare»

    «Anche la sua collega ha detto la stessa cosa»

    «In realtà, a essere ancora più franco, è difficile da spiegare perché non sappiamo con esattezza quale sia il problema»

Ad Agostino scivolò il piatto dalle mani. La schiuma gli gocciolava lungo il braccio.

    «Come sarebbe a dire, scusi? Voi lavorate lì, dovreste saperlo»

Cominciava a indispettirsi.

    «Non tutti gli operatori sono preparati per questo tipo di guasti»

    «Ma in cosa consiste questo tipo di guasto?»

    «Non glielo so spiegare con certezza»

    «Allora perché dice “questo tipo di guasto”?»

    «Lascio il suo caso ad Alberto, un altro operatore. Saprà come aiutarla»

    «D’accordo»

Speriamo che sia la volta buona, questa, si disse.

Sciacquò la tazza, il bicchiere e si asciugò le mani.

Musica d’attesa.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

    «Non riaggancio, però… che cazzo»

Rimosse l’altoparlante e strisciò ancora i piedi verso il bagno. Si scrutò per bene allo specchio. Si accarezzò la pancia, poi abbassò il mento. La curva della pancia ostruiva la visione del suo sesso. Inspirò dal naso ed espirò rumorosamente, quasi rassegnato. Alzò le braccia e le mosse in su e in giù, a destra e a sinistra per attivare la circolazione.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

In sottofondo, il pianoforte.

Tornò verso la sala e, all’improvviso, batté il piede contro l’angolo del tavolino davanti al sofà. Massaggiandosi il mignolo con la mano, si sedette sul divano, bevve un altro sorso di birra. Prese due cuscini, li lanciò verso un bracciolo, li tastò con due pugni e vi appoggiò la nuca. Distese le gambe e le incrociò.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie».

«Buonasera, sono Ernesto, operatore tre cinque uno, rispondo dal…»

    «Salve, scusi, ma io dovrei parlare con Alberto»

    «Mi hanno passato questa telefonata. Il signor Agostino, giusto?»

    «Sì, ma a me hanno detto che Alberto mi avrebbe aiutato»

    «Alberto?», chiese confuso l’operatore.

    «Gianluigi, suo collega, ha detto: lascio il caso ad Alberto»

    «Ah, Gianluigi. Certo. Be’, Alberto è occupato. Provo ad aiutarla io»

Per un istante Agostino avrebbe voluto controbattere, ma alla fine desistette.

    «Allora», continuò l’operatore, «qual è il problema?»

    «Ma come “qual è il problema”? Il collega non vi ha detto niente?»

    «No, signore. Ho solo raccolto la telefonata»

    «Come cazzo fate a non sapere quale sia il problema? Non ha accesso al mio profilo?»

    «Signore, la prego di calmarsi»

Agostino si era tirato su a fatica, ma la rabbia gli diede la spinta. La sua voce risuonava in tutta la stanza. I muscoli si irrigidirono.

    «Calmarmi un cazzo. Voi lavorate lì e non sapete neanche quale sia il problema»

    «Signore, se non mi dà il consenso io non sono autorizzato ad accedere al suo…»     «Senta, per cortesia, mi sarei rotto i coglioni. È da… » guardò l’orologio a muro «un’ora che sono al telefono e continuo a rimbalzare da un operatore all’altro. Alberto può aiutarmi? Bene, passatemi sto cazzo di Alberto»

    «Signore, la invito a moderare i toni»

    «Va bene, modero i toni», la voce lo tradiva.

Poi riprese, sarcastico:

    «Potrebbe cortesemente passarmi Alberto?»

    «Alberto è occupato, al momento»

    «Ma vaffanculo»

In quell’istante, suonarono alla porta.

    «Chi cazzo è?»

    «Sono Lele!», sentì dire da dietro la porta blindata.

Agostino deambulò alla bell’e meglio verso la porta rischiando di inciampare sul suo stesso tappeto. Aprì la porta e diede subito le spalle al suo amico, il quale entrò con un largo sorriso e lo vide impegnato al telefono.

    «Ehi, con chi parli?»

    «Con questi incompetenti di Love Time»

    «Incompetenti? Sono tra i migliori del loro settore»

    «Se questi sono i migliori, chissà gli altri!»

Lele si tolse il cappotto e lo adagiò sull’attaccapanni all’ingresso.

    «Tutto bene? Sembri in difficoltà», disse strofinandosi le mani per scaldarsi.

    «Oh, non ti ci mettere pure tu. E poi, scusa, cosa ci fai qui a quest’ora?»

    «Ho fatto una ventina di minuti di straordinario e sono uscito. Volevo rilassarmi un po’ e ho pensato di venire qui per una birra»

Agostino lo ascoltava, fronte aggrottata, mascella serrata.

    «Ce n’è una in frigo», disse espirando con enfasi e indicando la cucina.

    «Parla con me, signore?»

    «No, non sto parlando con lei. Come si chiama, Ernesto?»

    «Sì, signore»

    «Ernesto, ascolti: vuole risolvere il guasto o cosa?»

L’operatore restò un attimo in silenzio.

    «Non mi è possibile»

    «Mi faccia indovinare… è difficile da spiegare?»

    «Esatto, signore. Non è colpa mia»

    «Se non è colpa sua, colpa vostra, di chi sarebbe? Voi lavorate lì! Voi siete l’assistenza clienti!»

    «La prego, signore. Non urli»

    «Passatemi questo cazzo di Alberto!», Agostino prese un cuscino e lo scaraventò dall’altra parte del salotto.

    «Signore, se vuole esporre un reclamo, il nostro ufficio lo raccoglierà e…»

    «Non voglio fare reclami, voglio che risolviate il problema!»

Lele stappò la birra e osservò l’amico.

    «Calmati, Ago. Non serve arrabbiarsi»

    «La metto in attesa, signore. Le ricordo però di non riagganciare, rischierebbe di perdere…»

    «Sì, sì. Dai, mettimi in attesa e basta»

Click.

Musica d’attesa.

    «Si può sapere perché te la prendi tanto?»

Agostino cominciò a sfogarsi con il cellulare ancora ben attaccato all’orecchio.

    «Perché stavo parlando con una ragazza, le cose sembravano andare bene. Poi, improvvisamente, ‘sto guasto tecnico. Poi, loro dicono di essere gli specialisti, i migliori del settore, il miglior servizio clienti, ecc. Tutte balle!»

    «Quindi sei arrabbiato perché loro non stanno facendo bene il loro lavoro?», disse sorseggiando la birra. Si tolse le scarpe e allungò i piedi sul tavolino.

    «Sì, cioè, no. Sono incazzato perché quella ragazza è la prima con cui io riesca a intrattenere una conversazione decente dopo mesi»

    «Ma, fammi capire, vuoi continuare a parlare con lei perché ti piaceva o perché è la prima che ti è capitata dopo tanto tempo?»

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

    «Cosa c’entra?»

    «C’entra, eccome»

    «Buonasera, sono…»

    «Oh, finalmente. Senta…»

    «… l’operatore elettronico uno zero uno. L’attesa potrebbe protrarsi più del previsto. Scandisci l’entità della segnalazione o il reparto con cui desideri parlare dopo il segna…»

    «Sto perdendo la testa», si tormentò la testa, quasi strappandosi i capelli.

    «Intendi metterti in contatto con Andrea Cresta, dell’ufficio reclami?»

    «No, per dio, no!»

    «Ti invitiamo ad attendere. Ti stiamo mettendo in contatto con l’ufficio reclami»

    «Fanculo!», sbraitò cercando di infilare letteralmente la faccia nel cellulare.

Ancora musica d’attesa.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

Lele alzò la bottiglia di birra e cercò di intravedere oltre il vetro verde se fosse qualche goccia residua. Guardò l’orologio.

L’una di notte.

    «Senti, domani sono di riposo. Nel pomeriggio pensavo di fare un giretto con Tina e una sua amica. Dice che si chiama Laura, che è carina. Che ne pensi?»

Agostino si era accasciato sul divano, gambe larghe. Se ne stava in una posizione scomposta, di certo che gravava la cervicale. Lele riconobbe che era in uno stato di dormiveglia e in quel momento, lo vide nei suoi occhi, gli parve che l’amico non solo avesse recepito le sue parole, ma che per un attimo un barlume di speranza avesse attraversato le sue pupille, la sua mente, il suo umore. Gli parve che per un millesimo di secondo Agostino avrebbe interrotto la telefonata con il centralino di Love Time, sarebbe andato a letto e si sarebbe fatto una sana dormita. Poi si sarebbe svegliato di buona lena, si sarebbe fatto la barba, avrebbe fatto la doccia, si sarebbe vestito di tutto punto. Lele si convinse, per una briciola di stella incastrata nel cielo di quella notte, che quel trentenne abbandonato a se stesso avrebbe provato a prendere la sua vita in mano e l’avrebbe stravolta. Sarebbe uscito di casa e avrebbe vissuto la sua vita non in funzione della ricerca passiva di un lavoro o di una donna perfetta, ma con il sincero e limpido intento di vivere la vita al meglio delle proprie possibilità, con le braccia aperte e il petto in fuori. Si sarebbe guardato dentro e avrebbe capito che quella pancia non lo rispecchiava. Si sarebbe messo a dieta e avrebbe cominciato a fare esercizio fisico. Senza esagerare, solo lo stretto necessario per sentirsi a proprio agio nella sua pelle. Non si sarebbe di certo accontentato: si sarebbe amato per poter amare qualcun altro. Forse non avrebbe cancellato Love Time dal suo cellulare, ma l’avrebbe conservata come piano di riserva. Perché là fuori c’era la vita e la casualità degli eventi. Oppure c’era un ordine segreto del destino. Chissà, nessuno poteva saperlo. Ma una cosa era certa: che Agostino avrebbe fatto il meglio per se stesso.
Ma quel barlume si spense in fretta. Lele non ricevette risposta. Il suo amico sonnecchiava, esausto, in quella posa spezzata, con i capelli scarmigliati e unti, la lanugine della tuta felpata a insozzare il tappeto già impolverato, con il puzzo di birra nell’aria, un leggero lezzo di ambiente stantio, viziato. Forse Agostino si sarebbe svegliato a breve, forse l’indomani, ma Lele doveva andare.

    «A domani».

Quando Agostino si risvegliò, l’orologio segnava le otto del mattino. Il sole entrava ti taglio nel salotto, e il cellulare che la sera precedente era appoggiato sulla sua pancia ora era ai piedi del divano, sul tappeto. Nessuno aveva ancora riattaccato.

    «Tutti gli operatori sono momentaneamente occupati. Sei stato messo in coda. Ti invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita. Grazie»

Agostino raccolse da terra il telefono, lo osservò. Si stiracchiò e sbadigliò.

Il pianoforte, l’attesa.

    «Gentile cliente, ti invitiamo a lasciare un commento sul nostro sito internet. Il tuo pensiero è importante. Il tuo pensiero cambia le cose».

Immagine generata con DALL-E
“still life in the style of Morandi with a bottle of beer, a sofa and a pack of snacks”